Mohammed era un patologo e suo figlio Atef sognava di fare il calciatore. Forse lo stesso desiderio di Sajja, che a 13 anni era pazza di Ronaldo e mandava al fratello i video di tutti i suoi gol. Malik voleva aprire una piccola casa di moda per le donne musulmane. Anas, Habeiba e Maryar invece erano troppo piccoli per avere sogni da adulti: la più grande aveva solo 6 anni e stava per iniziare la prima elementare. Il ministero della Sanità di Hamas, ogni giorno da quel maledetto 7 ottobre, diffonde i numeri delle vittime dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza. Se siano reali o propaganda non è purtroppo verificabile, ma un dato è reale: sempre e solo numeri restano.
Morti senza nome e senza identità. Così qualcuno ha deciso di raccontare un’altra storia. E di mostrare non un corpo devastato ma un volto sorridente. Anzi, tante storie e tanti volti: quelli di ciascuno di coloro che sono rimasti sepolti sotto le macerie di un palazzo o dilaniati da una scheggia. Si chiama ‘Gaza Shaheed’ il profilo che su Instagram, X e Telegram raccoglie quelle storie e quei volti. Proprio perché quelle donne, quei bambini e quegli uomini “non sono numeri”: “Documentiamo i nomi e le immagini dei martiri, la data della loro morte e la loro storia, ricevuti tramite lettere”, si legge nella bio. L’ultima foto pubblicata di Youssef Muhammad Saleh, 21 anni, è quella di un giovane con un campo coltivato alle spalle e le mani in tasca. E’ morto il 7 novembre “mentre lavorava instancabilmente” per dare alla sua famiglia “il minimo necessario alla vita”.
Lo stesso giorno è stato l’ultimo anche per Muntasir Zein Al Din, “laureato all’università e studioso del Corano”, dice la sua storia, che aiutava il padre commerciante di spezie e merci varie, trasportandole su e giù per la Striscia di Gaza. Nella foto pubblicata è in giacca e cravatta e lo sguardo sorridente. E’ stato invece il 24 ottobre il giorno in cui è morta la 29enne Ayah Adel Abu Sha’ira. Sorride anche lei nella foto sui social, con in braccio la piccola Salma di 6 mesi, il marito Ibrahim e l’altra figlia Randa, di 4 anni accanto. “E’ fuggita verso al Nusairat pensando che fosse un posto sicuro… era una madre piena di vita e amata dai suoi amici. Avrebbe voluto una vita più lunga”.
Degli oltre 11mila morti denunciati, oltre 4mila sarebbero minori. E ‘Gaza Shaheed’ lo ricorda. Con le foto di Sajja Al Hawairi, 13 anni, e di Mustafa Ahmed Sanaullah, 14 anni. Di Anas, Habeida e Maryam Daloul – l’ultima è la più grande, 6 anni – morti assieme alla madre il 29 ottobre “durante l’attacco della loro casa nel quartiere di Zaytoun”: si erano rifiutate di lasciarla e di evacuare verso sud, come chiesto a tutti i civili da Israele. Nella foto Sajja ha gli occhi profondi e un mazzo di fiori in mano. E’ la ragazzina che adorava il calcio, il Real Madrid e soprattutto Ronaldo ed era “felicissima” quando il campione portoghese è andato a giocare in Arabia. La casa dei loro vicini è stata bombardata qualche ora prima della sua morte. Anche Mustafa, che è morto il 18 ottobre, amava giocare a pallone con i suoi fratelli gemelli: “Aveva un carattere forte e coraggioso”.
Nella Spoon River social ci sono anche la storia di Ahmed Al Masri – nella foto ha il camice blu e una bimba con i codini in braccio – che era un fisioterapista “dal cuore gentile”, “il primo della sua classe all’università”, morto con la moglie e la figlia il 16 ottobre, e quella del dottor Mohammed Dabbour, che nella foto pubblicata è ad un congresso al Cairo. “Era un rinomato patologo, suo figlio Atef sognava di diventare un calciatore professionista”. I due sono morti il 13 ottobre mentre si spostavano nel sud di Gaza su quella “che avrebbe dovuto essere una strada sicura”. Poi c’è Malik Abu Sharbeen, che si era laureata all’università in fashion. Nella foto ha l’hijab e lo sguardo fiero. “Il suo sogno era aprire una piccola casa di moda per le donne musulmane”. Anche Hala Al Farra ha l’hijab, un bicchiere in mano e sorride guardando qualcuno fuori dall’inquadratura. Era una studentessa al primo anno di ingegneria che amava il caffè freddo, le rose, il basket. E’ morta il 25 ottobre. “Spero che qualcuno – aveva detto – continui a parlare di me e non mi dimentichi, considerandomi solo un numero”.