Governo socialista battuto in aula sulla legge di amnistia, affondata dai 7 deputati di Junts, il partito indipendentista catalano col quale aveva concordato il controverso provvedimento di clemenza come contropartita della riconferma a premier di Pedro Sanchez nel novembre scorso. Una via crucis per il leader progressista, mentre le destre, il Partito Popular e Vox esultano. Il disegno di legge tornerà ora in Commissione giustizia dove il partito dell’ex presidente catalano ed eurodeputato Carles Puigdemont, fuggito in Belgio all’indomani della dichiarazione unilaterale di indipendenza nell’ottobre 2017, spera di poter ottenere quello che finora non ha ottenuto.
“Un’amnistia integrale” e non “selettiva e in differita”, reclamata in aula dalla portavoce Miriam Nogueras, che copra anche tutti i reati di terrorismo ed alto tradimento, di cui sono indagati alcuni dei 1500 implicati a vario titolo nel processo secessionista. Primo fra tutti l’uomo di Waterloo, Carles Puigdemont. In quanto progetto di legge organica, la normativa richiedeva una maggioranza assoluta dei 350 seggi della Camera bassa per proseguire l’iter al Senato. E’ stata invece bocciata in seconda votazione con 171 si e 179 no, quelli di Pp, Vox, i due deputati di Upn e Cc, oltre i 7 di Junts. La pesante battuta d’arresto all’iter parlamentare è stata inflitta al Psoe proprio dall’inaffidabile alleato, che in apertura della seduta aveva minacciato il voto contrario. E ha mantenuto la promessa, dopo che sono stati respinti tutti i suoi emendamenti.
Per il ministro di giustizia, Felix Bolanos, “è assolutamente incomprensibile che Junts abbia votato assieme al Pp e Vox, che vogliono mandarli in galera”. Bolanos ha avvertito che ci sono pochi margini di modifica e ha invitato Puigdemont “a rivedere la sua posizione”. Un “calvario” e “un’umiliazione costante” per Pedro Sanchez, lo aveva deriso all’arrivo in aula il leader dei popolari, Alberto Nunez-Feijoo, che domenica ha convocato in piazza a Madrid 45mila persone come anticipo della mobilitazione che continuerà nelle piazze del Paese durante l’intero iter parlamentare della controversa legge. Sanchez aveva puntato molto sulla rapida approvazione per voltare pagina e avanzare verso la “normalizzazione” della Catalogna. Per mettere la sordina al clima di tensione per le concessioni agli indipendentisti catalani, alimentato non solo dalle opposizioni, ma anche dalle voci fortemente critiche di baroni socialisti, a cominciare dall’ex premier Felipe Gonzalez.
Con le elezioni galiziane dietro l’angolo, il 19 febbraio, cui seguiranno quelle europee e quelle basche, il premier sperava di poter rapidamente archiviare il dissenso. Da qui la decisione, con la coalizione di sinistra Sumar, di ricorrere a una procedura accelerata dopo i negoziati con le forze indipendentiste catalane. Quella che non era prevista e ha fatto saltare i patti è stata l’offensiva portata avanti dai magistrati titolari delle inchieste sui disordini che nel 2019 hanno visto protagonisti gli indipendentisti di Tsunami Democratic e dei Comitati di difesa della repubblica, accusati in alcuni casi di terrorismo; e quella dell’alto tribunale dell’Audiencia Nacional, che ipotizza per Puigdemont e il suo entourage nuovi presunti collegamenti e “relazioni personali” nella cosiddetta trama russa tessuta dall’intelligence del Cremlino, interessata a “destabilizzare l’Unione Europea”.
Non solo hanno prorogato di sei mesi le indagini, ma hanno confermato che indagano l’ex presidente catalano per terrorismo e alto tradimento. “Non potevamo votare a favore di un’amnistia a metà e non integrale”, ha twittato su X lo stesso Puigdemont dopo il no del Congresso. Deciso a non rinunciare al massimo beneficio che gli dà la sua posizione di forza nei confronti dell’esecutivo.