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Economia

Inps, risultato esercizio 2023 positivo per 2,063 miliardi

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L’Inps nel 2023 ha avuto un risultato economico di esercizio positivo per 2.063 mln. Per effetto di tale risultato e della riduzione del debito nei confronti della tesoreria statale, il patrimonio netto dell’Inps passa da 23.221 mln di inizio esercizio a 29.784 mln al 31.12.2023. Lo si legge in una nota. Il progetto di rendiconto elaborato dal Cda presieduto da Gabriele Fava, su proposta del direttore generale Valeria Vittimberga, sottolinea che l’esercizio 2023 si conclude con un avanzo finanziario pari a 12.188 mln, derivante dal risultato di parte corrente (7.668 mln), e dal risultato in conto capitale (4.520 mln). Il rendiconto andrà a valutato e approvato dal Civ entro luglio.

Le entrate contributive accertate sono pari a 269.152 mln, con un aumento di 13.014 mln (+5,1%) rispetto al dato del consuntivo precedente (256.138 mln). Gli accertamenti derivanti dalle attività di vigilanza ispettiva dell’Istituto sono ricompresi nelle entrate contributive e, al netto delle minori prestazioni erogate, ammontano a 821 mln (+14,19% rispetto al 2022). Nel 2023 l’Inps ha erogato prestazioni istituzionali per 398.063 mln, con un aumento di 17.345 mln (+4,6%) rispetto al 2022 (380.718 mln). Le spese per il sostegno del reddito (trattamenti di disoccupazione, integrazioni salariali bonus, trattamenti di malattia ecc.), che nel 2022 erano pari a 26.033 mln, presentano una flessione del 29,3% e totalizzano 18.408 mln (-7.625 mln). La flessione è principalmente attribuibile alla minore spesa per il Bonus 200 euro (Art 32 DL 50/2022) e il Bonus 150 euro (DL 144/2022) che, complessivamente, nel 2022 ammontavano a 8.391 mln (554 mln, nel 2023).

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Economia

Tim tratta in esclusiva col Mef su Sparkle

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La vendita di Sparkle non solo porta nelle casse di Tim altri 700 milioni di euro ma risolverebbe una ‘anomalia’ nella struttura del gruppo che ormai si è dato un’impronta da ‘società di servizi’. Non è da escludere poi che la società dei cavi internazionali possa confluire nella rete unica a cui punta il Mef che, se realizzata entro il 2026, sbloccherebbe quei 2,5 miliardi di ‘earn out’ legati alla cessione di Netco a Kkr. La Borsa, dove il titolo ha fatto un altro piccolo passo avanti (+2% a 0,26 euro) e gli analisti leggono l’operazione come positiva e si aspettano che Tim accetti la proposta del Mef e, con una quota di minoranza, del fondo spagnolo Asterion, attraverso la controllata Retelit.

E Tim non perde tempo. Il cda, dopo meno di 24 ore, si riunisce, esamina la proposta e dà mandato all’amministratore delegato, Pietro Labriola, di avviare interlocuzioni con gli offerenti, in via esclusiva, finalizzate ad approfondire i profili economici e finanziari dell’operazione e a ottenere la presentazione – entro il 30 novembre – di un’offerta vincolante secondo i migliori termini e condizioni.

L’offerta che c’è ora in campo, rispetto alla precedente di 625 milioni di euro più 125 milioni di euro di earn-out, è qualitativamente migliorativa perché i 700 milioni offerti dal Mef e da Asterion sarebbero ‘tutti subito’. “Gli 0,7 miliardi di euro di liquidità in entrata si aggiungerebbero agli 0,24 miliardi proventi dalla vendita di Inwit – ricordano gli analisti di Mediobanca – con un ulteriore taglio di 1 miliardo di euro alla posizione debitoria di Tim, portando il rapporto di leva finanziaria (ebitda/debito) ben al di sotto di 2 volte”.

Equita e Intermonte hanno invece colto le recenti dichiarazioni del direttore generale del Mef Marcello Sala a un convegno che ha espressamente indicato l’obiettivo del governo di avere “un’unica società nel Paese per la fibra ottica”. “Riteniamo che il governo italiano sia estremamente interessato a evitare un default di Open Fiber anche per il rischio di perdere 1,8 miliardi di euro di fondi Pnrr se il progetto Italia a 1Giga non sarà completato entro giugno 2026” scrivono gli analisti.

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Economia

Zuckerberg batte Bezos, è il secondo più ricco al mondo

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Mark Zuckerberg supera Jeff Bezos e diventa il secondo uomo più ricco al mondo alle spalle di Elon Musk. Zuckerberg vale 210,7 miliardi di dollari contro i 209,2 di Bezos. Musk ha una fortuna di 262,8 miliardi. E’ quanto emerge dal Bloomberg Billionaires Index.

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Economia

Salvo l’uso di ‘bistecca’ e ‘salsiccia’ per prodotti veg

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In Francia e in Unione Europea l’uso di nomi tipicamente associati alla carne per i prodotti a base vegetale è salvo: i cibi a base di proteine vegetali potranno continuare a chiamarsi ‘salsicce’, ‘bistecche’ o ‘hamburger’ e nessuno Stato membro può impedirlo. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Giustizia dell’Ue accogliendo, in forma di sentenza, l’istanza di quattro organizzazioni francesi attive nel settore dei prodotti vegetali e vegani (l’Association Protéines France, l’Union vegetarienne européenne, l’Association végétérienne de France e la società Beyond Meat Inc.) che hanno contestato al governo di Parigi un decreto che vietava l’uso di termini come ‘bistecca’ o ‘salsiccia’ per indicare prodotti a base vegetale.

Un decreto pensato, secondo Parigi, per tutelare la trasparenza delle informazioni sui cibi, ma finito prima sul tavolo del Consiglio di Stato francese, e poi direttamente alla Corte di Lussemburgo. Per i giudici comunitari le norme sull’etichettatura alimentare tutelano già “sufficientemente i consumatori”, anche in questi casi. Dunque, uno Stato membro “non può impedire con un divieto generale ed astratto” ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere all’obbligo di indicare la denominazione di questi alimenti con “denominazioni usuali” o “descrittive”. A meno che il Paese non abbia adottato una “denominazione legale” per indicarli e purché le modalità di vendita o di promozione di quel prodotto non siano fuorvianti per i consumatori, inducendoli all’errore.

La Corte dell’Ue parla alla Francia, ma in realtà parla a tutta Europa, dove l’uso di termini associati a cibi contenenti proteine animali a quelli vegetali è sempre più dibattuto, soprattutto per via della diffusione di questi ultimi sul mercato europeo. Le prime divisioni a Bruxelles sono emerse nel 2020, quando nel quadro dei negoziati sulla Politica agricola comune (Pac) al Parlamento europeo di Strasburgo ci fu il tentativo di inserire nella revisione delle norme una serie di emendamenti per eliminare l’uso delle denominazioni di carne per i prodotti a base vegetale. Ma il blitz fallì e il blocco di emendamenti al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli fu respinto. Il dibattito è rimasto aperto ed è, tra l’altro, particolarmente sentito in Italia. La sentenza, ad esempio, potrebbe non piacere a Lega e FdI, che del divieto di etichettatura tradizionale per i prodotti veg ne hanno fatto da tempo una bandiera.

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