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Cronache

La vita di Mattia con 5 microchip sottopelle

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Registrare dati sanitari, la carta d’identità, condividere il proprio profilo LinkedIn o addirittura pagare la spesa. Tutto attraverso dei microchip impiantati sottopelle. Mattia Coffetti, 35enne di Rodengo Saiano, piccolo Comune nel Bresciano, è il primo italiano a farsi installare cinque microchip sottocutanei sfruttando le potenzialità della tecnologia direttamente sul proprio corpo. Una passione, quella per l’informatica, che Mattia coltiva fin da quando era bambino: “A 13 anni – racconta – installavo sistemi operativi liberi sui Pc degli amici”. Adesso “mi occupo di informatica a 360 gradi – aggiunge – ho cercato di far diventare la mia passione un lavoro”.

Curiosando su internet si è appassionato ad argomenti come il biohacking e si è avvicinato al Transumanesimo, il movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive: “Ho visto – spiega – che c’erano già dei gruppi di persone che cominciavano a creare dei microchip inseribili sotto pelle con diverse caratteristiche e funzionalità”. Oggi si possono acquistare direttamente sul web a prezzi contenuti, che vanno dagli 80 ai 200 euro, e vengono impiantati in appositi centri autorizzati che collaborano con le aziende che li vendono. “Preso dalla smania di diventare un pioniere – prosegue Mattia – ho deciso di provarli e acquistare cinque chip”.

Due sono più che altro “dei giocattoli”, ossia un magnete – utile per esempio a non perdere le viti quando si lavora – e un led che si illumina se avvicinato a una sorgente elettrica. Con un terzo chip Mattia riesce ad aprire porte o serrande ma può anche registrare, per una rapida condivisione, i propri dati anagrafici, lavorativi o sanitari. Per ottenerli, infatti, basterà avvicinare un telefono. Un altro dispositivo installato nel suo corpo può essere utilizzato per l’autentificazione dei dati bancari mentre con l’ultimo microchip il 35enne riesce a eseguire pagamenti come se avesse una carta di credito sottopelle. Tramite un’app, infatti, viene ricaricato come fosse una prepagata. Poi, una volta alla cassa, gli basta avvicinare il chip a qualsiasi lettore per eseguire la transazione: “Un primo passo per uscire di casa senza contanti e carte di credito”.

Ma anche un primo esempio concreto di utilizzo di dispostivi nel proprio corpo, sulla scia di quanto sta già progettando la start-up Neuralink di Elon Musk. Non tutti, però, sono convinti di questa evoluzione tecnologica. “Molti hanno paura del tracciamento – afferma – ma per leggerli devi avvicinare un telefono. E comunque questi microchip non sono creati da chissà quale azienda misteriosa. Online è possibile informarsi sulle caratteristiche tecniche prima di acquistarli”. Insomma “non dobbiamo avere sempre paura di cose che non conosciamo – conclude Mattia – cerchiamo anche di abbracciarle e di sperare in un futuro migliore anche tramite l’utilizzo della tecnologia unita al corpo”.

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Cronache

Deteneva 12 kg droga, armi e munizioni, arrestato 32enne di Acerra a Lecce

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Più di dodici chili di droga, hashish, marijuana e cocaina, tre pistole pronte all’uso, centinaia di proiettili, una lanciarazzi e circa 5mila euro in contanti ritenuti il provento dello spaccio. È questo il bilancio del sequestro effettuato nel corso di una operazione messa a segno dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce, che hanno arrestato un pregiudicato 32enne della zona. L’uomo, Antonio Baldassarre 32enne di Acerra (Napoli) ma residente a Lecce, aveva nascosto l’ingente quantitativo di droga e le armi all’interno di due garage nella sua disponibilità. Il nervosismo mostrato durante il controllo ha insospettito i militari. Dopo aver consegnato ai carabinieri un sacchetto contenente 2 kg e mezzo di hashish occultato sotto il sellino della moto, i militari hanno fatto scattare la perquisizione nei due garage di pertinenza dove poi è stato scoperto l’ingente quantitativo di sostanze stupefacenti.

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Uccide la moglie e si presenta ai carabinieri

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Femminicidio a Sestri Levante questa mattina. Un uomo di 74 anni, Giampaolo Bregante, ha sparato alla moglie, Cristina Marini. Dopo l’omicidio si è presentato dai carabinieri e ha confessato. Secondo le prime informazioni l’uomo ha detto di avere ucciso la moglie per “porre fine alla sua depressione e visto che la moglie si rifiutava di prendere le medicine per le cure”. Sul posto sono arrivati i medici del 118 e i carabinieri del nucleo investigativo. I militari sono coordinati dal pm Stefano Puppo.

Comandante di lungo corso, Giampaolo Brigante è conosciuto come una persona tranquilla, amante del mare. Ieri era con alcuni suoi amici a giocare a pinnacolo, come tutti i giorni. “Amava raccontare le sue avventure per mare sui traghetti – raccontano gli amici – Era preoccupato solo per la depressione della moglie ma non faceva trapelare nulla”. Il primo ad accorrere sul luogo dell’omicidio è stato il figlio Righel avvisato dal padre dopo che aveva sparato alla moglie, assieme ai carabinieri che avevano ricevuto la telefonata da parte dell’omicida. Il corpo di Cristina Marini si trovava riverso in cucina. Giampaolo Bregante è stato quindi condotto nella caserma di via Val di Canepa a disposizione del magistrato di turno.

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San Gennaro fa il miracolo e il Cardinale chiede giustizia sociale per Napoli

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Questa mattina, alle 10 in punto, il miracolo di San Gennaro si è ripetuto nel Duomo di Napoli, portando con sé un profondo significato religioso e sociale. Come da tradizione, l’annuncio della liquefazione del sangue del santo Patrono è stato dato dall’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, ai fedeli che gremivano la cattedrale. Il sangue, contenuto nella famosa ampolla, era già sciolto al momento in cui è stato portato sull’altare maggiore, trasportato dai seminaristi. La celebrazione eucaristica, come sempre, ha attirato numerosi fedeli e personalità illustri, tra cui il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, il governatore Vincenzo De Luca, il principe Carlo di Borbone, il principe Emanuele Filiberto di Savoia e l’attrice Marisa Laurito.

La tradizione del miracolo di San Gennaro, atteso tre volte l’anno – il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre – è un momento di grande devozione per i napoletani, che vedono in questo evento un segno di protezione e speranza.

Durante la sua omelia, l’arcivescovo Battaglia ha collegato il miracolo del sangue con la sofferenza e le difficoltà vissute dalla città. “Questo sangue si mescola sempre con il sangue dei poveri, degli ultimi, con il sangue versato a causa della violenza e del degrado sociale”, ha dichiarato, ricordando tragedie recenti come il crollo di Scampia e l’esplosione di Forcella. Con queste parole, Battaglia ha voluto sottolineare la necessità di una risposta collettiva e solidale alle sfide che Napoli affronta quotidianamente.

L’arcivescovo ha proseguito il suo discorso ponendo l’accento sull’importanza di affrontare le emergenze sociali come opportunità per costruire un futuro di giustizia e pace. Ha menzionato l’emergenza educativa e abitativa come priorità che richiedono interventi immediati, ma che al tempo stesso offrono la possibilità di disegnare una nuova traiettoria per la città. “Occorre avere il coraggio di superare la logica della competizione ad oltranza per abbracciare quella della cooperazione”, ha esortato Battaglia, invitando la comunità a riscoprire il valore della solidarietà e della cura reciproca.

Napoli, città dalle profonde contraddizioni ma anche dalle grandi risorse umane, è stata al centro di un appello accorato a ripartire da quei gesti semplici ma fondamentali che la sorreggono ogni giorno: “Ricorda sempre di custodire con tutto te stessa e ripartire ogni giorno dalle poche cose che contano”, ha detto Battaglia, invitando i napoletani a non voltare mai lo sguardo di fronte alla sofferenza altrui e a lottare per una città più giusta e pacifica.

Il miracolo di San Gennaro, dunque, non è solo un evento religioso, ma un invito a riscoprire la dimensione della solidarietà, della cooperazione e della speranza, elementi essenziali per costruire una Napoli migliore e più equa. Concludendo, l’arcivescovo ha invocato la protezione del santo Patrono affinché il segno del suo sangue “ravvivi sempre in noi il desiderio di realizzare per la nostra terra e per il mondo intero il sogno di Dio”.

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