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Più robot in fabbrica ma pesa calo dell’automotive

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Tra uno e due robot ogni cento operai. Questi i numeri dell’automazione italiana, che resta indietro in Europa soltanto a causa del settore automotive. Se non lo si considera, siamo i primi tra i principali paesi in area euro (Francia, Germania, Italia, Spagna). Lo si legge nella relazione annuale di Banca d’Italia. Se a metà degli anni ’90 eravamo di poco lontani dalla Germania (noi avevamo 5,6 robot ogni 1.000 addetti, mentre nel mercato tedesco erano 7,6), al 2021 il divario si è ampliato e siamo stati superati dalla Spagna. In Germania ci sono oltre 10 macchinari in più ogni 1.000 operai rispetto all’Italia (27,3 contro i nostri 16,4), mentre in Spagna sono 18,3. Resta ancora indietro la Francia, con poco più di 15.

Una questione, però, che riguarda sia il minor sviluppo dell’automotive nel nostro Paese, sia la sua più specifica settorialità. Da noi la produzione di auto ha un’incidenza di robot pari al 58% della media di Germania e Spagna perché noi produciamo più componenti, attività meno adatta all’automazione. Inoltre, la chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e la rinuncia al piano Fabbrica Italia hanno portato a una riduzione nell’uso di robot nel nostro mercato automobilistico. Detto ciò, se ai numeri si sottrae l’intero settore auto, l’Italia balza in prima posizione.

L’industria manifatturiera italiana, infatti, può contare su una buona automatizzazione delle produzioni di apparecchi elettrici, macchinari e prodotti in metallo. Inoltre, a questi settori si sono aggiunti anche quello metallurgico, alimentare e farmaceutico, nei quali il numero di robot installati è cresciuto nell’ultimo decennio più che altrove. Per quanto riguarda i rischi sull’occupazione, spesso una delle preoccupazioni quando si parla di automazione, in Italia finora non è mai emersa una correlazione tra l’impiego di robot e la perdita di posti di lavoro. Piuttosto, dove sono impiegati è aumentata la produttività.

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Trova una terapia e la sperimenta sul suo tumore

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Una ricercatrice si è curata con successo il tumore del seno utilizzando una tecnica da lei messa a punto e basata su due virus da lei stessa coltivati in laboratorio. A seguire questa strada “non convenzionale”, come lei stessa la definisce, è stata la virologa Beata Halassy dell’Università di Zagabria, che sulla rivista Vaccine descrive il suo caso come “qualcosa da non imitare”. Il risultato, del quale parla anche la rivista Nature sul suo sito, sta sollevando un vivace dibattito etico riguardo all’auto-sperimentazione. Halassy aveva scoperto nel 2020, quando aveva 49 anni, che un nuovo tumore si era formato nello stesso sito nel quale in precedenza aveva subito una mastectomia. Davanti a questa recidiva, la seconda, non si è sentita in grado di affrontare nuovamente la chemioterapia ma non si è arresa.

Ha deciso di prendere in mano la situazione e ha cominciato a studiare la letteratura scientifica sfruttando le sue competenze di virologa. Così ha calibrato sulla sua situazione una terapia che oggi si sta solo cominiciando a sperimentare, chiamata viroterapia oncolitica. E’ accaduto quattro anni fa e da allora il tumore non si è riformato. La viroterapia oncolitica è un settore emergente e utilizza i virus sia per aggredire le cellule tumorali, sia per stimolare il sistema immunitario ad attaccare il tumore. Le sperimentazioni cliniche finora basate su questa tecnica, inizialmente condotte solo su tumori con metastasi, ora stanno considerando anche gli stadi più precoci dei tumori. Una di queste sperimentazioni cliniche, per esempio, è in corso negli Stati Uniti su casi di melanoma. Non esistono invece test sul tumore del seno.

A spingere Halassy a sperimentare la tecnica su di sé è stata la sua competenza in virologia. Ha deciso di scatenare contro il suo tumore due virus, uno dopo l’altro: quello del morbillo seguito da uno dei virus della stomatite vescicolare, sui quali la ricercatrice aveva lavorato in passato ed entrambi utilizzati nelle sperimentazioni allora avviate. Il preparato è stato direttamente iniettato nel tumore per due mesi, durante i quali gli oncologi hanno costantemente controllato la situazione per intervenire con la chemioterapia se le cose fossero andate male.

Il tumore si è ridotto progressivamente senza gravi effetti collaterali, finchè non è stato possibile asportarlo chirurgicamente. In seguito la ricercatrice è stata trattata per un anno con un anticorpo monoclonale. L’analisi del tessuto tumorale, infiltarto dalle cellule immunitarie chiamate linfociti, ha dimostrato che la terapia aveva funzionato con successo. Dopo una decina di rifiuti da parte di riviste scientifiche, Hallasy è riuscita a pubblicare i suoi risultati. Nonostante le polemiche, la ricercatrice non ha rimpianti per la sua scelta e ritiene improbabile che qualcuno cerchi di imitarla perché la terapia che ha scoperto nel suo laboratorio richiede una notevole preparazione scientifica. Adesso ha ottenuto un finanziamento per sperimentare la sua terapie per trattare il cancro negli animali domestici.

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Inzaghi sfida Conte, servirà una delle migliori Inter

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Servirà “una delle migliori Inter” per battere il Napoli e volare in testa alla classifica. Parola del tecnico nerazzurro Simone Inzaghi, che vuole il sorpasso nella gara di domani sera, in un San Siro che farà registrare per l’ennesima volta il tutto esaurito, pur essendo consapevole che “parlare di classifica è ancora presto”. “Domani sarà una partita bellissima, affrontiamo la squadra che è in testa al campionato. Conte ha dato un’ottima organizzazione alla squadra che è molto forte e ha tanta qualità, ci vorrà una delle migliori Inter per fare il massimo davanti al nostro pubblico”, ha detto l’allenatore intervistato da Inter Tv alla vigilia della sfida.

“Stiamo cercando di recuperare in questi giorni dalla gara di mercoledì e ci stiamo preparando bene, il Napoli ha subito gol solo a Verona in trasferta e conosciamo le loro qualità – ha aggiunto -. Ci stiamo preparando per fare una grande gara, cercando di recuperare energie fisiche e mentali, adesso ci manca l’ultimo sforzo domani con il Napoli. Abbiamo avuto qualche problema nelle rotazioni in queste gare perché abbiamo perso qualche giocatore ma c’è grande fiducia. I dettagli in queste gare sappiamo che possono fare la differenza, ci vorrà tanta organizzazione per non farci sfuggire nulla”. Una partita importante, quindi, ma tutt’altro che decisiva nell’opinione di Inzaghi. “Parlare di classifica è presto, mancano tante gare ma sappiamo che questo match è importante per il nostro cammino ed è la nostra ultima gara prima della sosta, vogliamo chiudere bene sapendo di avere di fronte una squadra fortissima”, ha proseguito.

“Sono molto contento di avere un gruppo solido, i ragazzi lavorano sempre con il sorriso e per me è un grande segnale. Ho la fortuna di avere tanti leader in squadra che ogni giorno aiutano me e lo staff”. Un gruppo solido e sostanzialmente al completo tra l’altro per Inzaghi, che domani dovrà fare a meno del solo Carlos Augusto (che si rivedrà dopo la sosta per le nazionali). Tornerà quindi quella che è la formazione tipo per il tecnico nerazzurro, anche se restano un paio di ballottaggi. Davanti a Sommer nel classico 3-5-2 inzaghiano così dovrebbero schierarsi in difesa Pavard, Acerbi (anche se per De Vrij resta ancora qualche chance) e Bastoni, con gli ultimi due rimasti a riposo nella sfida di mercoledì scorso in Champions League vinta contro l’Arsenal.

Gara in cui decisiva è stata la rete di Calhanoglu, che sarà confermato dal 1′ ritrovando ai suoi fianchi Barella e Mkhitaryan, anche loro partiti dalla panchina nella sfida europea con la squadra inglese. Così come Dimarco, che si riprenderà la maglia da titolare sulla sua fascia sinistra, mentre a destra Dumfries è in vantaggio su Darmian. Infine, in attacco si rivedrà la coppia formata da capitan Lautaro Martinez e da Thuram. Entrambi a caccia di gol pesanti (l’argentino viene da due reti in due partite in campionato, mentre il francese è a secco in Italia dalla tripletta al Torino del 5 ottobre) per riportare l’Inter davanti a tutti in classifica in Serie A.

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Esteri

Il futuro di Harris dopo la sconfitta

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Kamala Harris non pensa ancora al futuro. La ferita della sconfitta è ancora troppo fresca per consentirle di guardare avanti con lucidità. Ipotizzare la strada che intraprenderà, riferiscono amici e consiglieri, è prematuro ma la vicepresidente potrebbe avere varie opzioni fra cui scegliere una volta che i tempi saranno maturi. La possibilità che resti in politica è la più remota. Al momento anche solo pensare a una sua ricandidatura alle elezioni del 2028 appare un miraggio, considerata la facilità con cui Donald Trump ha vinto. Ma quattro anni in politica sono un’eternità e Harris ha accesso a una vasta rete di donatori che, se il mandato del presidente-eletto dovesse essere caotico, forse potrebbe sostenerla ancora nel cercare di realizzare il sogno di infrangere il soffitto di cristallo. Harris difficilmente – riporta il New York Times – potrebbe decidere di ricandidarsi per il Senato: i due senatori che rappresenteranno la California sono appena stati eletti ed è improbabile che lascino a breve. Nel suo stato Harris potrebbe aspirare a diventare governatrice, raccogliendo l’eredità di Gavin Newsom qualora decidesse, come si vocifera da tempo, di scendere in campo nel 2028.

Fra gli incarichi istituzionali c’è chi sogna che Joe Biden la nomini alla Corte Suprema prima del suo addio alla Casa Bianca. Un’ipotesi irrealizzabile visto che i democratici dovrebbero prima convincere la giudice Sonya Sotomayor a lasciare e poi premere sull’acceleratore per confermare Harris prima del 20 gennaio. Le ipotesi che, al momento, sono le più accreditate fra i sui alleati sono il settore privato, anche nei panni di lobbista, o l’ingresso in un think tank dove avrebbe la possibilità di portare avanti le sue cause senza le restrizioni imposte dal ruolo di vicepresidente di Biden. Harris potrebbe optare anche per scrivere un libro, sulla scia di quanto fatto da Hillary Clinton nel 2016 dopo la sconfitta contro Donald Trump. Quello che appare certo è che la vicepresidente, trascorsi questi ultimi 70 giorni alla Casa Bianca, si prenderà del tempo per sé stessa e per riflettere sulle sue prossime mosse fra passeggiate e cibo non consumato in aereo. Poco prima del voto, per l’esattezza il 27 ottobre, Harris aveva infatti chiarito che fra i suoi piani post-elezioni ci sarebbe stato “ingrassare qualche chilo”. “Mi stanno consumando”, aveva scherzato ignara di quello che l’avrebbe attesa solo qualche giorno dopo.

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