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Salute

Nuovo passo per Car-T, contro malattie autoimmuni bimbi

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 La tecnologia delle terapie Car-T segna un ulteriore traguardo. Utilizzate finora per il trattamento di vari tumori, ed in particolare per le neoplasie del sangue come leucemie, mielomi e linfomi, si sono ora dimostrate efficaci anche contro gravi malattie autoimmuni nei bambini. Il risultato è stato ottenuto all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma: due ragazze italiane e 1 bambino ucraino di 12 anni, fuggito dalla guerra, sono infatti i primi pazienti pediatrici affetti da gravi patologie autoimmuni ad essere stati trattati con cellule Car-T capaci di mandare in remissione la loro malattia. Risultati analoghi sono già stati ottenuti su 5 pazienti adulti. Si tratta di un’applicazione innovativa i cui risultati sono stati presentati recentemente a Padova, nell’ambito dei lavori del Centro Nazionale 3 per lo sviluppo della terapia genica previsto dal Pnrr. Le malattie autoimmuni sono patologie caratterizzate da un’aggressione del sistema immunitario che, invece di difendere l’organismo da batteri e virus, attacca e distrugge i tessuti sani di un individuo.

I tre pazienti erano affetti da forme molto gravi di lupus eritematoso sistemico, che può attaccare reni, polmoni e sistema nervoso centrale, e dermatomiosite, che colpisce la cute ed i muscoli scheletrici. Ad oggi, nella recente letteratura scientifica sono descritti 5 casi di pazienti adulti con Lupus eritematoso trattati con successo grazie alle Car-T. Da qui nasce l’idea dei ricercatori di testare la stessa soluzione per la prima volta anche in ambito pediatrico, utilizzando il prodotto di terapia genica dell’azienda biotecnologica Miltenyi.

Quindi la richiesta ad Aifa di uso non ripetitivo del trattamento per i 3 pazienti, che avevano forme di malattia gravi e refrattarie ai trattamenti convenzionali. La terapia con Car-T prevede la manipolazione in laboratorio dei linfociti T del paziente per renderli capaci di riconoscere e attaccare le cellule tumorali attraverso l’introduzione di una sequenza di Dna che codifica per una proteina chiamata recettore chimerico. Nelle leucemie linfoblastiche acute e nei linfomi non Hodgkin questa proteina riconosce un bersaglio rappresentato dall’antigene CD19, espresso dalle cellule tumorali, che vengono in questo modo riconosciute e attaccate. Lo stesso antigene CD19 è espresso anche dai linfociti B del sistema immunitario, che nel caso del lupus eritematoso e delle dermatomiositi giocano un ruolo cruciale nel determinare la malattia.

“Usando lo stesso bersaglio – spiega Franco Locatelli, responsabile dell’area di Oncoematologia e Terapia Cellulare e Genica del Bambino Gesù – trasliamo il medesimo approccio di terapia genica da un contesto di malattia neoplastica a uno non neoplastico”. Positivi gli esiti: tutti e tre i pazienti hanno riscontrato benefici rilevanti e sostenuti nel tempo. A distanza di diversi mesi dal trattamento, coerentemente con quanto riscontrato nei pazienti adulti, sono in remissione di malattia e non assumono più farmaci immunosoppressori. La prima paziente, una ragazza messinese di 17 anni affetta da lupus, è a quasi 9 mesi ormai dall’infusione di cellule Car-T. Il secondo paziente, un bambino ucraino di 12 anni affetto da dermatomiosite, è a 7 mesi dal trattamento. La terza paziente, una ragazza romana di 18 anni anche lei affetta da lupus, è a circa 2 mesi dal trattamento. Era stata ospedalizzata per 6 mesi, dipendente da ossigeno, più volte assistita in rianimazione. Oggi è a casa in buone condizioni generali di salute. “Sono dati assolutamente rilevanti – afferma Fabrizio De Benedetti, responsabile dell’area di ricerca di Immunologia, Reumatologia e Malattie infettive -. Questi risultati ci incoraggiano a proseguire nella direzione di un trial clinico con un numero più ampio di pazienti pediatrici”.

La terapia genica, conclude il presidente dell’Ospedale, Tiziano Onesti, “rappresenta una sfida e un’opportunità unica per i sistemi sanitari globali. Ci consente di offrire risposte concrete a pazienti che erano senza speranza, e offre anche la possibilità di rafforzare la sostenibilità dei sistemi sanitari liberando risorse per migliorare la salute generale”.

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Aifa, una nuova piattaforma ottimizza fondi farmacovigilanza

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Un nuovo sistema informatico ha l’obiettivo di rendere più efficiente la gestione dei Fondi di Farmacovigilanza, essenziali per il funzionamento dei Centri Regionali e per la realizzazione di progetti di farmacovigilanza attiva, favorendo così la conoscenza del profilo beneficio-rischio dei medicinali dopo la loro commercializzazione, nelle reali condizioni di uso. Il nuovo sistema messo a punto dall’Agenzia Italiana del Farmaco sarà accessibile alle Regioni a partire dal 1° ottobre, dopo l’evento di presentazione e formazione svoltosi oggi presso la stessa Agenzia.

“Da un sistema nel quale tutto è ancora inserito manualmente, con l’inevitabile rallentamento della gestione dei dati e dell’attività di monitoraggio, si passa a una innovativa piattaforma digitale che consentirà di migliorare l’efficienza dell’uso delle risorse finanziarie, permettendo una gestione più semplice e tracciabile”, spiega Anna Rosa Marra, responsabile dell’Area Vigilanza Post-Marketing dell’Aifa. Più nel dettaglio il sistema permette di: – inserire i dati tecnici ed economici in modo standardizzato, rendendo più facile la condivisione e l’analisi delle informazioni; – tracciare ogni attività e la relativa comunicazione, così da avere il costante controllo di ciascuna fase del processo; – monitorare le attività finanziate, con notifiche automatiche che ricordano le scadenze.

“L’implementazione del Sistema informatico per la gestione dei fondi di farmacovigilanza rappresenta una svolta importante nella gestione delle risorse pubbliche destinate alla sorveglianza post-marketing dei medicinali”, afferma Anna Rosa Marra. “Sono certa – conclude – che questa piattaforma consentirà alle Regioni e all’Aifa di lavorare in modo più coordinato, migliorando l’efficacia dell’attività di farmacovigilanza, fondamentale in termini di sicurezza e di utilizzo ottimale dei medicinali”.

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Salute

Immunoterapia aumenta sopravvivenza in sempre più tumori

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L’immunoterapia migliora la sopravvivenza a lungo termine in un numero crescente di tumori, dal melanoma al cancro al seno difficile da trattare a quello alla vescica. Lo dimostrano gli studi presentati al congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo). Un passo avanti importante della ricerca anche se, avvertono gli oncologi, resta ancora da approfondire il problema della resistenza che si verifica in alcuni pazienti. L’immunoterapia, che agisce consentendo al sistema immunitario dell’organismo di riconoscere e distruggere le cellule tumorali, migliora infatti la sopravvivenza globale a lungo termine nei pazienti con melanoma avanzato, secondo i risultati di ampi studi internazionali riportati all’Esmo. Ulteriori studi mostrano inoltre un miglioramento della sopravvivenza a lungo termine con l’immunoterapia somministrata prima e dopo l’intervento chirurgico in donne con carcinoma mammario in stadio iniziale e difficile da trattare (carcinoma mammario triplo negativo) e in pazienti con carcinoma della vescica muscolo-invasivo.

“Il messaggio principale di tutti questi studi è che l’immunoterapia continua a mantenere la sua promessa con la speranza di sopravvivenza a lungo termine per molti pazienti con diversi tipi di cancro. L’immunoterapia può funzionare per molto tempo”, afferma Alessandra Curioni-Fontecedro, professoressa di Oncologia all’Università di Friburgo. Guardando al futuro della ricerca con l’immunoterapia, Curioni-Fontecedro ha tuttavia sottolineato che “abbiamo ancora alcune domande importanti che non hanno risposta. Il primo è capire perché i tumori si ripresentano in alcuni pazienti nonostante la risposta iniziale all’immunoterapia. Ancora non capiamo come la resistenza all’immunoterapia possa verificarsi in alcuni pazienti. Dobbiamo capire cosa succede in questi pazienti, quali sono i meccanismi di resistenza e come possiamo superarli”. E’ quindi “importante – ha concluso – che i ricercatori e le aziende farmaceutiche lavorino insieme per affrontare efficacemente il problema della resistenza all’immunoterapia”.

In particolare, uno studio di fase 3 ha evidenziato che in pazienti con melanoma avanzato, dopo un follow-up di almeno 10 anni, la sopravvivenza globale mediana è stata di circa 6 anni con l’immunoterapia di combinazione con nivolumab più ipilimumab (studio CheckMate 067). L’immunoterapia, commenta Marco Donia, professore di Oncologia al Centro nazionale per la terapia immunitaria del cancro della Danimarca, “ha trasformato il melanoma avanzato da qualcosa che in precedenza era una malattia mortale con una sopravvivenza mediana inferiore a un anno a quello che vediamo oggi, con la metà dei pazienti che sopravvive per molti anni”. Donia sostiene inoltre il diritto di questi pazienti di ‘essere dimenticati’ come malati oncologici dopo cinque anni di assenza di cancro dalla fine del trattamento, “in modo che non subiscano discriminazioni ri spetto alla popolazione generale quando cercano credito finanziario”. Un miglioramento della sopravvivenza globale con l’immunoterapia è stato riportato anche nel carcinoma mammario triplo negativo in stadio iniziale.

I tumori al seno triplo negativi sono particolarmente difficili da trattare, ma i risultati hanno mostrato un miglioramento significativo della sopravvivenza globale con immunoterapia più chemioterapia prima dell’intervento chirurgico e immunoterapia continua dopo l’intervento: il tasso di sopravvivenza globale a cinque anni è stato dell’86,6% nei pazienti sottoposti a immunoterapia e dell’81,2% nel gruppo placebo. Un miglioramento simile della sopravvivenza globale con l’immunoterapia prima dell’intervento chirurgico è stato osservato in uno studio anche su pazienti con carcinoma della vescica muscolo-invasivo. I pazienti trattati con immunoterapia (durvalumab) hanno mostrato una sopravvivenza libera da eventi significativamente più lunga.

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Melanoma, Ascierto: nuova immunoterapia funziona nei pazienti resistenti

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Una seconda chance per l’immunoterapia contro il melanoma, quando questa fallisce, e una nuova opportunità terapeutica per i pazienti ‘resistenti’, più difficili e con poche speranze di cura. E’ ciò che promette un nuovo studio clinico internazionale di Fase I, guidato da Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Pascale di Napoli, presentato in occasione del congresso annuale della Società europea di oncologia medica (Esmo).

I risultati dimostrano l’efficacia di un nuovo farmaco nello sbloccare l’azione dell’immunoterapia sia nei pazienti con resistenza primaria, cioè che non hanno mai risposto all’immunoterapia, sia nei pazienti con resistenza acquisita, coloro che hanno iniziato a non rispondere agli immunoterapici dopo un po’ di tempo. “Il nostro studio mostra la sicurezza e l’efficacia di Wnt974, molecola che inibisce la via di segnalazione Wnt/beta-catenina coinvolta nella mancata risposta all’immunoterapia, nel superare la resistenza, offrendo ai pazienti una nuova possibilità di cura – spiega Ascierto -. La combinazione di Wnt974 con l’immunoterapia è risultata efficace nel 18% dei pazienti con melanoma che non hanno mai risposto all’immunoterapia. In 2 casi la malattia è addirittura scomparsa. Il trattamento, inoltre, è risultato efficace nel 35,7% dei pazienti con resistenza acquisita”.

Nei pazienti in cui il trattamento è risultato efficace, aggiunge, “abbiamo osservato una risposta ampia in media per 15 mesi, con una stabilità della malattia per più di 2 anni”. Tuttavia, anche questo nuovo approccio non funziona per tutti i pazienti. “Sono in corso le analisi dei biomarcatori che ci permetteranno di identificare ulteriori marcatori predittivi di risposta e resistenza al trattamento. Il nostro obiettivo – conclude Ascierto – rimane sempre quello di cercare di trovare nuove opzioni di trattamento per i pazienti più difficili che, ad oggi, non beneficiano delle terapie attualmente disponibili”.

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