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Esteri

Mosca, ‘rischio Zaporizhzhia sul summit’. Vilnius blindata

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Al vertice di Vilnius la Nato farebbe bene a parlare della centrale nucleare di Zaporizhzhia e non di dare nuove armi all’Ucraina. “Dopotutto la stragrande maggioranza dei membri dell’Alleanza si troverà nella zona di impatto diretto se dovesse accadere qualcosa nello stabilimento”. A evocare l’incidente atomico, proprio nei giorni del summit, è la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, habitué delle provocazioni. La capitale lituana, per andare sul sicuro, sarà blindata e difesa come non mai. D’altra parte sono giorni che la Russia accusa Kiev di voler attaccare la centrale e Kiev respinge tutto al mittente, sostenendo che è proprio Mosca a volere il disastro e tenta di coprire le sue tracce con un’operazione di disinformazione da manuale. Naturalmente i servizi d’intelligence alleati monitorano la situazione con attenzione e sinora non vi sono indicazioni che la centrale sia a rischio, nonostante gli allarmi pubblici lanciati da Volodymyr Zelensky.

Che però farà parte degli oltre 100 dignitari, tra leader e ministri, attesi a Vilnius (con quale logica allora gli ucraini dovrebbero nuclearizzare il loro stesso presidente non è chiaro). Provocazioni (si spera) a parte, resta lo sforzo senza precedenti per garantire la sicurezza al vertice, che dopotutto si terrà a 32 chilometri della Bielorussia e a 150 dalla Russia stessa. La Germania ha dislocato 12 batterie Patriot per proteggere i cieli, la Spagna i Nasams, la Francia pattuglierà con gli aerei spia Awacs e i caccia Rafale (e già che c’è schiererà a terra 4 obici semoventi Caesar), la Finlandia e la Danimarca contribuiranno con altri jet, il Regno Unito con unità anti-drone e la Polonia, insieme a Berlino, porterà le forze speciali assistite dagli elicotteri d’assalto; altri alleati stanno poi inviando attrezzature per far fronte a potenziali attacchi chimici, biologici, radiologici e nucleari. La lista degli invitati è d’altronde immensa. Intanto ci sono i capi di Stato e di governo dei 31 alleati (più la Svezia), accompagnati dai ministri degli Esteri e della Difesa, che avranno una sessione informale nel corso del vertice. E siamo già a 96.

Poi ci sono i quattro leader dei partner asiatici, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Dunque 100. Con Zelensky, la moldava Maia Sandu e i vertici dell’Ue si sale ulteriormente. Va da sé che la polizia sarà dislocata in ogni angolo della città, tanto che il sindaco di Vilnius ha suggerito ai cittadini di andare in vacanza se vogliono evitare disagi, dato che ampie zone del centro saranno chiuse del tutto. Il timore più pressante è quello di attacchi ibridi. Alcune fonti bene informate segnalano come, dal 4 al 24 luglio, la Bielorussia abbia abolito l’obbligo del visto con 73 Paesi del mondo; una mossa che potrebbe presagire un arrivo in massa di migranti, così come accaduto nell’estate-autunno del 2021. Anche la Polonia ha deciso di restare sul sicuro e sta inviando mille uomini e quasi 200 unità di equipaggiamento della 12ma e 17ma brigata nell’est, ai confini con la Bielorussia, proprio per fronteggiare ogni possibile “tentativo di destabilizzazione”.

Intanto, a meno di 48 ore dall’inizio del vertice, il presidente polacco Andrzej Duda ha incontrato Zelensky a Lutsk, città dell’Ucraina nordoccidentale capoluogo dell’oblast della Volinia, dove hanno visitato la cattedrale dei santi Pietro e Paolo. La visita non era stata annunciata e sottolinea una volta di più il forte sostegno che Varsavia sta dando a Kiev, specie nella sua marcia verso l’ingresso nella Nato, che la Polonia sostiene senza riserve. “La memoria ci unisce, insieme siamo più forti”, hanno dichiarato entrambi i presidenti sui social con parole congiunte.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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