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Borrelli (AVS): Governo non investe in qualità della vita

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“Nei prossimi 30 anni avremo un’ulteriore riduzione del numero di abitanti nel nostro Paese e in futuro dovremmo accogliere circa 250mila stranieri l’anno per far funzionare i servizi essenziali. La denatalità non colpisce solo l’Italia ma l’intera Europa che conterà circa 40 milioni di residenti in meno. Di fronte alla vastità di questo fenomeno a rischiare sono proprio i servizi e l’assistenza ai più deboli, agli anziani, alle famiglie con disabili, ai malati cronici. In un contesto del genere, sempre più egoistico e miope, è davvero difficile tornare a livelli di natalità accettabili con il paradosso che ci ostiniamo a rifiutarci di dialogare con Paesi come l’India a le nazioni africane che, al contrario, mantengono livelli sempre superiori di natalità”.

Lo ha dichiarato Francesco Emilio Borrelli, deputato di Alleanza Verdi Sinistra in Commissione Finanze a Montecitorio, nel corso del Cnpr forum: “L’Italia over 65: impatti economici e sociali delle tendenze demografiche sul benessere delle famiglie e delle imprese” promosso dalla Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta da Luigi Pagliuca. “Ci sono enormi responsabilità nella visione dell’attuale governo che pensa che gli italiani non vogliano fare figli. Stanno lavorando per desertificare il Sud, riducono le risorse per i ceti più poveri, si investe più sulle guerre che nel welfare. Questo governo non investe in qualità della vita e spende male i fondi europei. Bisogna tornare a investire nel Mezzogiorno, costruire asili nido e favorire l’integrazione”. Sul fronte della maggioranza di governo è intervenuta Patrizia Marrocco (FI), vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni del lavoro in Italia: “il futuro di un Paese si misura dalla capacità di dare risposte alle giovani generazioni. Per questo l’esecutivo ha messo in campo iniziative concrete, rispetto alle poche risorse che si hanno a disposizione, proprio per dare un incentivo alla natalità. C’è stato un investimento pari a 2,5 miliardi e benefici per le famiglie per oltre 16 miliardi solo per il 2024. Sicuramente questo è un tema che deve essere portato in Europa come grande priorità. Vero anche che le misure vanno accompagnate da uno scardinamento culturale; non si può continuare a pensare che la nascita di un figlio possa ostacolare o addirittura bloccare il futuro della madre”.

“Bisogna fermare la denatalità con risorse strutturali e – ancora Marrocco – ci auguriamo che molto presto riusciremo a fare questo grande investimento che riguarda il futuro del nostro Paese. La donna non deve essere costretta a scegliere tra lavoro e famiglia le donne sono in grado di coniugare la vita lavorativa con le esigenze familiari. Negli ultimi anni non sono state messe in campo politiche concrete per aiutare le giovani coppie ad avere figli è mettendo a rischio il futuro collettivo”. Timori per la tenuta del sistema sanitario sono stati espressi da Elisa Pirro, senatrice del M5s in Commissione Bilancio a Palazzo Madama: “Il nostro sistema sanitario, nonostante i problemi che ha, finora ha garantito cure adeguate agli italiani e anche per questo tante persone raggiungono età più avanzate. Siamo uno dei Paesi con l’aspettativa di vita più alta al mondo. Dobbiamo guardare a un complessivo miglioramento dello stato di salute dei nostri anziani per garantire loro un invecchiamento migliore. Questo può essere fatto puntando prima di tutto sulla prevenzione di alcune patologie. Penso ad esempio al diabete di tipo 2 che necessita di stili di vita adeguati. Dobbiamo guardare alla silver economy fatta di attività culturali e turistiche strutturate per la terza età; al cohousing con esperienze di socialità collettiva e ad alcune strategie per mantenerli più attivi dal punto di vista neurologico. A questo si devono accompagnare miglioramenti al nostro servizio sanitario nazionale per garantire il potenziamento delle attività territoriali e il supporto ai malati cronici. Bisogna poi intervenire in favore della famiglia con politiche di welfare e tutela dei diritti, a partire da quelli al lavoro e a salari dignitosi, per fermare la denatalità”.

Secondo Calogero Pisano (Noi Moderati), segretario della Commissione Politiche dell’Unione Europea alla Camera dei Deputati: “Negli ultimi decenni in Italia non si sono mai fatte politiche a favore della famiglia e in modo particolare per contrastare la denatalità. Per molti giovani è davvero difficile poter contare su un lavoro stabile e ben retribuito. In tanti scelgono di andare all’estero. È necessario investire sul lavoro, sulla casa, sulla famiglia per favorire le giovani coppie a progettare il futuro”.

Il governo Meloni, ha sottolineato Pisano, “ha messo in campo delle politiche importanti in favore della famiglia e anche dell’occupazione femminile. Inaccettabile che una donna in Italia sia obbligata a scegliere se lavorare o mettere su famiglia. Oltre agli incentivi sono stati aumentati i congedi parentali per entrambi i genitori ed è aumentato anche il numero degli asili nido con estensione dell’orario. L’Italia sta invecchiando e non ci dobbiamo affidare all’immigrazione per ringiovanire il Paese. Quello dell’immigrazione è un fenomeno che esiste e va governato. Gli immigrati regolari che lavorano e mettono su famiglia è giusto che abbiano gli stessi diritti di una famiglia italiana, ma bisogna mettere delle regole precise anche a loro tutela”.

Nel corso del dibattito, moderato da Anna Maria Belforte, il punto di vista dei professionisti è stato espresso da Pasqua Borracci, commercialista e revisore legale dell’Odcec di Bari: “Secondo i dati Eurostat l’Italia è il Paese più vecchio dell’Unione europea; circa un italiano su quattro ha più di 65 anni. Questo trend avrà pesanti conseguenze sul sistema di welfare del nostro Paese, in primis su sanità e care-giving, oltre che nell’ambito occupazionale. Servono strategie vincenti per affrontare la transizione demografica. Occorrono misure in favore della stabilità occupazionale che aiutino le famiglie a poter progettare un futuro sereno a garanzia di una genitorialità consapevole. Bisogna aiutare le donne a non essere costrette a dover scegliere tra carriera e famiglia con politiche adeguate in termini di assistenza e con la parità salariale e dei diritti. Invertire il trend di denatalità è possibile senza essere costretti a far leva solo sull’immigrazione dai Paesi in difficoltà economica/climatica o da quelli dove sono in corso sanguinosi conflitti bellici o guerre civili”.

– Le conclusioni sono state affidate a Paolo Longoni, consigliere dell’Istituto nazionale esperti contabili: “L’inverno demografico italiano è abbastanza pesante. L’Italia ha perso più di 2 milioni di abitanti negli ultimi dieci anni ed è avviata a perderne ancora. Non è solo la denatalità a provocare la riduzione della popolazione e l’invecchiamento medio ma la perdita dei giovani. I dati che abbiamo a disposizione ci dicono che quasi 1 milione di giovani sono espatriati per ragioni di lavoro e non rientrano. Quindi favorire le condizioni perché non ci sia invecchiamento della popolazione significa anche rivolgere lo sguardo al mondo del lavoro per i più giovani che vanno via perché all’estero si guadagna meglio e si sta in condizioni più agevoli”.

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La nuova Ue di Ursula, Fitto verso la vicepresidenza

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Tutto alla ricerca “dell’equilibrio”. La nuova Europa di Ursula von der Leyen è pronta a vedere la luce e, a una manciata di giorni dall’annuncio della rosa dei commissari atteso l’11 settembre, la presidente è impegnata a risolvere il sudoku tutt’altro che semplice delle deleghe da assegnare. A Bruxelles, la notizia più attesa a Roma circola ormai con insistenza: il prossimo commissario italiano, Raffaele Fitto, stando a più fonti qualificate, si avvia verso la vicepresidenza esecutiva con le potenziali deleghe cruciali della gestione dei Pnrr e dei fondi europei. Una scelta su cui, ha fatto sapere anche la premier Giorgia Meloni dal forum Teha a Cernobbio, lo scambio con la leader tedesca “è in dirittura d’arrivo” senza alcun “motivo di credere che all’Italia non venga riconosciuto quello che le spetta”.

Preso atto dei mal di pancia dei liberali di Renew e di un eventuale veto alla prova del Parlamento europeo sul nome di Fitto, von der Leyen mantiene comunque la linea del suo Ppe, consapevole che premiare Roma – pur protagonista a luglio del no al suo bis – significa anche avvicinarla alle posizioni più moderate. Il ministro uscente, nelle confidenze di alcuni funzionari Ue, è tra gli esponenti del governo italiano con cui la tedesca “ha lavorato meglio”. E, insieme a lui – per il quale anche il commissario Paolo Gentiloni ha riservato il consiglio di “essere ambizioso” -, a essere in pole per le altre poltrone di vicepresidenti esecutivi sono il francese Thierry Breton, macroniano di ferro deciso a guidare l’industria europea; lo slovacco Maros Sefcovic, favorito sul dossier dei rapporti istituzionali; il lettone Valdis Dombrovskis che con tutta probabilità svestirà i panni di rigorista dei conti pubblici per dedicarsi all’Ucraina; e la spagnola Teresa Ribera, madrina del Green deal iberico ma data a sorpresa in orbita Concorrenza anche da fonti interne all’antitrust Ue.

Pesi massimi a cui si affiancherà l’estone Kaja Kallas, la lady di ferro dell’est, nemica di Mosca, già certa di ereditare le redini della politica estera continentale. Ventisei poltrone per ventisei Paesi, se si esclude quella della presidenza, non sono tutte uguali e la corsa ai portafogli economici resta incerta. Oltre alle macro aree di responsabilità dei vicepresidenti, von der Leyen sta esaminando a chi affidare le singole deleghe. Il Bilancio potrebbe andare alla Polonia, mentre è quasi certo che saranno i Paesi Bassi a guidare il commercio internazionale. A contendersi l’agricoltura sono invece Lussemburgo e Portogallo. Per la regia tutta nuova del Mediterraneo in lizza ci sarebbero invece Cipro e Malta, a patto che quest’ultima cambi il nome di Glenn Micallef e accolga l’appello di von der Leyen – rimasto inascoltato dai più – a presentare una donna, possibilmente riconfermando l’uscente Helena Dalli.

I fedelissimi della tedesca a Palazzo Berlaymont continuano a ripeterlo: “La presidente è alla ricerca di equilibrio”. Un equilibrio che – ha precisato la stessa von der Leyen nei giorni scorsi – deve essere geografico, politico e di genere. Un fronte, quest’ultimo, su cui resta il nodo della superiorità di candidati uomini sulle donne. Dopo il ritiro della candidatura di Tomaz Vezel, la Slovenia è impegnata a cercare un nome femminile. E una critica alla reticenza dei governi sulla parità di genere è arrivata anche dall’attuale vicepresidente esecutiva, Margrethe Vestager. “Ursula von der Leyen ha chiesto una cosa del tutto legittima: datemi due candidati, un uomo e una donna”, ma il rifiuto dei governi – si è rammaricata la danese – “purtroppo smaschera la loro mancanza di sforzi”. Risolto anche quest’ultimo grattacapo, la squadra sarà pronta per essere presentata all’Eurocamera. Ed è lì, quando cominceranno le audizioni, che si misureranno ancora una volta i delicati equilibri della maggioranza che ha concesso a Ursula il bis. Con la possibilità che alcuni nomi – su tutti, l’ungherese Oliver Varhelyi – vengano affossati.

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Giornata off per Sangiuliano, verso il rientro in Rai

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Una giornata ‘off’, lontano dal clamore delle polemiche, dallo stillicidio delle stories e degli screenshot su Instagram, dalle pressioni politiche e mediatiche: il primo giorno da ex ministro di Gennaro Sangiuliano è all’insegna della ricerca di un po’ di serenità, dopo che il ciclone Boccia ha travolto la sua carriera ma anche la sua vita privata. “Io ho bisogno di tranquillità personale, di stare accanto a mia moglie che amo”, ha sottolineato lo stesso Sangiuliano nella lettera di dimissioni alla premier Meloni, pur senza arretrare rispetto alla volontà di “agire in tutte le sedi legali contro chi mi ha procurato questo danno”. I contatti con il suo legale di fiducia Salvatore Sica, al lavoro per mettere a punto la denuncia contro l’imprenditrice di Pompei che per qualche giorno ha tenuto sotto scacco il governo, sono costanti.

Ma per il resto l’agenda è all’insegna del ‘detox’, anche dal telefonino, anche dai social dove le intestazioni degli account recitano ormai “giornalista, scrittore e docente universitario. Ex direttore del Tg2, ex ministro della Cultura”: l’ultimo post è il video di ieri sera, mentre Sangiuliano attraversa il corridoio della sede del Collegio Romano accompagnato dagli applausi dei dipendenti. Quanto al futuro, l’affaire Boccia sembra aver eroso le possibilità di una candidatura dell’ex ministro alle Regionali 2025 nel centrodestra. La prospettiva, come spiega lo stesso Sangiuliano in un colloquio con Il Messaggero, è il rientro in Rai, azienda di cui è dipendente in aspettativa non retribuita da quando, da direttore del Tg2, a ottobre 2022 ha accettato l’invito di Meloni a entrare nell’esecutivo.

“Certo che ci tornerò. Come hanno fatto Marrazzo, Badaloni e tanti altri che presero aspettativa per impegnarsi in politica. Sono un dipendente Rai a tempo indeterminato. Tornerò al mio lavoro e nell’azienda dove sono cresciuto. Ma non voglio un posto di rilievo”, sottolinea. Tra i precedenti, anche quelli di Fabrizio Del Noce (deputato per Forza Italia dal 1994 al 1996) e Michele Santoro (eurodeputato eletto nella lista Uniti per l’Ulivo nel 2004, incarico da cui si dimise nell’ottobre 2005). L’ipotesi che circola nei rumors di queste ore sarebbe quella di affidare a Sangiuliano la direzione della TgR, oggi guidata da Alessandro Casarin, che ha un mandato in scadenza a novembre ed è candidato a entrare nel nuovo cda con il sostegno della Lega.

In ballo ci sono però le ragioni di opportunità che un ex ministro vada a dirigere una testata e soprattutto la necessità che si sblocchi l’impasse sulle nomine, rimaste al palo anche per il mancato dialogo con l’opposizione, indispensabile per il voto di ratifica sul presidente. Un vertice di maggioranza potrebbe tenersi a inizio settimana, anche perché giovedì in calendario al Senato c’è il voto per i membri del Cda. Intanto martedì si riunirà l’ufficio di presidenza della Vigilanza: sul tavolo, l’intervista dell’ex ministro al Tg1 sul caso Boccia.

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I dubbi nel Pd su Renzi. Bersani, lui è un problema

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L’alleanza con Matteo Renzi non piace al M5s. Ma anche nel Pd c’è da superare più di qualche perplessità. A metterlo in chiaro è stato Pier Luigi Bersani. L’ex segretario ora è un iscritto “semplice”, ma resta un punto di riferimento per la sinistra del partito. “E’ l’extracorporeo – ha detto – Il problema ce lo stanno buttando in casa, ma siamo proprio fessi? Davanti a un’esigenza di allargamento stiamo discutendo di Renzi?”. E’ il secondo avvertimento che arriva in poche ore al leader di Iv dal mondo Pd. Il giorno precedente c’erano stati gli applausi al presidente del M5s Giuseppe Conte alla festa nazionale dell’Unità, a Reggio Emilia. Renzi ha incassato e rilanciato.

Prima ha teso la mano a Conte per il campo largo, e subito dopo l’ha ritratta per l’alleanza in Liguria. “Alla festa dell’Unità, Conte si è portato dietro la claque grillina” ha attaccato, per poi allentare la tensione: “Io non ho un carattere accomodante, ma dico che vale la pena trovare cose su cui si sta insieme. Se con Conte parlo del passato litigo, ma mi interessa capire se possiamo ragionare sul futuro”. Nel M5s, però, l’umore non cambia: non è un problema di natura personale, ma di “affidabilità politica” di Renzi. Alla Festa del Fatto Quotidiano a Roma, Bersani ha messo in guardia Elly Schlein: “Sei sicura che il Pd sia vaccinato dal renzismo?”.

Bersani la vede così: “Se domani mattina casca il governo e c’è da fare un’alleanza improvvisata io” Renzi “non lo prenderei su. Se ci fosse un percorso, mi interessano anche gli elettori di Renzi e di Calenda”. Gli elettori, più che i leader. “Io partirei dal percorso – ha continuato Bersani – poi strada facendo si vede”. E dopo, tanto per ribadire: E’ “un’idea balzana che uno stia con la sinistra nel governo della regione e con la destra nel capoluogo”. Torna in ballo la Liguria, dove Iv è in maggioranza nel comune di Genova, governato dal centrodestra, mentre il Pd sta cercando di costruire il campo largo a sostegno della candidatura a governatore dell’ex ministro Andrea Orlando. Renzi aveva prospettato un’uscita dalla giunta genovese, ma Iv è ancora in maggioranza.

“Se Orlando ha voglia di vincere – ha detto Renzi – cercherà di mettere insieme tutte le anime che si riconoscono in un programma e fare una coalizione. Il punto è sui contenuti. Beppe Grillo e i 5 Stelle dicevano che volevano fermare la Gronda, una infrastruttura necessaria a Genova. Se Orlando dice no alla Gronda a me non interessa stare con una coalizione che blocca le infrastrutture, se i grillini hanno cambiato idea si può discutere”.

Il tema infrastrutture insegue Orlando. Che già nei giorni scorsi aveva rassicurato l’altro centrista, Carlo Calenda, che poi ha aperto all’intesa: le opere strategiche liguri – aveva ricordato Orlando – sono state tutte volute o finanziate dal centrosinistra. La Gronda? Se ne parla da anni: ma nel 2013 – viene ricordato – fu l’allora ministro dell’Ambiente Orlando a firmare la Valutazione di impatto ambientale. Nei giorni scorsi Orlando ha avvertito: non facciamoci del male da soli. “Rallentamenti e ritardi – ha spiegato – sono la conseguenza non di idee diverse” nel centrosinistra “ma del fatto che la destra ha tolto le risorse o non ha vigilato sul rispetto dei tempi”.

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