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Cronache

Torna visitabile l’antica spiaggia di Herculaneum, c’è anche l’arte in pietra lavica di Carotenuto per unire antichità e modernità

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Quella spiaggia che guardava al mare e dove circa trecento fuggiaschi non riuscirono a scampare alla morte nell’eruzione del 79 d. C., nel corso degli anni minata da corrosione e acque piovane, oggi torna a nuova vita grazie a un progetto di recupero, attuato dal Parco archeologico di Ercolano, in partenariato pubblico-privato con il Packard Humanities Institute e con un finanziamento Cis (Contratto istituzionale di sviluppo) Vesuvio. Tra gruppi numerosi di turisti e visitatori, oggi, il taglio del nastro di un’opera fondamentale e strategica del Parco archeologico: l’antica spiaggia di Herculaneum, appunto.

Nel medio termine è previsto il ricongiungimento di un tratto di spiaggia con la Villa dei Papiri, in modo da ampliare l’offerta ai turisti per i prossimi anni. L’area negli ultimi tempi è stata interessata da corrosione e decadimento, dovuti a fattori naturali legati alle acque piovane e di risalita, che avevano reso la spiaggia una sorta di acquitrino.

I lavori hanno restituito un’immagine quanto più vicina possibile a quella originaria, antecedente all’eruzione del 79 d.C. Da oggi, infatti, la zona è percorribile dai visitatori che possono affacciarsi ai fornici dove ci sono gli scheletri dei circa 300 fuggiaschi che, nonostante l’operazione di protezione civile diretta dall’ammiraglio e studioso romano Plinio il Vecchio, non riuscirono a salvarsi per mare. “Ercolano, Pompei, Oplonti: stiamo lavorando a tantissimi progetti”, ha detto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

Lo scultore. Antonio Carotenuto, l’artista vesuviano che modella la pietra lavica negli Scavi di Ercolano. In questa foto una delle sue tante opere

“In questo momento, in legge di bilancio, abbiamo rifinanziato gli scavi e ci sono cantieri come non mai attivi che stanno facendo emergere nuovi tesori, che alimentano l’attività degli studiosi”. “Noi – ha proseguito – ci crediamo in tutto ciò: nel creare, raccordare, potenziare questa area che anche l’Unesco ha riconosciuto di grande valore e che è una delle più importanti aree archeologiche del mondo. Perché siamo convinti che questo rappresenterà un’occasione di sviluppo socio-economico”.

Un concetto, quest’ultimo, su cui si è soffermato il sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto: “Oggi aumenta l’offerta turistica della nostra città, il Parco archeologico è una realtà straordinaria, un luogo che attrae visitatori da ogni parte del mondo”.

“Non è stato solo un lavoro di restauro – le parole del direttore del Parco archeologico di Ercolano, Francesco Sirano – ma anche un grande lavoro di ricerca perché sappiamo che ripresentare un sito, in un luogo archeologico all’aria aperta, vuol dire anche poter approfondire aspetti scientifici: abbiamo compiuto scavi e abbiamo trovato resti e il passaggio di flussi piroclastici che si sono abbattuti sulla città nel 79 d.C. con materiali di ogni genere”.

La scoperta più importante quella dell’ ‘ultimo fuggiasco’ avvenuta nel 2021: uno scheletro di un uomo di circa 40 anni che probabilmente cercava di scappare via mare e che aveva con sé una borsa con all’interno i suoi oggetti più preziosi.

Nel lavoro certosino di ricongiungimento tra la antica Ercolano e quella dei giorni nostri c’è anche una immensa scultura dell’artista Antonio Carotenuto, autore dell’opera “Memorie e convivenze”, che costituisce parte integrante della scalinata collegante la nuova piazza pubblica panoramica a Via Mare, arricchita da decorazioni che hanno conferito nuova luce e valore alle gradinate. Si tratta di un’onda realizzata in pietra lavica che disegna le gradinate che scendono dagli scavi verso il mare e che idealmente congiunge il Vesuvio con la spiaggia.

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Morte Cerciello, sconto pena ad americani in appello bis: da ergastolo a 15 mesi

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Dai due ergastoli inflitti in primo grado ad una sentenza di appello bis che fissa le pene a 15 anni e due mesi e 11 anni e quattro mesi di carcere le pene. E’ il percorso giudiziario dei due studenti americani, Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, accusati della morte di Mario Cerciello Rega ucciso con 11 coltellate la notte del 25 e il 26 luglio del 2019 in strada a Roma. I giudici della Corte d’Assise di appello, dopo che la Cassazione aveva disposto un nuovo processo di secondo grado, hanno ulteriormente ridotto le condanne che erano state di 24 anni per Elder e 22 per Hjorth.

I giudici hanno fatto cadere le aggravanti, ammesso il rito abbreviato e questo ha portato ad una sensibile diminuzione degli anni da scontare in carcere. In particolare per Elder è arrivata anche una assoluzione, perché il fatto non costituisce reato, per l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. In aula, alla lettura della sentenza, era presente anche la moglie di Cerciello, Rosa Maria, che è apparsa scossa e ha lasciato piazzale Clodio senza volere rilasciare dichiarazioni. “Certamente rispetto alla gravità del fatto – ha commentato il suo legale, il professore Franco Coppi – è una sentenza indubbiamente generosa, ma noi non eravamo interessati alla entità della condanna. Eravamo interessati al fatto che venisse riconosciuta la responsabilità di entrambi”. Dal canto loro i difensori degli imputati non hanno nascosto la soddisfazione per il verdetto.

“Elder dopo la sentenza mi ha detto che era terribilmente stressato ma si rende conto che una pena la meritava e che la sentenza è più giusta delle precedenti” rivela l’avvocato Renato Borzone aggiungendo che la sentenza apre “tutto un altro scenario come è giusto che sia. Noi poche ore dopo aver parlato con Finnegan avevamo messo le nostre facce per spiegare come lui non si fosse mai reso conto di trovarsi davanti a degli agenti della forza pubblica. Ci sono voluti cinque anni, finalmente abbiamo una corte che potrà dormire tranquilla perché in coscienza ha preso una decisione giusta”, ha aggiunto il penalista. Il difensore di Hjorth, l’avvocato Francesco Petrelli, parla apertamente di “ridimensionamento assai importante in termini di pena che è stata dimezzata. Siamo passati da 22 anni a 11 anni ed è per noi una soddisfazione”.

La tragica fine di Cerciello iniziò con il tentativo dei due americani di comprare della cocaina a Trastevere. Poi il furto dello zaino del ‘facilitatore’ dei pusher, Sergio Brugiatelli. Quest’ultimo, dopo avere ricevuto la telefonata dei due statunitensi con la richiesta di riscatto, il classico ‘cavallo di ritorno’, aveva allertato i carabinieri. Cerciello Rega e il suo collega di pattuglia di quella note, Andrea Varriale, dopo una trattativa intercorsa tra Brugiatelli e i due ragazzi, si recarono in borghese all’appuntamento in via Pietro Cossa. In pochi istanti una tranquilla serata dell’estate romana si è trasformata così in tragedia. I due americani aggredirono Cerciello e il suo collega. Elder, che aveva con sè un coltello, colpì con undici fendenti il vicebrigadiere che morì, di fatto, per shock emorragico.

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Comandante carabinieri ucciso: incapace di intendere e volere, prosciolto il brigadiere assassino

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Il Tribunale militare di Verona ha prosciolto, per incapacità di intendere e volere, il brigadiere dei carabinieri Antonio Milia, che nell’ottobre di due anni fa, sparò e uccise con l’arma di ordinanza il suo comandante, il maresciallo Doriano Furceri, 58 anni, all’interno della caserma dei carabinieri di Asso, in provincia di Como.

Dopo avere sparato al superiore, Milia si barricò all’interno della caserma e fu arrestato solo la mattina successiva in seguito ad un blitz dei corpi speciali del Gis. La Procura militare aveva chiesto una condanna a 24 anni di carcere nei confronti del brigadiere, ma i giudici hanno accolto le conclusioni dei consulenti d’ufficio, secondo i quali la patologia di cui soffriva Antonio Milia era tale da non consentirgli di rendersi conto di quello che stava facendo.

Il Tribunale ha disposto per l’imputato la misura di sicurezza di cinque anni di permanenza in comunità terapeutica. I giudici hanno inoltre deciso di inviare gli atti del processo alla Procura ordinaria di Como, perché indaghi sulla commissione medica militare che aveva riammesso pienamente in servizio il brigadiere, con la possibilità di usare l’arma di ordinanza, nonostante la sospensione decisa dai suoi superiori, preoccupati per i suoi atteggiamenti e per le sue condizioni psichiche. L’omicidio avvenne infatti pochi giorni dopo il rientro in servizio di Milia ad Asso.

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Bozzoli latitante in fuga con moglie e figlio ricercato in tutto il mondo

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Mentre lui, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario, resta in fuga con moglie e figlio, a parlare sono i parenti. Il padre Adelio giura: “non so dove sia”, ma il suocero Daniele ai carabinieri fa mettere a verbale: “sarebbe in una zona imprecisata della Francia”. Ma di Giacomo Bozzoli ancora nessuna traccia. È ricercato e il suo nome è nel database delle forze dell’ordine a livello nazionale e internazionale. La Procura oggi ha disposto pure il Mae, il mandato di arresto europeo. Per i vicini di casa di Soiano del Lago, nel Bresciano, “non si vede da dieci giorni” ma non risulta che abbia soggiornato in alberghi italiani. Moglie e figlio hanno il passaporto, a lui non è mai stato ritirato ma sarebbe scaduto e non rinnovato.

Negli ultimi sei mesi non ha mai preso un aereo. C’è chi scommette su una latitanza studiata nell’arco dei nove anni che hanno separato l’inizio della vicenda dalla sentenza definitiva di lunedì. Chi lo ha conosciuto in questi nove anni spiega che “la decisione su cosa fare deve prenderla solo lui”. La sua fuga potrebbe essere però solo temporanea e legata ad un momento particolare: il compleanno del figlioletto proprio in questi giorni di inizio luglio. Poi, dopo questi ultimi momenti di libertà in famiglia, il 39enne bresciano che per ogni grado di giudizio ha ucciso lo zio Mario l’8 ottobre 2015 gettandolo nel forno della fonderia di cui era proprietario, potrebbe costituirsi in carcere. Forse al Verziano, penitenziario bresciano meno duro rispetto al più sovraffollato d’Italia Canton Mombello.

Ma restano solo ipotesi, voci, supposizioni. E poi ci sono i dati certi, a partire dagli ultimi avvistamenti. Alle 5:51 del 23 giugno è stato infatti registrato un passaggio della Maserati Levante intestata a Giacomo Bozzoli dal portale Valtenesi di via Marconi a Manerba, due minuti più tardi da quello di Desenzano e uno successivo alle 6.03 sempre a Desenzano del Garda sotto il varco che porta all’ingresso in A4. Ma non si sa se sia entrato in autostrada. Il Telepass non ha segnalato accessi, così come i telefoni hanno smesso di essere attivi. Da qualche ora Giacomo Bozzoli è latitante dopo che il presidente della prima sezione penale Roberto Spanò – il primo giudice a condannarlo – ha firmato il decreto di latitanza. Da lunedì dopo la lettura della sentenza della Cassazione sono risultate vane le ricerche nella villa di Soiano – intestata al fratello Alex, indagato per falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta bis – dove Giacomo vive dal 2015 con moglie e figlio, ma anche nell’azienda di Bedizzole creata con il padre e il fratello, nell’abitazione di Marcheno del genitore e anche ad Ortisei, dove i Bozzoli hanno una casa, non è stato trovato.

Così è scattato prima il decreto di latitanza e ora anche il mandato d’arresto europeo firmato dalla procura sulla scorta di quanto riferito dal suocero che agli inquirenti ha indicato la Francia come meta di un viaggio di cognato, figlia e nipotino. Adelio, padre sempre al fianco di Giacomo, invece nega di sapere di piani di fuga. Adelio, che da teste in aula nel processo di primo grado usava in continuazione l’avverbio “sinceramente” come a voler convivere i giudici delle sue parole, a Repubblica che lo ha incontrato in mattinata fuori dall’azienda ha detto: “Se sapessi dov’è ora mio figlio andrei a dirgli che è il momento di pensare solo alla sua famiglia, al mio nipotino. Ognuno può immaginare cosa prova un padre che vede il proprio figlio innocente condannato all’ergastolo dopo nove anni di processi. La sua scomparsa è una sorpresa, oltre che un incubo, anche per me”.

Adelio ha sempre proclamato l’innocenza di Giacomo così come Antonella, la compagna del 39enne. Dipendente della galleria d’arte di famiglia sentita nel corso del processo di primo grado la donna rispondendo alla domanda del pm: “signora, lei è convinta dell’innocenza di Giacomo?”, rispose: “Assolutamente sì”. Convinta fino a seguirlo nella sua disperata fuga dal carcere a vita.

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