L’economia italiana inverte rotta e mette la retromarcia, registrando nel secondo trimestre un calo dello 0,3%. Con un rallentamento ben superiore a quello previsto dagli analisti. E che, dopo il vantaggio acquisito lo scorso trimestre su Francia e Germania, fa scivolare il nostro paese agli ultimi posti della classifica europea. Un quadro che allarma i consumatori e attizza le opposizioni che vanno all’attacco del governo. Ma soprattutto che aumenta l’incertezza sulle possibili nuove risorse da destinare alla manovra, che l’esecutivo contava di liberare proprio dall’andamento positivo della crescita. Il ministero dell’economia però rassicura: il dato negativo sul pil italiano nel secondo trimestre “allo stato non influisce sulla previsione annua formulata nel Def.
Questo obiettivo di crescita – spiega – è ancora pienamente alla portata e si continuerà a perseguirlo con le politiche economiche di responsabilità prudente apprezzate e riconosciute come valide in ambito internazionale”. A certificare il rallentamento è la stima preliminare sul Pil nel secondo trimestre diffusa dall’Istat: tra aprile e giugno il prodotto interno lordo è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente (quando era cresciuto dello 0,6%), mentre è aumentato dello 0,6% in termini tendenziali (la terza crescita trimestrale consecutiva). A zavorrare la crescita è l’andamento sia del settore primario (agricoltura, silvicoltura e pesca), che di quello industriale: una flessione che la “moderata crescita” dei servizi, grazie soprattutto al turismo, non basta a controbilanciare. A pesare è anche la domanda interna negativa, cui si aggiunge l’apporto nullo dell’export.
Segnali positivi sulle esportazioni intanto arrivano a giugno dall’extra Ue (+0,4% a fronte di un -14,6% dell’import), con un surplus commerciale ai massimi da trent’anni. Un rallentamento del Pil era atteso: proprio sabato Confindustria aveva previsto una dinamica “quasi ferma”, frenata dai tassi alti e dall’export inchiodato. Gli analisti avevano fissato l’asticella tra 0 e +0,1%. Ma a sorpresa il dato dell’Istat, che comunque è ancora una prima stima provvisoria, mostra un arretramento ancora più accentuato. In controtendenza anche rispetto al resto d’Europa. Il Pil risale infatti nell’Eurozona (+0,3%, dalla crescita zero del primo trimestre) e rimane stabile nell’insieme dei Ventisette. E proprio l’Italia che nei primi tre mesi dell’anno si era messa in luce, con una crescita migliore di Francia e Germania, questa volta perde terreno: la Francia cresce dello 0,5%, la Spagna dello 0,4%, la Germania è ferma. Peggio di noi solo Svezia (-1,5%), Lettonia (-0,6%) e Austria (-0,4%).
Il dato del secondo trimestre incide anche sulla variazione acquisita per il 2023 (quella cioè che si avrebbe con una variazione nulla nei restanti trimestri), che viene limata allo 0,8%, in lieve discesa dal +0,9% stimato alla luce del dato di gennaio-marzo. Due punti sotto il +1% fissato nel Def di aprile. E se secondo Nomisma la flessione non deve preoccupare, perché l’economia italiana è ancora “molto solida”, si profila un “quadro di incertezza” – concordano Confcommercio e Confesercenti – su cui incidono variabili come l’effetto dei continui rialzi dei tassi e l’incognita turismo, il cui effetto trainante potrebbe essere sgonfiato a causa degli eventi meteorologici. Del resto anche il Fondo monetario internazionale, che pochi giorni fa ha rivisto al rialzo le stime sull’Italia (il Pil 2023 è previsto al +1,1%), ha anche avvertito sui “rischi principalmente al ribasso” per la crescita. Nel governo comunque la linea resta quella della cautela e della prudenza sui conti: “L’arretramento nel secondo trimestre, lievemente superiore alle più recenti stime interne – spiega il Mef – appare principalmente dovuto alla caduta del valore aggiunto dell’industria, mentre i servizi hanno continuato a crescere, seppure a un ritmo più moderato.
Sui risultati hanno influito, in particolare, la flessione del ciclo internazionale dell’industria, il rialzo dei tassi di interesse e l’impatto della fase prolungata di rialzo dei prezzi sul potere d’acquisto delle famiglie. In Italia, come nel resto d’Europa – conclude il ministero – la fiammata inflazionistica è stata una delle conseguenze negative del conflitto in corso, che continua a rappresentare il principale fattore d’incertezza”. Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha già avviato una serie di incontri con i colleghi di governo per fare il punto sulle priorità in vista della manovra. Ma sarà solo in autunno, con la Nadef, che si potrà tracciare il perimetro delle risorse. Solo per rinnovare il taglio del cuneo in scadenza a fine anno serviranno una decina di miliardi, ma il menu è già ricco, tra spese obbligate, rinnovo dei contratti della Pa, avvio della riforma fiscale. Il tutto tenendo conto che questa manovra sarà vincolata ai parametri del nuovo Patto di stabilità.