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Cultura

Donatella Di Pietrantonio dopo il trionfo al Premio Strega 2024 con “L’età fragile”: sono a mio agio nel mondo letterario

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Non può più sentirsi un’intrusa nel mondo letterario Donatella Di Pietrantonio, che il 4 luglio ha trionfato al Premio Strega 2024 con 189 voti per il suo romanzo L’età fragile (Einaudi). Attraverso il rapporto tra una madre, Lucia, e la figlia ventiduenne Amanda, il romanzo scardina gli stereotipi sugli anni e sulla sicurezza dei piccoli luoghi di provincia, con la pandemia e il lockdown come sfondo.

Già vincitrice del Premio Strega Giovani 2024 e del Premio Campiello nel 2017 con L’arminuta, questa è la quarta volta che Di Pietrantonio partecipa al più ambito riconoscimento letterario italiano. “A me non piace vincere facilmente. Un percorso così lungo alla fine mi gratifica ancora di più. La prima volta non sono entrata in dozzina con il mio primo romanzo Mia madre è un fiume, la seconda non sono entrata in cinquina con Bella mia, poi non ho vinto con Borgo sud e questa volta è andata bene. Sono sempre restia a parlare di me stessa in toni trionfalistici però è stata un’emozione fortissima”, dice Di Pietrantonio il giorno dopo la vittoria.

“Sono molto felice di potermi considerare accolta con pieno diritto nel mondo della letteratura. Sentirsi a casa tra le scrittrici e gli scrittori è molto importante. È una conferma di quella spinta, di quella urgenza che viene da dentro e ti porta a esprimere le tue istanze più profonde con le parole, sulla pagina”, spiega Di Pietrantonio, 62 anni, che finora ha coniugato la scrittura con la sua professione di dentista dei bambini, professione che ha intenzione di lasciare per vivere questa parte della sua vita con maggiore tranquillità.

Per la prima volta in L’età fragile, dedicato a tutte le sopravvissute, la scrittrice ha affrontato la violenza di genere rievocando un fatto di cronaca nera, il delitto del Morrone, in cui furono trucidate due ragazze in escursione sulla Maiella nel 1997. “Con un certo sgomento, mi ritrovo a veder messi in discussione, a volte attaccati, tutti quei diritti e conquiste delle donne che risalgono agli anni Settanta-Ottanta e che io stessa ho dato per acquisiti ormai. Dover ancora battersi per difenderli da una parte è sconvolgente ma dall’altra penso che ci trovi tutte pronte a farlo”, dice Di Pietrantonio.

Quando è uscito L’età fragile, Di Pietrantonio aveva parlato della sua intenzione di lasciare il romanzo per dedicarsi ai racconti. “Il formato dei racconti sia da lettrice che da scrittrice mi è sempre piaciuto molto e mi dispiace che in Italia abbiano così poco seguito. Vedremo che cosa sgorgherà da dentro. È sempre quella la sorpresa”, conferma la scrittrice. Vincitrice del David di Donatello per la miglior sceneggiatura non originale, insieme a Monica Zapelli per il film di Giuseppe Bonito ispirato a L’arminuta, a Di Pietrantonio “piacerebbe tantissimo che L’età fragile diventasse un film”.

L’Abruzzo, terra della scrittrice che vive a Penne, è sempre protagonista dei suoi romanzi. “Uso l’Abruzzo a cui sono profondamente legata, proprio come rappresentante dei luoghi della provincia di cui in qualche modo credo che tutti gli italiani siano figli. Mi interessano quelle dinamiche che si costruiscono nei piccoli luoghi, ma gli Abruzzi potrebbero essere l’Umbria, le valli alpine, qualsiasi altro luogo”, sottolinea Di Pietrantonio.

Alla serata di premiazione è stato grande assente il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. “Non conosco le motivazioni dell’assenza del ministro. Certamente per quello che è il più prestigioso premio letterario italiano una presenza del massimo rappresentante istituzionale della cultura sarebbe stata assolutamente auspicabile. Ce la siamo cavata lo stesso”, ha detto la scrittrice.

Come si spiega il grande successo de L’età fragile che ha conquistato anche i giovani? “Quello che posso capire dai tanti incontri con le lettrici e i lettori è che ciascuno ha riconosciuto una parte di sé nei personaggi e nelle storie. Molti giovani si sono riconosciuti in Amanda ma si sono poi calati anche nel punto di vista della madre, Lucia, che è la voce narrante. Un ragazzo mi ha detto con molta commozione: ‘È stata la prima volta che ho capito cosa prova mia madre'”, racconta la scrittrice che ora vuole tornare, anche per un solo giorno, a casa.

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Antonio Nocera presenta “Xenia” all’Hotel Sina Bernini Bristol di Roma: un’opera che celebra accoglienza e trasformazione

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L’artista napoletano Antonio Nocera ha recentemente svelato la sua nuova opera d’arte, intitolata “Xenia”, un’installazione site-specific situata nella hall dell’iconico Sina Bernini Bristol di Roma, un simbolo dell’hotellerie di lusso da 150 anni. Commissionata da Bernabò e Matilde Bocca, presidente e vicepresidente del gruppo Sina Hotels, l’opera interpreta con sensibilità il tema dell’accoglienza, valore che caratterizza la storia della famiglia Bocca da tre generazioni.

L’opera “Xenia”: simboli di ospitalità e trasformazione

Realizzata in bronzo e tecniche miste su legno e plexiglass, l’opera “Xenia” fonde materiali e simboli profondi: le farfalle, che rappresentano la libertà e la trasformazione spirituale; le conchiglie, emblema della casa e simbolo del gruppo Sina Hotels; e la figura femminile, richiamando l’importanza ancestrale delle donne. Il nome “Xenia”, derivato dall’antica Grecia, esprime il concetto di ospitalità sacra, in cui l’accoglienza era considerata un atto sacro poiché si credeva che gli ospiti potessero celare entità divine.

Un dialogo tra arte e spazio

L’opera, presentata all’interno di una struttura che ha recentemente subito una ristrutturazione nel 2021 ed è entrata nella Autograph Collection, si armonizza con i dettagli d’arredo realizzati su misura. Oltre a “Xenia”, i visitatori possono ammirare anche l’affresco “The Birth of Baroque” di Adalberto Migliorati, che celebra i capolavori del celebre artista Gian Lorenzo Bernini.

Progetti futuri

Durante l’evento di presentazione, Antonio Nocera ha rivelato di essere già al lavoro su una nuova serie di dipinti che saranno esposti al Sina Villa Medici di Firenze, sottolineando il legame speciale che ha con la città.

Questa opera non solo arricchisce l’esperienza dei visitatori dell’hotel, ma offre anche una web-app gratuita per esplorare i cenni storici legati a Bernini e un itinerario virtuale per visitare le opere d’arte dal vivo, unendo tradizione e innovazione tecnologica.

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Cultura

Il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere: un gioiello archeologico del culto di Mitra

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Il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere, scoperto nel 1922, è uno dei più importanti templi dedicati al culto di Mitra in tutto il mondo. Situato vicino all’Anfiteatro Campano e al Museo Archeologico dell’antica Capua, rappresenta una testimonianza unica del mitraismo, un culto misterico molto diffuso durante l’Impero Romano.

La diffusione del culto di Mitra a Capua

Il culto di Mitra giunse a Capua durante il II secolo d.C., probabilmente portato dai gladiatori orientali che praticavano il mitraismo. Questo culto, di origine persiana, si era diffuso in tutto l’Impero grazie ai soldati romani stanziati nelle province orientali. Capua, con la sua vivace comunità gladiatoria, divenne un importante centro per il mitraismo, grazie anche alla presenza dell’Anfiteatro Campano, uno dei più grandi dell’epoca.

La struttura del Mitreo

Il Mitreo si trova in una struttura sotterranea, tipica dei templi mitraici, accessibile tramite una rampa di scale. La sala principale, lunga circa 12 metri, ha una volta a botte e lungo le pareti laterali sono presenti i posti a sedere per gli adepti. Il cuore del tempio è la raffigurazione della Tauroctonia, un affresco in cui Mitra viene rappresentato nell’atto di sacrificare un toro, simbolo di rigenerazione e fertilità.

Il simbolismo della Tauroctonia

La Tauroctonia è il simbolo centrale del culto mitraico. Nell’affresco, Mitra, vestito con un mantello svolazzante e il tipico berretto frigio, uccide un toro sacro con un pugnale. Intorno a lui sono rappresentati diversi elementi simbolici: il Sole, che osserva la scena, e i Dadofori, Cautes e Cautopates, che simboleggiano il ciclo del giorno e della notte. La scena è completata da animali come il cane, lo scorpione e il serpente, che aiutano Mitra nella sua impresa.

Funzione del Mitreo e i riti misterici

Il Mitreo era il luogo dove si svolgevano i riti misterici legati al culto di Mitra. Solo gli uomini potevano partecipare a queste cerimonie, che prevedevano un’iniziazione articolata in sette fasi. L’atmosfera del tempio, con la sua volta stellata e i lucernari che lasciavano filtrare la luce, creava un ambiente mistico che richiamava la grotta in cui, secondo il mito, Mitra aveva ucciso il toro.

Il declino del Mitraismo

Il Mitraismo raggiunse il suo apice tra il II e il IV secolo d.C., ma iniziò a declinare con l’avvento del Cristianesimo. Sebbene fosse un culto molto diffuso tra i soldati romani e le classi popolari, non riuscì a competere con la crescita del Cristianesimo, e fu definitivamente soppresso con l’imperatore Teodosio nel 394 d.C. Oggi, il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere rimane uno dei templi meglio conservati, offrendo una finestra unica su questo antico culto.

Importanza archeologica e turistica

Dal 2014, il Mitreo, insieme all’Anfiteatro Campano e al Museo Archeologico dell’antica Capua, è gestito dal Polo Museale della Campania, attirando visitatori e studiosi da tutto il mondo. La sua rilevanza storica e culturale lo rende una tappa imperdibile per chi vuole esplorare le radici del Mitraismo in Italia.

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La scena techno napoletana in lutto: addio a Rino Cerrone, maestro e pioniere della musica elettronica

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Il mondo della techno napoletana ha perso uno dei suoi padri fondatori, Rino Cerrone (nella foto a sx assieme a Capriati) , scomparso all’età di 52 anni. Il celebre produttore e DJ, considerato una leggenda nel panorama internazionale del nightclubbing, ha lasciato un segno indelebile nella scena musicale. Joseph Capriati, uno dei suoi più noti discepoli, ha espresso il proprio dolore sui social, ricordando Cerrone come un maestro e un amico, capace di supportarlo nei momenti difficili e di insegnargli tutto sulla musica.

L’eredità musicale di Rino Cerrone

Cerrone, nato nel 1972, ha influenzato generazioni di DJ, tra cui Marco Carola, Danilo Vigorito, Markantonio e lo stesso Capriati. Insieme, questi artisti hanno proiettato la scena techno napoletana sul palcoscenico internazionale. I set di Cerrone erano caratterizzati da una fusione unica di techno e progressive, con sonorità che mescolavano la precisione della techno tedesca, la magniloquenza di quella svedese e l’energia del rave londinese. Il suo stile, pur complesso, aveva radici profonde nella cultura partenopea, con un approccio che riusciva a fondere ritmi serrati ed eleganza.

Una carriera globale, ma con il cuore a Napoli

Durante la sua carriera, Cerrone ha girato il mondo, suonando a Berlino, Amsterdam, Giappone e Sudamerica. Nonostante il suo successo internazionale, ha sempre mantenuto un legame speciale con Napoli, partecipando regolarmente a eventi locali. La sua techno era apprezzata per la sua raffinatezza e la capacità di coinvolgere il pubblico con un ritmo travolgente e una tecnica impeccabile, come dimostrato dai suoi set con tre piatti che sfumavano i confini tra i generi.

Il rapporto speciale con Joseph Capriati

Il legame tra Joseph Capriati e Cerrone era quello di un fratello maggiore e maestro. Capriati ha ricordato come da giovane lo considerasse un idolo, aspettando ore solo per assistere alle sue performance all’Old River. Il loro legame si è trasformato in una profonda amicizia, con Cerrone sempre pronto a offrire supporto e consigli, tanto da diventare una figura di riferimento nella vita e nella carriera di Capriati.

Il lutto nella club culture

La scomparsa di Cerrone ha lasciato un vuoto enorme nella scena della club culture. Mentre il dolore è palpabile tra i colleghi e fan, il ricordo della sua musica e della sua persona continuerà a vivere, come desiderava lo stesso Cerrone. Nonostante la tristezza, è probabile che i fan lo onoreranno facendo ciò che lui amava di più: ballare.

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