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Il governo prende tempo sul Mes, opposizioni all’attacco

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Nuovo round, nuovo rinvio, nuova lite tra maggioranza e opposizioni. E’ un copione che si ripete e probabilmente continuerà a ripetersi anche nei prossimi giorni quello sulla ratifica del Mes. L’ultimo atto ha visto il governo chiedere tempo per rispondere in commissione a una richiesta di Fdi di capire l’impatto finanziario di una eventuale ratifica. Richiesta, già esaudita con una nota del Mef a giugno, che ha scatenato l’ira delle opposizioni perché vista come l’ennesimo tentativo di spostare in avanti il momento della verità. Sempre nell’attesa dell’esito della delicata trattativa a Bruxelles sul nuovo Patto di Stabilità. Che le due partite siano legate, nonostante Giorgia Meloni pochi giorni fa a Bruxelles abbia negato “il link”, lo ripetono da giorni gli esponenti della maggioranza e da ultimo lo ha confermato anche il capodelegazione di Fdi all’Europarlamento Carlo Fidanza in una intervista.

Al momento il Mes ha ancora due provvedimenti davanti, nel calendario di Montecitorio, la legge di delegazione europea e la proposta di legge sugli illeciti agroalimentari. In più c’è la tradizionale cerimonia al Quirinale per gli auguri di Natale con le alte cariche per cui è probabile che in capigruppo (prevista mercoledì mattina alle 9) si chieda una sospensione dell’Aula per consentire ai parlamentari invitati di partecipare. E magari che, di conseguenza, si vada lunghi anche giovedì. Di slittamento in slittamento però alla Camera è in arrivo la manovra, con ogni probabilità già venerdì pomeriggio.

Che ha tempi strettissimi per essere chiusa entro fine anno evitando lo spauracchio dell’esercizio provvisorio che si potrebbe ripalesare se le opposizioni, già imbufalite per il “teatrino” sul Mes, dovessero mettersi di traverso. Un timore che circola nella maggioranza che però non avrebbe ancora preso una decisione definitiva sul Mes. Tanto che si starebbe ragionando anche sull’eventualità di chiedere una nuova sospensiva, soprattutto se da Bruxelles arrivasse una fumata nera sul Patto. Nel frattempo le opposizioni denunciano la “presa in giro del Parlamento”, dopo che “compatte” in mattinata avevano abbandonato i lavori della commissione bilancio, chiamata solamente a esprimere il parere sulle proposte di legge di Iv e Pd. E che ora si aspettano che almeno giovedì, in coda al resto dei lavori, si arrivi “finalmente” a discutere in Aula della ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità.

A innescare la protesta delle minoranze la richiesta da parte della relatrice del parere di Fdi, Ylenja Lucaselli, di chiarimenti sugli “effetti finanziari della riforma del Mes”: il governo, per voce del sottosegretario Federico Freni si è riservato di rispondere “domani”, come racconta Luigi Marattin, firmatario della proposta di ratifica di Iv. Ma, ricorda, c’era una “apposita nota del Mef” del 21 giugno, per cui “ho chiesto quali delle domande non trovano risposta nella nota di sei mesi fa”. In quella nota, peraltro, il Mef non rilevava effetti negativi per i conti dalla ratifica, anzi, ricordava che la ratifica poteva portare “ad una migliore valutazione del merito di credito degli Stati membri aderenti, con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l’Italia” in quanto “percepita come un segnale di rafforzamento della coesione europea”.

Ma la “vigliaccheria” del governo mostrata in commissione “va di pari passo con le menzogne della Meloni” incalza anche il M5s che resta in attesa dell’istruttoria di Lorenzo Fontana sulla richiesta di un giurì d’onore per la verifica delle parole della premier in Aula. Una necessità, spiegano ai vertici del partito, anche per difendere la credibilità stessa dell’istituzione, non solo la bontà della condotta di Giuseppe Conte.

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Giorgetti: controlleremo case fantasma e ristrutturate

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“Si è fatta molta polemica sull’aumento delle tasse sulla casa, è assolutamente falso. Chiunque abbia un po’ di esperienza sa che chi fa una ristrutturazione edilizia ha il preciso obbligo di aggiornare i dati catastali e noi siamo tenuti, e lo faremo, a controllare che siano aggiornati”. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (nella foto Imagoeconomica in evidenza), rispondendo al question time al Senato e precisando che i controlli saranno anche su chi non dichiara affatto la casa, cioè sui cosiddetti immobili fantasma.

Sul fronte delle accise, altro tema su cui si sono create polemiche, Giorgetti ha ribadito che a decidere sarà il Parlamento, in base a degli obblighi decisi in sede europea. “Il governo rimetterà al Parlamento come è giusto che sia” puntando ad un allineamento “graduale” tra la tassazione di benzina e diesel.

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Ministro della Cultura Giuli in Procura a Roma per essere sentito su caso Boccia-Sangiuliano

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Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, si trova in Procura a Roma dove sta incontrando il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Giuseppe Cascini titolari dell’indagine che vede indagata l’imprenditrice Maria Rosaria Boccia per minaccia a corpo politico dello Stato e lesioni gravi dopo l’esposto presentato dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano. Nei giorni scorsi gli inquirenti hanno acquisito presso la sede del Ministero una serie di documenti.

Il ministro ha lasciato piazzale Clodio dopo essere ascoltato come persona informata sui fatti nella vicenda che coinvolge l’imprenditrice campana. Il colloquio durato circa un’ora si è svolto nella stanza del procuratore aggiunto Cascini alla presenza anche del procuratore Lo Voi.

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Politica

Tetto agli stipendi per i manager di enti pubblici

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Sforbiciata in arrivo per gli stipendi dei manager di enti pubblici e privati che ricevono contributi dallo Stato. La manovra introduce un tetto che fissa l’asticella dei compensi al livello dell’indennità del presidente del consiglio e dei ministri, che ammonta a circa 160mila euro (80mila netti). Una norma “di buonsenso”, dice la premier Giorgia Meloni. Che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti colloca tra le misure di “buon uso del denaro pubblico” della legge di bilancio. La novità, trapelata già ieri sera dopo il consiglio dei ministri, viene confermata dal ministro in conferenza stampa. “Anche tutto l’universo di quelli che sono enti, soggetti, fondazioni che non sono esattamente figlie dei ministeri ma ricevono contributi a carico dello Stato saranno chiamate a rispettare alcune regole elementari di buona finanza”, spiega Giorgetti. La premier cita anche gli “enti privati che prendono contributi pubblici”.

La stretta si tradurrà in un abbassamento del tetto per i compensi degli organi di vertice dagli attuali 240 mila euro previsto per i manager pubblici al livello “ragionevole ed equo” dell’indennità percepita dalla presidente del consiglio e dei ministri. Gli stipendi da considerare, precisa il ministro, saranno “omnicomprensivi”, inclusi quindi anche tutti i vari compensi che si possono percepire all’interno dell’ente a vario titolo, come gettoni o diarie. Il perimetro dell’intervento sarebbe ancora in via di definizione ed è probabile che vengano posti alcuni paletti, vista la mole di soggetti che rischiano di essere coinvolti. L’elenco degli enti che rientrano nel perimetro Istat delle pubbliche amministrazioni è lunghissimo. Secondo alcuni tecnici, la norma riguarderebbe in prima battuta tutte le entità partecipate che oggi anche in parte minoritaria si sentono escluse dai vincoli applicati a tutta la Pa.

Si fanno esempi come Aci, Camere di commercio, Cri, fondazioni e associazioni private che ricevono finanziamenti pubblici. Per chi non si adegua si prospetta la perdita dei contributi pubblici. “Può darsi che qualcuno possa rinunciare anche al contributo pubblico e decidere autonomamente cosa fare, qualcun altro altro continuerà a richiederlo ma si dovrà adeguare”, osserva Giorgetti. Che richiama anche gli organi di controllo a vigilare: “collegi dei revisori dei conti e gli ispettori della Ragioneria sono chiamati a far rispettare questa norma”. Quello del tetto agli stipendi dei manager pubblici è da sempre un tema che scalda gli animi della politica.

Il ministro della Pa Paolo Zangrillo chiede da tempo di aprire un ragionamento sulla possibile eliminazione del tetto, in modo da permettere anche alla Pa, come già avviene nel pubblico, di reclutare “i migliori” e diventare così più competitiva. La norma che ha introdotto il tetto risale al 2011, al ‘Salva-Italia’ del governo Monti allora alle prese con i conti pubblici da rimettere in sesto. Il governo Renzi ne ampliò la portata nel 2014, estendendone la platea. Nel settembre 2022, il Parlamento tentò un blitz tentando di escludere dai limiti alcune figure, dai capi di stato maggiore al segretario generale della presidenza del Consiglio: ma l’ira dell’esecutivo Draghi ristabilì rapidamente lo status quo.

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