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L’Italia nel pallone: in Serie A la maggioranza di squadre è del Nord e di proprietà straniera

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Quest’anno si inizia il 17 agosto, quando anche il solleone brucia le schiene degli italiani. Anche stavolta il campionato di calcio 2024/25 è a trazione nordista. In Lombardia ci sono ben 5 squadre sulle 20 partecipanti: Inter, Milan, Atalanta, Monza e la neo promossa Como. In Piemonte ce ne sono 2 (Juventus e Torino) come in Veneto (Verona e l’altra neopromossa Venezia). In Emilia Romagna altre due squadre: Bologna e  Parma. Sempre nell’Italia settentrionale ci sono anche Udinese e Genoa.
La Toscana schiera due squadre: Fiorentina ed Empoli. Poi c’è il Cagliari. Ci sono le due squadre della Capitale, Lazio e Roma.

Al Sud soltanto Napoli e Lecce. Nella geografia del calcio, l’albo d’oro degli scudetti è impietoso: dal 1898 ad oggi, ad eccezione di qualche campionato saltato per guerra, a Torino sono andati 43 titoli (tra Juve e Toro), 39 a Milano (Milan e Inter), 10 a Genova, 7 a Bologna e a Vercelli, 5 a Roma. I 3 scudetti del Napoli sono quelli vinti a Sud.
Questo vuol dire che la geografia del calcio italiano è inequivocabilmente nordica.
Ci piacciono i numeri e le curiosità: in questa singolare graduatoria anche le proprietà delle squadre di calcio seguono una particolare divisione: la squadre del Nord spesso non sono di proprietà italiana.
L’Inter dopo Zhang è tornata nelle mani di Oaktree, fondo statunitense. Anche il Milan parla americano con il RedBird Capital Partners di Gerry Cardinale, come il Bologna, di un gruppo nord americano, rappresentato dal canadese Joey Saputo. L’Atalanta ha ceduto il 55 5 delle quote della famiglia Percassi ad una gruppo di investitori capitanati da Stephen Pagliuca, Managing Partner e Co-owner dei Boston Celtics, oltre che Co-chairman di Bain Capital, uno dei principali fondi di investimento al mondo. Il Como qualche anno fa è stato acquistato dalla Sent Entertainment, società con sede a Londra di proprietà di Robert Budi Hartono, magnate indonesiano del tabacco: è partito dalla serie D e adesso è in A.


La Fiorentina  è dell’italo-americano Rocco Commisso, numero uno della Mediacom Communications Corporation.
Il Genoa è passato da Enrico Preziosi al fondo di investimenti americano 777 Partners. Anche il neo promosso Parma parla stranieri: a capo c’è l’americano Kyle Krause, presidente e Ceo del gruppo che porta il suo nome, di mamma italiano ed appassionato di calcio.
E il Venezia? L’americano Duncan Niederauer è attualmente il presidente. La Roma infine è della famiglia Friedkin. Chi rimane?
La stessa Juventus non è del tutto italiana: la maggioranza è della EXOR, società quotata presso Borsa Italiana S.p.A. con sede ad Amsterdam (Olanda), che detiene il 63,8% del capitale. EXOR N.V. è una delle principali società di investimento europee ed è controllata dalla Giovanni Agnelli B.V., al suo interno una serie di partecipazioni societarie anche non italiane.
E poi ci sono Lazio, presidente Lotito; il Cagliari, presidente Giulini, il Torino (Cairo), il Monza, (Galliani), l’Udinese che ha a capo Pozzo, il Napoli con Aurelio De Laurentiis, l’Hellas Verona (Setti), Empoli (Corsi), Lecce (Sticchi Damiani) . Gli ultimi presidenti d’Italia: e anche in questo caso gli imprenditori italiani, le famiglie del calcio, sono una minoranza.  Il calcio italiano che, come hanno dimostrato i recenti Europei, non funziona, non parla più la lingua del Belpaese.

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Il pesce cappone: una creatura unica che cammina e assapora il cibo con le gambe

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Il pesce cappone ha da sempre catturato l’attenzione degli scienziati per le sue caratteristiche peculiari. Con il corpo di un pesce, le ali simili a quelle di un uccello e le gambe di un granchio, rappresenta una vera e propria anomalia nel mondo animale. “Gambe su un pesce… questa è una delle cose più strane che abbia mai visto”, ha dichiarato David Kingsley, biologo dello sviluppo presso la Stanford University, paragonando i pesci cappone ai “centauri acquatici”.

Recenti studi, pubblicati sulla rivista Current Biology da Kingsley e altri ricercatori, hanno svelato che queste gambe non servono solo a camminare, ma hanno anche la funzione di assaporare il cibo.

Le gambe del pesce cappone: un mistero genetico

Il team di ricerca di Kingsley si è concentrato su come e perché queste appendici, simili a gambe, si siano sviluppate. Amy Louise Herbert, ricercatrice del laboratorio, ha osservato gli embrioni del pesce cappone per studiare la formazione delle gambe. Le pinne si sono trasformate in arti che permettono al pesce di camminare sul fondale marino.

Analizzando il genoma del pesce cappone, gli scienziati hanno scoperto che un gene chiamato tbx3a gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di queste gambe. Utilizzando la tecnologia CRISPR per modificare tbx3a, il team ha notato che alcuni pesci nascevano con protuberanze più piccole, simili a pinne, mentre altri sviluppavano più paia di gambe.

Gambe sensoriali: il pesce cappone “assaggia” il cibo

Oltre alla funzione locomotoria, i ricercatori hanno scoperto che le gambe del pesce cappone sono anche strumenti sensoriali. Nascondendo molluschi sotto la sabbia, gli scienziati hanno testato l’abilità del pesce nel rilevare il cibo. Sorprendentemente, le sue gambe a forma di pala sono coperte da piccole protuberanze simili alle papille gustative della lingua umana, permettendo al pesce di “assaporare” la preda prima ancora di scavare per trovarla.

Nicholas Bellono, biologo molecolare di Harvard e autore dello studio, ha paragonato questa capacità a quella dei polpi, che usano i loro tentacoli per gustare il cibo. Tuttavia, Bellono ha sottolineato che i recettori sensoriali e il modo in cui sono collegati al sistema nervoso nel pesce cappone sono completamente diversi.

Un’evoluzione affascinante

Queste nuove scoperte non solo arricchiscono la comprensione dell’evoluzione del pesce cappone, ma aprono anche nuove prospettive sull’adattamento delle specie marine. Le gambe di questo pesce non sono solo un’anomalia fisica, ma rappresentano un affascinante esempio di come la natura possa sviluppare soluzioni ingegnose per sopravvivere e prosperare in ambienti diversi.

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Per Khamenei la carneficina del 7 ottobre “è legittima, elimineremo Israele”

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La Guida suprema della Repubblica islamica decide di non nascondersi. Nel momento più difficile per l’Iran, sotto scacco per i duri colpi inferti da Israele ad Hamas e Hezbollah, e con lo spettro di subire a breve un attacco diretto di vasta portata, Ali Khamenei è riapparso in pubblico guidando la preghiera del venerdì per la prima volta dopo quattro anni. Il 7 ottobre marcato con il sangue dalle milizie palestinesi ed i missili iraniani lanciati contro lo Stato ebraico sono state azioni “legittime”, e l’asse della resistenza “continuerà a lottare per la vittoria” nonostante la morte dei suoi leader: sono questi i messaggi che l’ayatollah ha inviato a nemici ed alleati, davanti alle migliaia di fedeli riuniti a Teheran, anche per commemorare l’uccisione di Hassan Nasrallah.

Un sermone in cui tutto contava, dalle parole all’iconografia. Come dimostra il fucile piazzato sul palco, a beneficio delle telecamere di tutto il mondo. Ad una settimana dalla morte del capo di Hezbollah – che pare sia stato provvisoriamente sepolto in un luogo segreto – Khamenei ha rinunciato per qualche ora alle rigide misure di sicurezza. Non guidava la preghiera dall’uccisione del generale Soleimani per mano americana nel 2020. Alla grande moschea di Teheran ha elogiato Nasrallah, simbolo dei “martiri” caduti nella guerra contro Israele, accanto a Ismail Haniyeh e ai tanti comandanti militari di Hamas e Hezbollah. Una guerra che, è il mantra dell’Iran, è condotta a scopi difensivi per rispondere ai “crimini sorprendenti” di Israele.

Così anche l’imponente operazione di martedì scorso, con duecento missili lanciati in territorio nemico, è stata “del tutto legale”, anzi è stata “una punizione minima”. Nel sermone, in persiano e in arabo, è stato poi lanciato un appello a tutte le nazioni musulmane, “dall’Afghanistan allo Yemen, da Gaza al Libano”, a “cingere una cintura di difesa” contro il “nemico comune”. Quella di Khamenei è apparsa come un’ostentazione di forza del regime, quasi a voler esorcizzare la grave minaccia alle porte. L’ipotesi che prende sempre più corpo è quella di un attacco israeliano alle infrastrutture energetiche e petrolifere iraniane, che affosserebbe un’economia già in crisi.

Un blitz su cui Israele si sta confrontando con gli Stati Uniti, e che potrebbe scattare da un momento all’altro. E’ uno scenario vissuto con comprensibile preoccupazione a Teheran, tanto che i pasdaran hanno provato a scoraggiare il nemico minacciando di reagire prendendo a loro volta di mira le raffinerie e i giacimenti di gas israeliani. Allo stesso tempo l’Iran continua a tessere la sua tela diplomatica per raffreddare la temperatura nella regione. Così il ministro degli Esteri Abbas Aragchi è volato a Beirut sotto le bombe per incontrare il collega libanese, sostenendo la necessità di un cessate il fuoco simultaneo con Israele a Gaza e in Libano. L’Idf invece ha continuato a martellare nel nord.

La periferia meridionale di Beirut, roccaforte del Partito di Dio, nella notte è stata bersagliata dai raid. Il principale obiettivo, secondo quanto è filtrato da Gerusalemme, era Hashem Safieddine, probabile successore di Nasrallah. Israele ritiene che sia morto. Quanto alla guerra al confine, è stato esteso l’ordine di evacuazione ai civili libanesi a 35 villaggi. Ma anche tra le truppe di Tsahal si continuano a contare perdite: nel Golan due soldati sono rimasti uccisi da un drone lanciato dall’Iraq, dove sono attive milizie sciite filo-iraniane. E si continua a combattere e a morire anche nei Territori palestinesi. Un raid israeliano a Tulkarem, in Cisgiordania, ha provocato almeno 18 morti.

Almeno 9 vittime, secondo l’Idf, erano miliziani di Hamas, incluso il capo locale, Abd al-Razeq Oufi. Era accusato di pianificare un attentato a breve, in vista delle commemorazioni per il 7 ottobre. C’è poi il fronte degli Houthi che, armati da Teheran, attaccano i mercantili occidentali nel Mar Rosso in rappresaglia per Gaza. Le milizie yemenite sono state colpite nuovamente da raid britannici e americani, che stavolta hanno cambiato strategia: finora avevano preso di mira le infrastrutture costiere, ora invece hanno attaccato più in profondità. Tra i nuovi bersagli, anche la capitale Sanaa.

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Economia

Istat raffredda le stime sul Pil, sale peso del fisco

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Non è una doccia fredda come quella arrivata dalle parole di Giancarlo Giorgetti a Bloomberg, ma il dato sul Pil fornito nelle ultime 24 ore dall’Istat qualche perplessità in più sull’andamento dell’economia italiana potrebbe farla nascere. L’istituto di statistica ha rivisto al ribasso la stima tendenziale sul Pil del secondo trimestre, ma soprattutto ha tagliato – peraltro con una correzione arrivata in un secondo momento – la crescita acquisita per il 2024, portandola dallo 0,6% allo 0,4%. Se il +1% scritto dal governo nel Piano strutturale di bilancio della scorsa settimana, ribadito anche dallo stesso Giorgetti, sembrava fino a poche ore fa un risultato praticamente già messo in tasca, le certezze potrebbero ora cominciare a vacillare. E se la crescita non centrasse l’obiettivo, anche il lavoro del governo si farebbe più complicato.

Meno crescita vuol dire meno entrate e più deficit, oltre che maggiore pressione fiscale. Nel secondo trimestre in cui l’Istat ha rivisto la crescita al ribasso, il peso del fisco rispetto al Pil è stato pari al 41,3%, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il dato risente degli aggiustamenti statistici ma, considerate le tensioni nate sulla questione tasse all’interno della maggioranza, rischia di non passare inosservato visto che proprio sulle tasse l’opposizione ha gioco facile ad attaccare e rischiano di giocarsi anche gli equilibri tra gli alleati. Sul tavolo c’è innanzitutto il nodo accise. Il governo ha chiarito che non si tratterà di un aumento tout court di quelle sul diesel ma di un allineamento tra benzina e gasolio.

L’Unem ha quindi rifatto i calcoli sottolineando che “nell’ipotesi estrema” in cui la misura si traducesse nell’equiparazione dell’accisa sul gasolio a quella della benzina, l’effetto sarebbe un aumento immediato dei prezzi al consumo del gasolio di 13,5 centesimi di euro al litro, ovvero in un maggiore esborso per le famiglie di quasi 2 miliardi di euro, pari a circa 70 euro all’anno. C’è poi il tema sigarette, per le quali gli oncologi hanno proposto un maxi-aumento di 5 euro a pacchetto come sostegno al Sistema sanitario nazionale. Ma c’è soprattutto il tema del ‘contributo’ delle imprese e del mondo bancario e assicurativo. Le ipotesi restano tutte aperte e non sembra essere esclusa quella di un addizionale Ires (tra 0,5% e 1%) che però le banche sembrano intenzionate a respingere per evitare un impatto sui conti. Una risposta piuttosto esplicita arriva da Augusto Dell’Erba, presidente di Federcasse-Bcc, secondo cui “i prelievi forzosi e improvvisi, peraltro su redditi già generati, quindi con una forma di retroattività, non sono il modo migliore per gettare le basi per un reale rilancio del Paese”.

La prende più alla larga Antonio Patuelli che però spiega come “più le tasse sono alte, più la ricchezza e i valori vanno via”. Il presidente dell’Abi manda il suo messaggio: vede una legge di bilancio “meno drammatica di quello che può apparire”, anche perché “i germogli di ripresa e di legalità portano maggiori introiti allo Stato”. L’idea di un contributo delle grandi imprese è invece condivisa da Luigi Sbarra della Cisl e da PierPaolo Bombardieri della Uil che definisce quella di Giorgetti “una dichiarazione di buon senso”. E un’aliquota “pesante” sulla ricchezza prodotta viene invocata anche dalla segretaria confederale della Cgil, Francesca Re David. Di Ires, ma non come addizionale, hanno peraltro discusso il ministro e il presidente di Confindustria Emanuele Orsini in un incontro con al centro il piano casa proposto dagli industriali, ma anche “la premialità Ires, come scritto nella legge delega fiscale, per chi fa investimenti”.

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