Collegati con noi

Economia

Altagamma, l’industria nautica vale quasi 30 miliardi

Pubblicato

del

– L’industria nautica italiana vale 27,7 miliardi, è cresciuta di 3 volte rispetto al Pil nazionale dal 2012 al 2022 e il suo impatto è 2,7 volte l’impatto economico diretto e 6 volte l’impatto occupazionale (con 157mila lavoratori). Sono i dati dello studio Altagamma-Deloitte. “Nonostante l’Italia sia leader mondiale nella costruzione di superyacht, solo il 6% di questi batte bandiera italiana – sottolinea Giovanna Vitelli, vicepresidente di Altagamma per il settore nautico e presidente del gruppo Azimut|Benetti – Ciò inibisce l’effetto benefico che i superyacht sono in grado di generare sul territorio. Per questo è necessario intervenire per accrescere l’attrattività della bandiera italiana, del charter sulle nostre coste, assimilandone l’Iva all’attività alberghiera, nonchè delle nostre marine, vere mete del turismo nautico”.

La cantieristica ‘new build’ rappresenta il 50% del portafoglio ordini globale di superyacht e genera un impatto economico e occupazionale complessivo di circa 11,4 miliardi coinvolgendo oltre 54.000 occupati tra diretti, indiretti ed indotto. Un contributo ancora più rilevante viene dall’impatto che turismo nautico e flotte hanno sui territori, 16,3 miliardi, con un moltiplicatore economico di 2,7 volte con 103.000 persone coinvolte a livello occupazionale. In questo panorama la nautica alto di gamma, ovvero i grandi yacht superiori ai 18 metri, è il segmento che registra il più rilevante effetto di ricaduta sul territorio: rappresenta il 65% dell’impatto economico totale, con l’80% del valore upstream (cantieristica). Inoltre, nonostante consista solo nel 2% circa della flotta in visita in Italia, genera il 55% del valore downstream, ovvero derivante dall’utilizzo delle imbarcazioni.

“Un grande yacht immatricolato in Italia, con equipaggio italiano e sulle coste del Paese per almeno 10 settimane all’anno, genererebbe un contributo annuale complessivo pari a 1,6 milioni/barca” emerge dal rapporto. In sintesi per il potenziamento del comparto Altagamma propone di “assimilare, in tema di aliquote Iva, il noleggio e il charter nautico ai parametri del settore turistico-alberghiero; adeguare le procedure e le normative della bandiera italiana a quelle di altri registri internazionali, al fine di aumentarne l’attrattività; semplificare le procedure burocratiche relative, ad esempio, ai controlli sui diportisti o all’arruolamento per le unità da diporto”.

Advertisement
Continua a leggere

Economia

Tim tratta in esclusiva col Mef su Sparkle

Pubblicato

del

La vendita di Sparkle non solo porta nelle casse di Tim altri 700 milioni di euro ma risolverebbe una ‘anomalia’ nella struttura del gruppo che ormai si è dato un’impronta da ‘società di servizi’. Non è da escludere poi che la società dei cavi internazionali possa confluire nella rete unica a cui punta il Mef che, se realizzata entro il 2026, sbloccherebbe quei 2,5 miliardi di ‘earn out’ legati alla cessione di Netco a Kkr. La Borsa, dove il titolo ha fatto un altro piccolo passo avanti (+2% a 0,26 euro) e gli analisti leggono l’operazione come positiva e si aspettano che Tim accetti la proposta del Mef e, con una quota di minoranza, del fondo spagnolo Asterion, attraverso la controllata Retelit.

E Tim non perde tempo. Il cda, dopo meno di 24 ore, si riunisce, esamina la proposta e dà mandato all’amministratore delegato, Pietro Labriola, di avviare interlocuzioni con gli offerenti, in via esclusiva, finalizzate ad approfondire i profili economici e finanziari dell’operazione e a ottenere la presentazione – entro il 30 novembre – di un’offerta vincolante secondo i migliori termini e condizioni.

L’offerta che c’è ora in campo, rispetto alla precedente di 625 milioni di euro più 125 milioni di euro di earn-out, è qualitativamente migliorativa perché i 700 milioni offerti dal Mef e da Asterion sarebbero ‘tutti subito’. “Gli 0,7 miliardi di euro di liquidità in entrata si aggiungerebbero agli 0,24 miliardi proventi dalla vendita di Inwit – ricordano gli analisti di Mediobanca – con un ulteriore taglio di 1 miliardo di euro alla posizione debitoria di Tim, portando il rapporto di leva finanziaria (ebitda/debito) ben al di sotto di 2 volte”.

Equita e Intermonte hanno invece colto le recenti dichiarazioni del direttore generale del Mef Marcello Sala a un convegno che ha espressamente indicato l’obiettivo del governo di avere “un’unica società nel Paese per la fibra ottica”. “Riteniamo che il governo italiano sia estremamente interessato a evitare un default di Open Fiber anche per il rischio di perdere 1,8 miliardi di euro di fondi Pnrr se il progetto Italia a 1Giga non sarà completato entro giugno 2026” scrivono gli analisti.

Continua a leggere

Economia

Zuckerberg batte Bezos, è il secondo più ricco al mondo

Pubblicato

del

Mark Zuckerberg supera Jeff Bezos e diventa il secondo uomo più ricco al mondo alle spalle di Elon Musk. Zuckerberg vale 210,7 miliardi di dollari contro i 209,2 di Bezos. Musk ha una fortuna di 262,8 miliardi. E’ quanto emerge dal Bloomberg Billionaires Index.

Continua a leggere

Economia

Salvo l’uso di ‘bistecca’ e ‘salsiccia’ per prodotti veg

Pubblicato

del

In Francia e in Unione Europea l’uso di nomi tipicamente associati alla carne per i prodotti a base vegetale è salvo: i cibi a base di proteine vegetali potranno continuare a chiamarsi ‘salsicce’, ‘bistecche’ o ‘hamburger’ e nessuno Stato membro può impedirlo. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Giustizia dell’Ue accogliendo, in forma di sentenza, l’istanza di quattro organizzazioni francesi attive nel settore dei prodotti vegetali e vegani (l’Association Protéines France, l’Union vegetarienne européenne, l’Association végétérienne de France e la società Beyond Meat Inc.) che hanno contestato al governo di Parigi un decreto che vietava l’uso di termini come ‘bistecca’ o ‘salsiccia’ per indicare prodotti a base vegetale.

Un decreto pensato, secondo Parigi, per tutelare la trasparenza delle informazioni sui cibi, ma finito prima sul tavolo del Consiglio di Stato francese, e poi direttamente alla Corte di Lussemburgo. Per i giudici comunitari le norme sull’etichettatura alimentare tutelano già “sufficientemente i consumatori”, anche in questi casi. Dunque, uno Stato membro “non può impedire con un divieto generale ed astratto” ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere all’obbligo di indicare la denominazione di questi alimenti con “denominazioni usuali” o “descrittive”. A meno che il Paese non abbia adottato una “denominazione legale” per indicarli e purché le modalità di vendita o di promozione di quel prodotto non siano fuorvianti per i consumatori, inducendoli all’errore.

La Corte dell’Ue parla alla Francia, ma in realtà parla a tutta Europa, dove l’uso di termini associati a cibi contenenti proteine animali a quelli vegetali è sempre più dibattuto, soprattutto per via della diffusione di questi ultimi sul mercato europeo. Le prime divisioni a Bruxelles sono emerse nel 2020, quando nel quadro dei negoziati sulla Politica agricola comune (Pac) al Parlamento europeo di Strasburgo ci fu il tentativo di inserire nella revisione delle norme una serie di emendamenti per eliminare l’uso delle denominazioni di carne per i prodotti a base vegetale. Ma il blitz fallì e il blocco di emendamenti al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli fu respinto. Il dibattito è rimasto aperto ed è, tra l’altro, particolarmente sentito in Italia. La sentenza, ad esempio, potrebbe non piacere a Lega e FdI, che del divieto di etichettatura tradizionale per i prodotti veg ne hanno fatto da tempo una bandiera.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto