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Keir Starmer, ‘un tipo normale’ a Downing Street

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Lo hanno definito il ‘normal bloke’, un tipo normale, l’uomo della porta accanto – quieto e rassicurante – con cui si può condividere una pinta di birra al pub parlando di calcio (è tifosissimo dell’Arsenal). Keir Starmer, a 61 anni suonati, riporta il Partito laburista al potere nel Regno Unito offrendo alla maggioranza silenziosa del Paese la garanzia del cambiamento attraverso una forza moderata, più pragmatismo che carisma o programmi di riforme ambiziose, come alternativa “al caos” rappresentato da 14 anni di governi conservatori. Una sorta di New Labour 30 anni dopo, ma senza la componente innovativa attribuita allora al progetto di Tony Blair, men che meno la capacità affabulatoria e l’età di quest’ultimo: che divenne premier a soli 43 anni, il più giovane dal 1812 prima che Rishi Sunak lo battesse 42enne nel 2022. Di Starmer, figura riservata e approdata tardi alla politica attiva, dopo i 50, si può capire di più dalla vita personale.

Nato in un quartiere popolare a sud di Londra il 2 settembre 1962 da un padre tecnico di fabbrica, Rodney Starmer, e da una madre infermiera, Josephine Baker, si trasferisce con la famiglia nel Surrey, dove viene iscritto alla Reigate Grammar School, frequentata anche da futuri esponenti Tory, prima sovvenzionata dallo Stato ma in seguito divenuta privata. Le tracce iniziali d’interesse per la politica, stimolato anche dall’attivismo dei genitori, risalgono all’adolescenza, quando negli anni Settanta s’iscrive ai ‘giovani socialisti’ del Labour. Passione che sale di tono negli anni dell’università, pagata sempre con borse di studio, prima a Leeds, poi a Oxford, dove si laurea in legge: fino alla breve frequentazione di ambienti della sinistra antagonista, nella redazione di Socialist Alternatives, giornale trotzkista.

La malattia della madre, costretta a vivere per anni da invalida, contribuisce in seguito alla sua decisione di diventare avvocato. Dopo essersi sposato con la collega Victoria Alexander (di radici familiari in parte ebraiche e da cui ha avuto un figlio e una figlia), nel 2008 arriva la scelta di accettare la carriera negli apparati inquirenti, con la nomina a capo del Crown Prosecution Service (Cps): svolta che lo trasforma da crociato dei diritti umani e difensore di richiedenti asilo, ecoattivisti e condannati a morte in alcuni Paesi caraibici a braccio secolare dello Stato. Proprio sugli anni vissuti da procuratore della corona, che gli valsero il cavalierato e il titolo di ‘sir’ conferiti dalla regina Elisabetta a fine mandato, Starmer costruisce del resto l’immagine successiva di tutore del principio di ‘law and order’ (legge e ordine), uno dei pilastri del suo programma attuale di governo.

Diventato deputato laburista nel collegio borghese di Londra nord di Holborn and St Pancras alle elezioni del 2015 (perse dall’allora capo dell’opposizione Ed Miliband), sir Keir viene designato poi ministro ombra per la Brexit sotto la nuova leadership di sinistra radicale di Jeremy Corbyn, mentre si compie il divorzio britannico dall’Ue: divorzio a cui egli si oppone senza incertezze, ma che nega di voler ora da premier rimettere in discussione, al di là di qualche riavvicinamento settoriale con Bruxelles. Pur non condividendo il massimalismo imputato a Corbyn, popolarissimo nella base rossa quanto sgradito all’establishment e alla pancia centrista del Regno, Starmer evita di criticarlo pubblicamente e ne attende la caduta per scalare il vertice nel 2020 dopo la disfatta elettorale del 2019. Salvo mettere poi all’angolo la sinistra interna, in una sorta di epurazione passata attraverso l’espulsione finale dello stesso predecessore (con l’accusa di non aver fatto autocritica sulle infiltrazioni antisemite nel partito).

Mossa accompagnata da uno spostamento su posizioni sempre più di centro, se non neo-blairiane, per ridare al Labour l’etichetta di forza di governo, non di protesta. All’emorragia d’iscritti militanti, delusi “dall’opportunismo” starmeriano, corrisponde peraltro un’attrazione di consensi nel bacino di elettori conservatori o indecisi stremati da 14 anni di governi e risse interne Tory fra da crisi, scandali o contraccolpi della Brexit; e nel contempo tranquillizzati da un laburismo light che garantisce di proseguire ad esempio nella linea dura sull’immigrazione illegale, pur cancellando il contestato piano Ruanda di Boris Johnson e di Sunak. Oltre a promettere stabilità economica, “rilancio della crescita”, buoni rapporti col business. Nonché una sostanziale continuità con i governi uscenti in politica estera: dal sostegno all’Ucraina contro Mosca e con la Nato, alle cautele verso Israele sul fronte del confitto di Gaza.

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Gaza, colpito centro Hamas in moschea Shuhada al-Aqsa: 21 morti

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Il bilancio delle vittime dell’attacco israeliano alla moschea Shuhada al-Aqsa, nella Striscia di Gaza centrale, è salito a 21.  “C’é anche un gran numero di feriti a seguito del bombardamento di una moschea che ospitava gli sfollati davanti al cancello dell’Ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir al-Balah, nella Striscia di Gaza centrale”, ha dichiarato il portavoce della Protezione Civile di Gaza, Mahmud Bassal.

L’esercito israeliano (Idf) ha confermato di avere effettuato nella notte un attacco aereo “mirato” contro una “struttura che in precedenza fungeva da moschea Shuhada al-Aqsa nell’area di Deir al Balah”, nella Striscia di Gaza centrale. Nella struttura, si legge in un comunicato pubblicato su Telegram, si trovava “un centro di comando e controllo” all’interno del quale “operavano i terroristi di Hamas”. In precedenza fonti mediche avevano riferito che nell’attacco sono morte almeno cinque persone.

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Trump-Musk show a Butler, ‘salviamo il Paese’

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Show di Donald Trump e Elon Musk in Pennsylvania, in quella Butler dove il 13 luglio Thomas Crooks cercò di uccidere l’ex presidente. Fra imponenti misure di sicurezza, Trump sale sul palco e ricorda il “mostro feroce” che ha aperto il fuoco, ferito all’orecchio Trump e ucciso l’ex pompiere Corey Comperatore, deceduto per salvare la sua famiglia seduta in prima fila. “Torno a Butler con un messaggio semplice per la Pennsylvania e l’America”: il nostro movimento “è più che mai vicino alla vittoria”, ha detto l’ex presidente chiedendo al pubblico di osservare un minuto di silenzio in onore di Comperatore. Poi ha ripreso la parola e si è scagliato contro i democratici.

“Negli ultimi otto anni coloro che volevano fermarci, mi hanno accusato, incriminato e cercato di cacciarmi dalle urne e, chissà, forse anche cercato di uccidermi. Ma io non mi fermo e non fermerò”, ha assicurato. “Meritate un Paese che vi difenda e che sia rispettato come lo era quattro anni fa. Ora ci ridono dietro”, ha quindi aggiunto l’ex presidente lodando il suo vice JD Vance. “Avete visto quanto è stato bravo al dibattito” contro Tim Walz?, ha chiesto Trump ai presenti. L’ex presidente ha poi invitato sul palco Elon Musk. Maglietta nera ‘Occupy Mars’, cappellino con visiera nero e giacca nera – “sono un Dark Maga”, ha scherzato -, il miliardario si è detto onorato di partecipare all’evento.

“Questa elezione è la più importante della nostra vita. L’altra parte vuole togliervi la libertà di parola”, ha detto Musk spiegando che “serve la libertà di parola per avere la democrazia. Trump deve vincere per preservare la costituzione e la democrazia”. Il patron di X quindi ha esortato tutti a votare: è improntate – ha detto – perché questa elezione potrebbe essere decisa da uno scarto di voti ridotto. “Fight, fight. Fight. Vote, vote , vote”, ha poi cantato Musk, abbracciando Trump lasciando il palco. L’ex presidente ha quindi promesso che con lui alla Casa Bianca sarà evitata la “terza guerra mondiale, alla quale siamo molto vicini”.

“Vinciamo in Pennsylvania e vinciamo ovunque”, ha precisato mentre il voto anticipato è iniziato in molti stati e circa 1,4 milioni di americani ha già votato. “Insieme salviamo il Paese” dall'”incompetente” Kamala Harris, che vuole solo “alzarvi le tasse”, ha detto al pubblico. “Vogliamo una vittoria così schiacciante che non possono rubarcela”, ha aggiunto riferendosi alla ‘Big Lie’ delle elezioni rubate del 2020.

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Sinwar l’imprendibile, ma il cerchio si stringe

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Yahya Sinwar “è vivo” ma non nutre grandi speranze sul suo futuro a un anno dalle stragi compiute dai suoi uomini in Israele. Il leader di Hamas, isolato e annidato nella rete di tunnel a Gaza, punterebbe tutto sull’escalation del conflitto tra Tel Aviv, Beirut e Teheran per attenuare la morsa dell’esercito israeliano nella Striscia. Il quadro è stato tracciato dai responsabili dell’intelligence americana al New York Times: gli 007 sono convinti che Sinwar, rimasto l’unico in vita nella kill list dei responsabili degli attacchi del 7 ottobre, sarebbe consapevole che il “cerchio si stringe” e che non gli rimane molto tempo. Israele gli ha fatto terra bruciata intorno, eliminando innanzitutto la primula rossa e numero uno delle Brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas, Mohammed Deif – la mente del 7 ottobre – e il suo vice Marwan Issa; poi addirittura il capo politico Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran in circostanze da spy story ancora tutte da chiarire.

Ma l’elenco di comandanti di Hamas eliminati è ancora più lungo: l’ultimo è stato il successore di Deif e Issa, Sayyed Attaullah Ali, ucciso nelle ultime ore in un raid nel nord del Libano. Secondo gli analisti americani, al momento non ci sarebbe spazio per una tregua, mediata con il rilascio degli ostaggi: “L’atteggiamento di Sinwar si è inasprito nelle ultime settimane e i negoziatori americani ora credono che Hamas non abbia intenzione di raggiungere un accordo con Israele”, scrive il Nyt citando le sue fonti. Del resto, stima l’intelligence Usa, sull’altro fronte il premier israeliano Benyamin Netanyahu “è concentrato soprattutto sulla sua sopravvivenza politica” e potrebbe considerare un cessate il fuoco contrario ai suoi interessi.

A Washington si ipotizza che “Sinwar sia diventato sempre più rassegnato mentre le forze israeliane gli danno la caccia”: Israele e gli Stati Uniti hanno investito ingenti quantità di risorse per scovarlo. La Cia ha creato un’unità speciale e il Pentagono ha dato direttive ai suoi operativi per contribuire alle ricerche degli israeliani. Da tempo il capo di Hamas si è affidato ad una rete di comunicazione verbale, utilizzando membri dell’organizzazione per fare spola con i comandi militari. Quindi nessun telefono, neppure satellitare, per eludere le ricerche dei sofisticati radar forniti dagli Usa, anche grazie alla fitta rete di tunnel a Gaza che gli ha permesso in questi mesi di muoversi in relativa tranquillità, talvolta anche all’aria aperta. Alcune sue tracce sono state trovate nel tunnel di Tel Sultan, dove sono stati rinvenuti i cadaveri di sei ostaggi israeliani, mentre un bombardamento su un complesso sotterraneo dove si riteneva potesse nascondersi si sarebbe risolto con un nulla di fatto. Il corpo di Sinwar non c’era, hanno riferito i media di Tel Aviv. Da allora nessun segno di vita, ma neppure di morte.

Il ricercato numero uno al mondo potrebbe tornare a far sentire la sua voce in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, sulle orme del bin Laden annidato nelle grotte afghane, sfidando i cacciatori del Mossad e della Cia in un ultimo sberleffo: convinto ormai che il messaggio di Teheran per lui sia che “non arriverà la cavalleria” iraniana a salvarlo, e che la sua sorte, prima o dopo, sia ormai segnata.

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