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La sfida della “corrente” di Bonaccini, acque agitate nel Pd

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La “non corrente” di Stefano Bonaccini agita le acque in casa Pd. Il presidente chiama a raccolta i sostenitori della sua mozione per dare il via a “Energia Popolare”. Sulla carta “un’area politica popolare”, ma c’è chi non esita a chiamarla col suo nome: “corrente”, appunto. Il leader dell’inziativa preferisce evitare e invita la segretaria Dem Elly Schllein a “fare il partito più forte e plurale”. Lei arriva alla Fiera della città romagnola, abbraccia Bonaccini e invita “a lasciarsi alle spalle le magliette del congresso”. Ma non manca di ricordare: “la pluralità del partito vada preservata nel rispetto di quello che è l’esito congressuale”. “Siamo qui per lavorare insieme come una squadra – aggiunge – e le battaglie che stiamo portando avanti dimostrano che siamo in grado di farlo benissimo”.

Nonostante le parole concilianti, il clima tra gli esponenti delle due mozioni che si sono affrontati al Congresso non sembra dei più distesi. E ad aprire un altro fronte interno all’inquilina del Nazareno, arriva la nomina di Nicola Zingaretti a capo della Fondazione Pd. Scelta personale della segretaria che coglie di sorpresa e irrita chi quel posto lo occupava fino a poche ore prima: Gianni Cuperlo. Ma crescono le critiche rispetto a una scelta inaspettata da molti. I Dem, intanto, continuano a dare battaglia sul salario minimo, attaccando le parole del ministro Nello Musumeci. Almeno per oggi, però, la compattezza mostrata sulla proposta unitaria delle opposizioni sembra finire in secondo piano. Appannata da quanto succede tra Cesena e Roma.

Da “Energia Popolare” è chiaro che si inzino a organizzare le forze per pungolare Schlein sui temi cari all’area riformista del partito. “Qui ci sono i sostenitori di una mozione – dice Bonaccini – che ha raggiunto la maggioranza assoluta tra gli iscritti. Noi abbiamo il dovere di fare più forte il Pd per essere anche attrattivi e tornare a vincere”. Tra i presenti, rimbalza l’appello alla “vocazione maggioritaria” e al “rispetto delle culture fondative del Pd”. Non a caso, dice l’ex deputata Silvia Costa, “verrà Romano Prodi a ricordarlo”. A Cesena, tra i più di 500 iscritti alla kermesse, sfilano volti noti del partito. Dal responsabile Riforme della segreteria Dem Alessandro Alfieri al presidente dell’Anci Antonio Decaro, dall’ex ministro Lorenzo Guerini al coordinatore dei sindaci Dem Matteo Ricci, degli europarlamentari Brando Benifei e Pina Picierno ai parlamentari Piero Fassino, Simona Bonafè, Piero De Luca e Simona Malpezzi. E da lontano arriva anche l’endorsement di Paola De Micheli.

Fassino e Guerini non hanno “paura a chiamare le cose col loro nome”. Qui si sta organizzando una corrente. Bonaccini assicura che “il cammino ripreso non è in contrapposizione a qualcuno o a qualcuna”. Il presidente riorganizza i suoi più per moderare il malcontento verso la segretaria, che per organizzare una forza distruttiva. Anche Pier Luigi Bersani assicura: “non ci sarà correntismo nel senso deteriore”. Ma tra i più vicini a Schlein, le facce non sono proprio distese. “Tutti negano l’esistenza delle correnti, ma poi si finisce sempre per costituire gruppi di potere”, commenta qualcuno. In tanti, a Cesena, lanciano l’appello “ad essere ascoltati” e ad “evitare colpi di mano”. E non mancano gli sfoghi. Sia sulla “pluralità da rispettare” che sul metodo di alcune decisioni. Schlein celebra “luoghi di confronto come questo” e ribadisce: “sarò sempre qui per ascoltare, anche le critiche, ma diamoci un perimetro di affidabilità in cui ci sentiamo parte della stessa squadra”.

A proposito di metodo, a Cesena viene citata la discussione sulla gestazione per altri e la recente decisione di Shlein di nominare Nicola Zingaretti alla guida della fondazione. Il dispiacere, qui, è evidente. Qualcuno fa notare che lo stesso Cuperlo abbia appreso la notizia mezz’ora prima che fosse stata resa pubblica. E in molti vedono la scelta della segretaria come una prova di forza, il cui obiettivo è avere in una posizione di spicco un sostenitore della mozione. Altre fonti parlamentari, invece, evidenziano come Schlein non abbia sostituito nessuno. La fondazione, si spiega, è un incarico di Segreteria. Cuperlo lo aveva ricevuto da Enrico Letta e Schlein lo ha dato a Zingaretti.

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Giorgetti: controlleremo case fantasma e ristrutturate

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“Si è fatta molta polemica sull’aumento delle tasse sulla casa, è assolutamente falso. Chiunque abbia un po’ di esperienza sa che chi fa una ristrutturazione edilizia ha il preciso obbligo di aggiornare i dati catastali e noi siamo tenuti, e lo faremo, a controllare che siano aggiornati”. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (nella foto Imagoeconomica in evidenza), rispondendo al question time al Senato e precisando che i controlli saranno anche su chi non dichiara affatto la casa, cioè sui cosiddetti immobili fantasma.

Sul fronte delle accise, altro tema su cui si sono create polemiche, Giorgetti ha ribadito che a decidere sarà il Parlamento, in base a degli obblighi decisi in sede europea. “Il governo rimetterà al Parlamento come è giusto che sia” puntando ad un allineamento “graduale” tra la tassazione di benzina e diesel.

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Ministro della Cultura Giuli in Procura a Roma per essere sentito su caso Boccia-Sangiuliano

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Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, si trova in Procura a Roma dove sta incontrando il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Giuseppe Cascini titolari dell’indagine che vede indagata l’imprenditrice Maria Rosaria Boccia per minaccia a corpo politico dello Stato e lesioni gravi dopo l’esposto presentato dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano. Nei giorni scorsi gli inquirenti hanno acquisito presso la sede del Ministero una serie di documenti.

Il ministro ha lasciato piazzale Clodio dopo essere ascoltato come persona informata sui fatti nella vicenda che coinvolge l’imprenditrice campana. Il colloquio durato circa un’ora si è svolto nella stanza del procuratore aggiunto Cascini alla presenza anche del procuratore Lo Voi.

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Tetto agli stipendi per i manager di enti pubblici

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Sforbiciata in arrivo per gli stipendi dei manager di enti pubblici e privati che ricevono contributi dallo Stato. La manovra introduce un tetto che fissa l’asticella dei compensi al livello dell’indennità del presidente del consiglio e dei ministri, che ammonta a circa 160mila euro (80mila netti). Una norma “di buonsenso”, dice la premier Giorgia Meloni. Che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti colloca tra le misure di “buon uso del denaro pubblico” della legge di bilancio. La novità, trapelata già ieri sera dopo il consiglio dei ministri, viene confermata dal ministro in conferenza stampa. “Anche tutto l’universo di quelli che sono enti, soggetti, fondazioni che non sono esattamente figlie dei ministeri ma ricevono contributi a carico dello Stato saranno chiamate a rispettare alcune regole elementari di buona finanza”, spiega Giorgetti. La premier cita anche gli “enti privati che prendono contributi pubblici”.

La stretta si tradurrà in un abbassamento del tetto per i compensi degli organi di vertice dagli attuali 240 mila euro previsto per i manager pubblici al livello “ragionevole ed equo” dell’indennità percepita dalla presidente del consiglio e dei ministri. Gli stipendi da considerare, precisa il ministro, saranno “omnicomprensivi”, inclusi quindi anche tutti i vari compensi che si possono percepire all’interno dell’ente a vario titolo, come gettoni o diarie. Il perimetro dell’intervento sarebbe ancora in via di definizione ed è probabile che vengano posti alcuni paletti, vista la mole di soggetti che rischiano di essere coinvolti. L’elenco degli enti che rientrano nel perimetro Istat delle pubbliche amministrazioni è lunghissimo. Secondo alcuni tecnici, la norma riguarderebbe in prima battuta tutte le entità partecipate che oggi anche in parte minoritaria si sentono escluse dai vincoli applicati a tutta la Pa.

Si fanno esempi come Aci, Camere di commercio, Cri, fondazioni e associazioni private che ricevono finanziamenti pubblici. Per chi non si adegua si prospetta la perdita dei contributi pubblici. “Può darsi che qualcuno possa rinunciare anche al contributo pubblico e decidere autonomamente cosa fare, qualcun altro altro continuerà a richiederlo ma si dovrà adeguare”, osserva Giorgetti. Che richiama anche gli organi di controllo a vigilare: “collegi dei revisori dei conti e gli ispettori della Ragioneria sono chiamati a far rispettare questa norma”. Quello del tetto agli stipendi dei manager pubblici è da sempre un tema che scalda gli animi della politica.

Il ministro della Pa Paolo Zangrillo chiede da tempo di aprire un ragionamento sulla possibile eliminazione del tetto, in modo da permettere anche alla Pa, come già avviene nel pubblico, di reclutare “i migliori” e diventare così più competitiva. La norma che ha introdotto il tetto risale al 2011, al ‘Salva-Italia’ del governo Monti allora alle prese con i conti pubblici da rimettere in sesto. Il governo Renzi ne ampliò la portata nel 2014, estendendone la platea. Nel settembre 2022, il Parlamento tentò un blitz tentando di escludere dai limiti alcune figure, dai capi di stato maggiore al segretario generale della presidenza del Consiglio: ma l’ira dell’esecutivo Draghi ristabilì rapidamente lo status quo.

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