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Economia

Fiat, Stellantis e i miliardi in aiuti di Stato: gli italiani pagano, gli Elkann incassano i dividendi, operai licenziati

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Secondo un’indagine di Milena Gabanelli per Dataroom del Corriere della Sera, Fiat e Stellantis hanno ricevuto significativi aiuti di Stato, senza rispettare pienamente gli impegni presi in termini di produzione e occupazione in Italia.

Gianni Agnelli preferiva dividendi alti e l’uso di fondi pubblici per espandere l’azienda, mentre suo nipote John Elkann sta lasciando poco di “grande” in Italia.

Aiuti di Stato e Investimenti

  • 1990-2019: 4 miliardi di euro di fondi pubblici, con investimenti dichiarati per 10 miliardi.
  • 2014-2024: 100 milioni di euro di aiuti statali (Registro nazionale aiuti di Stato).
  • 2020: 6,3 miliardi di prestito con garanzia pubblica.

Ammortizzatori Sociali

  • 2014-2020: 446 milioni di euro in cassa integrazione.
  • 2021-aprile 2024: 984 milioni di euro in cassa integrazione.

Occupazione

  • 2021: 52.740 dipendenti.
  • 2023: 42.700 dipendenti.
  • Perdita: 10.000 posti di lavoro in tre anni.
  • Casi emblematici:
    • Melfi: 3,35 miliardi di euro in fondi pubblici, da 6.800 a 5.600 dipendenti.
    • Mirafiori: Produzione da 218.000 auto (2006) a meno di 21.000 (2023), età media dipendenti 57 anni.

Dividendi

  • 2021-2024: 16,4 miliardi di euro distribuiti, di cui 2,7 miliardi a John Elkann.

Fondi per l’Automotive

  • Governo Meloni: 350 milioni di euro per la gigafactory di Termoli.
  • Fondo Draghi: 8,7 miliardi di euro (2022-2030), con 2,7 miliardi assegnati.

Ecoincentivi

  • 1,95 miliardi di euro per incentivare l’acquisto di auto, 40% destinato a Stellantis.
  • Criticità: Incentivi anche per auto termiche con emissioni tra 61 e 135 g/km, scelta unica in Europa.

Bilancio Finale

Nonostante gli ingenti aiuti pubblici, i governi dal 2020 non sono riusciti a vincolare Stellantis a impegni concreti su produzione e occupazione in Italia. La Panda elettrica sarà prodotta in Serbia, e l’auto elettrica cinese Leapmotor in Polonia, tagliando fuori la filiera italiana. Il piano industriale di Stellantis rimane, al momento, solo sulla carta.

Fonte

Per una lettura approfondita dell’inchiesta Dataroom del Corriere della Sera, autrice Milena Gabanelli, bisogna comprare il quotidiano o aspettare e sperare che arrivi sul web, non in abbonamento.

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Economia

Tim tratta in esclusiva col Mef su Sparkle

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La vendita di Sparkle non solo porta nelle casse di Tim altri 700 milioni di euro ma risolverebbe una ‘anomalia’ nella struttura del gruppo che ormai si è dato un’impronta da ‘società di servizi’. Non è da escludere poi che la società dei cavi internazionali possa confluire nella rete unica a cui punta il Mef che, se realizzata entro il 2026, sbloccherebbe quei 2,5 miliardi di ‘earn out’ legati alla cessione di Netco a Kkr. La Borsa, dove il titolo ha fatto un altro piccolo passo avanti (+2% a 0,26 euro) e gli analisti leggono l’operazione come positiva e si aspettano che Tim accetti la proposta del Mef e, con una quota di minoranza, del fondo spagnolo Asterion, attraverso la controllata Retelit.

E Tim non perde tempo. Il cda, dopo meno di 24 ore, si riunisce, esamina la proposta e dà mandato all’amministratore delegato, Pietro Labriola, di avviare interlocuzioni con gli offerenti, in via esclusiva, finalizzate ad approfondire i profili economici e finanziari dell’operazione e a ottenere la presentazione – entro il 30 novembre – di un’offerta vincolante secondo i migliori termini e condizioni.

L’offerta che c’è ora in campo, rispetto alla precedente di 625 milioni di euro più 125 milioni di euro di earn-out, è qualitativamente migliorativa perché i 700 milioni offerti dal Mef e da Asterion sarebbero ‘tutti subito’. “Gli 0,7 miliardi di euro di liquidità in entrata si aggiungerebbero agli 0,24 miliardi proventi dalla vendita di Inwit – ricordano gli analisti di Mediobanca – con un ulteriore taglio di 1 miliardo di euro alla posizione debitoria di Tim, portando il rapporto di leva finanziaria (ebitda/debito) ben al di sotto di 2 volte”.

Equita e Intermonte hanno invece colto le recenti dichiarazioni del direttore generale del Mef Marcello Sala a un convegno che ha espressamente indicato l’obiettivo del governo di avere “un’unica società nel Paese per la fibra ottica”. “Riteniamo che il governo italiano sia estremamente interessato a evitare un default di Open Fiber anche per il rischio di perdere 1,8 miliardi di euro di fondi Pnrr se il progetto Italia a 1Giga non sarà completato entro giugno 2026” scrivono gli analisti.

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Economia

Zuckerberg batte Bezos, è il secondo più ricco al mondo

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Mark Zuckerberg supera Jeff Bezos e diventa il secondo uomo più ricco al mondo alle spalle di Elon Musk. Zuckerberg vale 210,7 miliardi di dollari contro i 209,2 di Bezos. Musk ha una fortuna di 262,8 miliardi. E’ quanto emerge dal Bloomberg Billionaires Index.

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Economia

Salvo l’uso di ‘bistecca’ e ‘salsiccia’ per prodotti veg

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In Francia e in Unione Europea l’uso di nomi tipicamente associati alla carne per i prodotti a base vegetale è salvo: i cibi a base di proteine vegetali potranno continuare a chiamarsi ‘salsicce’, ‘bistecche’ o ‘hamburger’ e nessuno Stato membro può impedirlo. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Giustizia dell’Ue accogliendo, in forma di sentenza, l’istanza di quattro organizzazioni francesi attive nel settore dei prodotti vegetali e vegani (l’Association Protéines France, l’Union vegetarienne européenne, l’Association végétérienne de France e la società Beyond Meat Inc.) che hanno contestato al governo di Parigi un decreto che vietava l’uso di termini come ‘bistecca’ o ‘salsiccia’ per indicare prodotti a base vegetale.

Un decreto pensato, secondo Parigi, per tutelare la trasparenza delle informazioni sui cibi, ma finito prima sul tavolo del Consiglio di Stato francese, e poi direttamente alla Corte di Lussemburgo. Per i giudici comunitari le norme sull’etichettatura alimentare tutelano già “sufficientemente i consumatori”, anche in questi casi. Dunque, uno Stato membro “non può impedire con un divieto generale ed astratto” ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere all’obbligo di indicare la denominazione di questi alimenti con “denominazioni usuali” o “descrittive”. A meno che il Paese non abbia adottato una “denominazione legale” per indicarli e purché le modalità di vendita o di promozione di quel prodotto non siano fuorvianti per i consumatori, inducendoli all’errore.

La Corte dell’Ue parla alla Francia, ma in realtà parla a tutta Europa, dove l’uso di termini associati a cibi contenenti proteine animali a quelli vegetali è sempre più dibattuto, soprattutto per via della diffusione di questi ultimi sul mercato europeo. Le prime divisioni a Bruxelles sono emerse nel 2020, quando nel quadro dei negoziati sulla Politica agricola comune (Pac) al Parlamento europeo di Strasburgo ci fu il tentativo di inserire nella revisione delle norme una serie di emendamenti per eliminare l’uso delle denominazioni di carne per i prodotti a base vegetale. Ma il blitz fallì e il blocco di emendamenti al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli fu respinto. Il dibattito è rimasto aperto ed è, tra l’altro, particolarmente sentito in Italia. La sentenza, ad esempio, potrebbe non piacere a Lega e FdI, che del divieto di etichettatura tradizionale per i prodotti veg ne hanno fatto da tempo una bandiera.

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