A sei mesi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre ai kibbutz nel sud di Israele e dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, una tregua appare ancora difficile, così come un nuovo scambio di prigionieri. Nelle prossime ore riprenderanno al Cairo – anche su forte pressione del presidente americano Joe Biden – i contatti indiretti tra Israele e una delegazione di Hamas, guidata dal responsabile Khalil Al-Hayya, attraverso i mediatori dell’Egitto e del Qatar. Ma, dopo sei mesi di angoscia per gli israeliani prigionieri a Gaza e dopo il ritrovamento del corpo senza vita di uno di loro, si moltiplicano le manifestazioni in diverse parti di Israele per chiederne la liberazione e invocare le dimissioni del premier Benyamin Netanyahu ed elezioni anticipate: centomila persone sono scese in piazza, nella sola a Tel Aviv, secondo gli organizzatori, un numero che non si vedeva dalle proteste anti governative del sabato sera prima della guerra.
Una protesta degenerata in scontri con la polizia dopo che i manifestanti hanno acceso fuochi in Kaplan Street e gli agenti hanno usato la forza per allontanarli mentre la folla gridava: “Polizia, chi proteggete esattamente” e “Ben-Gvir è un terrorista”. Il ministro degli Esteri Israel Katz e cinque famiglie degli ostaggi saranno da domani in Italia per quella che si annuncia come una vera e propria offensiva diplomatica.
Secondo Ynet, l’obiettivo del viaggio è “convincere gli italiani a ritirare la loro opposizione all’operazione a Rafah, bloccare le richieste di cessate il fuoco unilaterale nell’Unione europea e aumentare la pressione sul Libano: l’obiettivo della delegazione è anche quello di mantenere la legittimità israeliana nel continuare i combattimenti e promuovere la questione dei rapiti”. Ed è lo stesso Katz, su X, a chiarire rivolgendosi genericamente agli occidentali che “la nostra guerra è anche la vostra guerra”. Il ministro sottolinea: “Il messaggio che trasmetto negli incontri con i ministri degli Esteri dei Paesi occidentali è: se non ci sostenete adesso, domani troverete nelle vostre strade e nelle vostre case il terrorismo islamico estremista guidato dall’Iran”.
Il cadavere di Elad Katzir, 47 anni, è stato recuperato dall’Idf a Khan Yunis, vera e propria roccaforte di Hamas nel sud della Striscia di Gaza. L’uomo era stato rapito il 7 ottobre nel kibbutz di Nir Oz ed è stato “ucciso in cattività dalla Jihad islamica”, ha detto il portavoce militare: l’8 gennaio scorso la stessa fazione palestinese aveva diffuso un video di lui ancora in vita. Il ritrovamento del corpo ha ulteriormente motivato le famiglie degli ostaggi a rivolgere l’ennesimo appello a Netanyahu ad accelerare su un accordo per i rapiti “prima che sia troppo tardi”.
Il premier fa fronte a un’opposizione crescente: dopo il ministro centrista Benny Gantz – che ha invocato il voto anticipato per settembre -, anche il leader dell’opposizione Yair Lapid ha deciso di volare a Washington dove incontrerà il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e il segretario di Stato americano Antony Blinken.
Nelle prossime ore tutta l’attenzione sarà però calamitata dal Cairo per la nuova tornata di colloqui alla presenza del direttore della Cia William Burns e quella, quasi certa, del capo del Mossad David Barnea. Nella serata di domenica – secondo i media – è previsto un vertice tra il capo della Cia, il primo ministro di Doha Muhammad al-Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel. Burns – secondo funzionari Usa – porta con sé due lettere di Biden per i leader di Egitto e Qatar in cui il presidente Usa li esorta a fare pressione su Hamas per un accordo con lo Stato ebraico sugli ostaggi.
La posizione di Hamas tuttavia resta immutata: per arrivare a un’intesa – ha fatto sapere la stessa fazione islamica su Telegram, confermando al tempo stesso la partenza della sua delegazione per il Cairo – vuole un “cessate il fuoco permanente, il ritiro dell’esercito da Gaza, il ritorno degli sfollati, la libertà di movimento e un serio accordo di scambio di prigionieri”. Punti – soprattutto i primi – che però Israele ha già più volte respinto. Al 183esimo giorno di guerra, Israele continua ad operare nel sud della Striscia e a preparare l’annunciata operazione di terra a Rafah, forse per la fine del Ramadan. L’Idf ha annunciato di aver ucciso Akram Abd Al-Rahman Husein Salamah, “un operativo senior della Sicurezza interna di Hamas”.
Il bilancio dei morti a Gaza – dove la situazione umanitaria resta disastrosa in attesa dell’incremento degli aiuti umanitari annunciato da Israele – secondo dati di Hamas che non è possibile verificare in modo indipendente, è salito a quota 33.137. “La guerra a Gaza – ha detto il capo dell’Ufficio dell’Onu per gli affari umanitari, Martin Griffiths – rappresenta “un tradimento dell’umanità”.