Il blitz di ieri dei carabinieri del Noe di Lecce nello stabilimento ex Ilva di Taranto per acquisire documentazione riguardante i livelli emissivi degli impianti, in particolare in relazione ai valori di benzene, assume una rilevanza particolare soprattutto per la sua tempistica. L’inchiesta avviata mesi fa dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Francesco Ciardo nei confronti dei gestori riprende vigore nella fase più delicata della vertenza del siderurgico, all’indomani dell’incontro tra governo e i vertici di ArcelorMittal che si è chiuso con un mancato accordo. Quest’ultima indagine sulle emissioni aveva già portato all’acquisizione di documenti il 12 ottobre scorso.
Ieri nuova visita dei carabinieri del Noe negli uffici e nelle sedi dello stabilimento, sempre su input della procura, per gli stessi motivi. L’approfondimento investigativo riguarderebbe in particolare la zona cokeria e rispetto ai livelli di benzene (composto chimico ritenuto cancerogeno) nell’ambito di una inchiesta che ipotizza i reati di inquinamento ambientale e getto pericoloso di cose. Nelle scorse settimane sono stati registrati dei picchi finiti all’attenzione di Arpa e Asl e poi della magistratura, anche se non risultano superati i valori soglia fissati dalla norma, ovvero 5 microgrammi per metro cubo d’aria come media annuale.
All’inizio del 2023 cittadini e ambientalisti presentarono un esposto e proprio a causa di questi fenomeni il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci firmò il 22 maggio scorso un’ordinanza di fermo dell’area a caldo in mancanza di interventi sulla riduzione delle emissioni. Dopo il ricorso di Acciaierie d’Italia e Ilva in amministrazione straordinaria la questione è finita all’attenzione del Tar di Lecce, che ha concesso la sospensiva e ha ulteriormente rinviato ogni determinazione in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia europea sul tema del danno sanitario connesso ai livelli di inquinamento da benzene. Intanto a Taranto, dove sale la tensione per l’incertezza del futuro del siderurgico, dei lavoratori e del risanamento ambientale, hanno suscitato polemiche alcune dichiarazioni rilasciate ieri dall’arcivescovo Ciro Miniero a Radio Vaticana proprio sulla vicenda ex Ilva.
Il presule ha affermato che “non c’è alternativa a quella fabbrica a Taranto. La chiusura sarebbe veramente una catastrofe, che significherebbe non pensare al bene di una comunità che è stata formata a questo”. Due consiglieri comunali del fronte civico che spinge per la chiusura del siderurgico, Massimo Battista e Luigi Abbate, si sono detti “esterrefatti e sbigottiti”, mentre per il presidente di Peacelink, Alessandro Marescotti, il vescovo dovrebbe dire “se accetta con rassegnato realismo l’eccesso di mortalità e di tumori causato dalle emissioni inquinanti”. Poi sono arrivate le precisazioni dello stesso Miniero, per il quale “a volte le parole di una conversazione non rendono con chiarezza i pensieri. Specie quando ho detto che ‘la comunità è formata per questo’ non volevo assolutamente esprimere un fatalismo circa il destino della città e la conseguente impossibilità di un cambiamento. Tutt’altro. Volevo semplicemente dire che Taranto, la nostra comunità, costituita di fatto intorno alle sorti dello stabilimento siderurgico, ha diritto a ricevere risposte certe”.