Nel 1914, durante la Prima guerra mondiale, il Natale fu l’occasione per una tregua spontanea in molte zone del fronte occidentale. Canzoni, scambi di doni e addirittura una storica partita di pallone tra i soldati di Londra e Berlino nella località di Saint-Yvon, a Ploegsteert, non lontano dalla frontiera francese. La partita finì 3 a 2 per i tedeschi, le armi smisero di fare rumore per qualche ora. Nel conflitto tra Russia e Ucraina le bombe continueranno a esplodere anche in questi giorni, ma una flebile speranza di distensione arriva da un accordo tra i due Paesi siglato a poche ore dalla festività.
Per la prima volta dall’inizio del conflitto infatti, i prigionieri di guerra di Kiev e Mosca potranno ricevere lettere e pacchi dai loro cari e dalle associazioni umanitarie. Un’astratta, calda carezza che raggiungerà i detenuti nelle gelide carceri e servirà ad alleviare, almeno per un attimo, le loro sofferenze.
A suggellare l’accordo tra i governi di Kiev e Mosca è stata la consegna dei beni avvenuta “al confine tra Russia e Ucraina, con il sostegno e la partecipazione delle agenzie competenti”, ha fatto sapere la commissaria russa per i diritti umani Tatyana Moskalkova. Sancito alla presenza del commissario di Kiev Dmitry Lubinets, il patto è stato concluso alla vigilia del primo Natale ucraino che cade il 25 dicembre. Fin dal 1917, infatti, la festa è stata celebrata il 7 gennaio, giorno in cui si festeggia nel calendario giuliano utilizzato in Russia.
Ora il Natale è stato spostato nella data canonica del calendario gregoriano occidentale: il disegno di legge promulgato a luglio dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky rappresenta solo l’ultimo tentativo di sradicare l’influenza dell’invasore nel Paese. L’Ucraina è stata sotto la guida spirituale russa almeno dal XVII secolo, ma parte della Chiesa ortodossa di Kiev ha rotto con Mosca nel 2019 a causa dell’annessione della Crimea da parte della Russia e del sostegno ai separatisti nell’est del Paese. Il passaggio al 25 dicembre fa parte di un più ampio processo nazionale di smantellamento dei simboli della Russia, dell’Unione Sovietica e del comunismo.
La scelta di Kiev non ha comunque impedito ai due governi di arrivare ad un compromesso per portare conforto a chi è recluso nei rispettivi Paesi. “I principi di umanità, fiducia reciproca e fiducia delle famiglie nel fatto che i loro cari possano ricevere notizie da casa rimangono importanti”, ha sottolineato il commissario ucraino per i diritti umani. Lubinets ha anche annunciato “accordi umanitari reciproci” grazie ai quali “quattro cittadini ucraini sono stati rimpatriati”. A sua volta, ha riferito ancora, Kiev “ha facilitato il viaggio dei cittadini in Russia per il ricongiungimento familiare”. Un segnale di fiducia, almeno a Natale.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.