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Cronache

Lividi su paziente morto in ospedale, indagati infermieri

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Picchiato nel pronto soccorso dell’ospedale di Venezia, probabilmente per frenare la sua aggressività: è di omicidio preterintenzionale l’accusa mossa dal pm Daniela Moroni contro due infermieri dell’ospedale di Venezia per la morte di Bruno Modenese, 45enne di Pellestrina, deceduto il 19 settembre scorso, due giorni dopo il ricovero nel reparto di psichiatria. Le due persone indagate sono un 29enne albanese e un 45enne italiano. Il sospetto è che per frenare le intemperanze della vittima i due siano ricorsi alla violenza. A sollecitare l’apertura di una inchiesta sull’accaduto erano stati i genitori del paziente, assistiti dall’avvocato Renato Alberini, che avevano scoperto sul figlio “un’ingiustificata rottura del setto nasale, visibili segni di ecchimosi sul volto, la frattura dello zigomo sinistro e la presenza di una emorragia cerebrale”.

L’Azienda sanitaria veneziana da cui dipende l’ospedale (Ulss 3) in una nota diffusa nel pomeriggio “si rimette con fiducia alle valutazioni della magistratura, a cui consegnerà anche gli esiti delle verifiche effettuate dalla commissione interna da subito istituita dalla direzione dell’Azienda sanitaria”. Nel caso le indagini degli organi giudiziari “arrivino a evidenziare azioni non coerenti con i protocolli di gestione del paziente complesso, fino a compromettere l’incolumità del paziente stesso, l’Azienda sanitaria – prosegue la nota – adotterà ogni provvedimento in suo potere, fino a costituirsi parte civile nel caso di un processo”. Modenese, figlio di pescatori, era da tempo in cura al Centro di salute mentale ed era considerato invalido al 100%. La sera del 16 settembre era andato a mangiare una pizza con i genitori; il giorno successivo sarebbero dovuti partire tutti assieme per le vacanze. Dopo cena, secondo i testimoni, era passato al bar a salutare gli amici ma si era sentito male. Era salito di propria volontà sull’idroambulanza manifestando “uno stato di alterazione e di aggressività”.

Da quel momento i familiari non hanno più avuto sue notizie ma solo l’informazione che il congiunto era stato sedato in quanto agitato e che respirava male. Nel complesso però la sua situazione era sotto controllo. Nella chiamata successiva, invece, era stato detto loro che il figlio era in coma dopo un arresto cardiocircolatorio. Mamma e papà Modenese non vogliono commentare gli sviluppi delle indagini e si limitano a chiedere che venga fatta giustizia. A questo scopo domani sera a Pellestrina verrà organizzata una fiaccolata che farà il giro di tutta l’isola della laguna veneziana. L’unico a parlare è il fratello, Emanuele. “La notizia che vi sono due indagati mi sembra il minimo” sottolinea. “E’ fondamentale che sia chiarito come un ragazzo sano sia entrato in ospedale, in una struttura pubblica, che avrebbe dovuto tutelarlo e proteggerlo, e non ne sia uscito vivo”. Il pm ha fissato per il 5 ottobre l’autopsia per chiarire la natura delle lesioni.

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Deteneva 12 kg droga, armi e munizioni, arrestato 32enne di Acerra a Lecce

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Più di dodici chili di droga, hashish, marijuana e cocaina, tre pistole pronte all’uso, centinaia di proiettili, una lanciarazzi e circa 5mila euro in contanti ritenuti il provento dello spaccio. È questo il bilancio del sequestro effettuato nel corso di una operazione messa a segno dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce, che hanno arrestato un pregiudicato 32enne della zona. L’uomo, Antonio Baldassarre 32enne di Acerra (Napoli) ma residente a Lecce, aveva nascosto l’ingente quantitativo di droga e le armi all’interno di due garage nella sua disponibilità. Il nervosismo mostrato durante il controllo ha insospettito i militari. Dopo aver consegnato ai carabinieri un sacchetto contenente 2 kg e mezzo di hashish occultato sotto il sellino della moto, i militari hanno fatto scattare la perquisizione nei due garage di pertinenza dove poi è stato scoperto l’ingente quantitativo di sostanze stupefacenti.

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Uccide la moglie e si presenta ai carabinieri

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Femminicidio a Sestri Levante questa mattina. Un uomo di 74 anni, Giampaolo Bregante, ha sparato alla moglie, Cristina Marini. Dopo l’omicidio si è presentato dai carabinieri e ha confessato. Secondo le prime informazioni l’uomo ha detto di avere ucciso la moglie per “porre fine alla sua depressione e visto che la moglie si rifiutava di prendere le medicine per le cure”. Sul posto sono arrivati i medici del 118 e i carabinieri del nucleo investigativo. I militari sono coordinati dal pm Stefano Puppo.

Comandante di lungo corso, Giampaolo Brigante è conosciuto come una persona tranquilla, amante del mare. Ieri era con alcuni suoi amici a giocare a pinnacolo, come tutti i giorni. “Amava raccontare le sue avventure per mare sui traghetti – raccontano gli amici – Era preoccupato solo per la depressione della moglie ma non faceva trapelare nulla”. Il primo ad accorrere sul luogo dell’omicidio è stato il figlio Righel avvisato dal padre dopo che aveva sparato alla moglie, assieme ai carabinieri che avevano ricevuto la telefonata da parte dell’omicida. Il corpo di Cristina Marini si trovava riverso in cucina. Giampaolo Bregante è stato quindi condotto nella caserma di via Val di Canepa a disposizione del magistrato di turno.

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San Gennaro fa il miracolo e il Cardinale chiede giustizia sociale per Napoli

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Questa mattina, alle 10 in punto, il miracolo di San Gennaro si è ripetuto nel Duomo di Napoli, portando con sé un profondo significato religioso e sociale. Come da tradizione, l’annuncio della liquefazione del sangue del santo Patrono è stato dato dall’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, ai fedeli che gremivano la cattedrale. Il sangue, contenuto nella famosa ampolla, era già sciolto al momento in cui è stato portato sull’altare maggiore, trasportato dai seminaristi. La celebrazione eucaristica, come sempre, ha attirato numerosi fedeli e personalità illustri, tra cui il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, il governatore Vincenzo De Luca, il principe Carlo di Borbone, il principe Emanuele Filiberto di Savoia e l’attrice Marisa Laurito.

La tradizione del miracolo di San Gennaro, atteso tre volte l’anno – il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre – è un momento di grande devozione per i napoletani, che vedono in questo evento un segno di protezione e speranza.

Durante la sua omelia, l’arcivescovo Battaglia ha collegato il miracolo del sangue con la sofferenza e le difficoltà vissute dalla città. “Questo sangue si mescola sempre con il sangue dei poveri, degli ultimi, con il sangue versato a causa della violenza e del degrado sociale”, ha dichiarato, ricordando tragedie recenti come il crollo di Scampia e l’esplosione di Forcella. Con queste parole, Battaglia ha voluto sottolineare la necessità di una risposta collettiva e solidale alle sfide che Napoli affronta quotidianamente.

L’arcivescovo ha proseguito il suo discorso ponendo l’accento sull’importanza di affrontare le emergenze sociali come opportunità per costruire un futuro di giustizia e pace. Ha menzionato l’emergenza educativa e abitativa come priorità che richiedono interventi immediati, ma che al tempo stesso offrono la possibilità di disegnare una nuova traiettoria per la città. “Occorre avere il coraggio di superare la logica della competizione ad oltranza per abbracciare quella della cooperazione”, ha esortato Battaglia, invitando la comunità a riscoprire il valore della solidarietà e della cura reciproca.

Napoli, città dalle profonde contraddizioni ma anche dalle grandi risorse umane, è stata al centro di un appello accorato a ripartire da quei gesti semplici ma fondamentali che la sorreggono ogni giorno: “Ricorda sempre di custodire con tutto te stessa e ripartire ogni giorno dalle poche cose che contano”, ha detto Battaglia, invitando i napoletani a non voltare mai lo sguardo di fronte alla sofferenza altrui e a lottare per una città più giusta e pacifica.

Il miracolo di San Gennaro, dunque, non è solo un evento religioso, ma un invito a riscoprire la dimensione della solidarietà, della cooperazione e della speranza, elementi essenziali per costruire una Napoli migliore e più equa. Concludendo, l’arcivescovo ha invocato la protezione del santo Patrono affinché il segno del suo sangue “ravvivi sempre in noi il desiderio di realizzare per la nostra terra e per il mondo intero il sogno di Dio”.

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