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“Sorpresa” Chigi per reazione Anm, Santanchè non si tocca

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Bisogna rendersi conto che il problema delle interferenze di alcune iniziative giudiziarie sull’attività della politica riguarda tutti, centrodestra e centrosinistra, e in 30 anni ha colpito tutti i governi, qualunque fosse l’orientamento. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, inquadra con questo concetto il violento scontro in atto tra magistratura e governo. “Con tutto l’equilibrio possibile – completa il ragionamento – questo problema dovremo porcelo tutti, qualunque sia il ruolo, e provare a superarlo senza contrapposizioni che non fanno bene a nessuno”. E su questa linea si muove la premier Giorgia Meloni che “non cerca polemiche” ma rimane determinatissima ad “andare avanti con la riforma della giustizia”.

Se possibile, parafrasando sempre il sottosegretario, anche trovando insieme delle ipotesi di soluzioni ma “senza essere condizionati da iniziative giudiziarie”. Un punto netto su cui Palazzo Chigi, dopo una prima “sorpresa” per la dura presa di posizione dell’Anm, rilancia senza esitazione: “il governo, questo governo, non rinuncerà mai a intervenire ogni volta che siano messe in gioco l’applicazione delle leggi e si interferisca nelle “dinamiche democratiche”. Nel caso specifico, quando si fa un “uso politico della giustizia”. In questo quadro, il caso Delmastro (con la richiesta di ingiunzione coatta) e la vicenda che riguarda la ministra Santanchè, per Giorgia Meloni – ribadiscono fonti qualificate di palazzo Chigi – sono emblematiche in negativo, da un lato per l’assurdità delle procedure, nel secondo caso perché c’è stata una sortita contro il Parlamento.

In sintesi, non si può mettere in discussione il ruolo delle istituzioni, non si può interferire con le comunicazioni alle Camere di un ministro della Repubblica facendo uscire sugli organi di stampa informazioni coperte da riservatezza. Per questo motivo, Santanchè “non può dimettersi” e nessuno nel governo, a cominciare dalla premier, le chiederà di dimettersi. Di sicuro, nel caso di un voto di sfiducia la maggioranza di centrodestra si compatterebbe a sostegno della ministra. Pertanto, nessun “capro espiatorio”, la responsabile del Turismo sarà difesa a spada tratta. Un concetto che viene confermato in ambienti dei partiti della maggioranza, anche se declinato aggiungendo altre valutazioni che alla fine rafforzano la logica di palazzo Chigi. Questa coalizione – è il ragionamento – ha un premier fortissimo e numeri che la blindano ma alcuni partiti della maggioranza stanno attraversando una delicata fase di assestamento (come Forza Italia dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi e come, per altri versi, la Lega di Salvini) che di fatto li obbligano a cautela, a non stimolare dinamiche che alterino gli equilibri. In sintesi, l’ipotesi di cambiare delle pedine del governo ora comporterebbe tutta una serie di riallineamenti che rischierebbero di modificare lo status quo interno alla coalizione: troppi rischi, troppe incognite.

Resta la variabile Mattarella – si valuta ancora in ambienti della maggioranza – anche se in questo momento nessuno sembra in grado di prevedere se e quando il Capo dello Stato,che è anche presidente del Csm, potrebbe intervenire e, soprattutto, su quale direttrice. Il presidente della Repubblica era all’estero quando è scoppiato il “caso giustizia” con tutte le sue varianti (da Santanchè fino alla vicenda del figlio del presidente del Senato La Russa). Tra l’altro, l’Anm – si sottolinea in alcuni settori del centrodestra – non sembra un corpo monolitico, non c’è un consenso unanime verso le parole del presidente Santalucia.

Intanto, il rapporto tra la premier e il presidente della Repubblica è ottimo, si rimarca in ambienti di governo, si sentono e si vedono periodicamente.E non ci sarebbe sentore che il presidente della Repubblica abbia intenzione ora di intervenire su questi temi. Resta una piccola parte della magistratura “molto attiva” – si continua sempre in ambienti di governo – che cercherebbe di prendere un ruolo che spetta alle opposizioni, come accadde negli anni ’90. Ma Giorgia Meloni è forte e non ha conflitti di interesse. E Via Arenula segue la situazione, vigila e interviene chiedendosi cosa stia succedendo all’interno dell’ordine giudiziario.

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Lega vuole tagliare il canone Rai, scontro con FI

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E’ braccio di ferro nella maggioranza sul canone Rai. La Lega annuncia, infatti, che presenterà un emendamento alla manovra per ripristinare il taglio da 90 a 70 euro del contributo. Una misura che, ribatte immediatamente Forza Italia, “non è nell’accordo di governo”. Sullo sfondo del botta e risposta tra alleati anche la partita per la presidenza nel servizio pubblico sulla quale, però, al momento si registra uno stallo in commissione di Vigilanza. L’uscita della Lega, che si dice anche pronta a proseguire in prospettiva la battaglia per l’abolizione totale del canone, irrita gli azzurri che però al momento, off the records, la inquadrano come una boutade visto che una misura del genere costerebbe almeno 400 milioni ed è dunque poco realizzabile. “Se si abbassa il canone – ragiona il capogruppo di FI al Senato Maurizio Gasparri – allora vanno aumentati i trasferimenti”. Lo stesso meccanismo previsto nella legge di bilancio dello scorso anno.

“La Rai non può essere indebolita – dice il portavoce nazionale di Forza Italia Raffaele Nevi – abbiamo bisogno di un servizio pubblico forte. L’anno scorso è stato ridotto il canone ma poi abbiamo dovuto garantire alla Rai un contributo straordinario”. Nella manovra di quest’anno, invece, al momento è prevista invece solo una decisa spending review per il servizio pubblico. La Rai, infatti, nel 2025 non potrà aumentare le spese per il personale e per gli incarichi di consulenza, che non potranno superare il livello del 2023. E nel 2026 dovrà ridurre la spesa per personale e consulenza di almeno il 2% rispetto alla media delle spese nel triennio 2021-2023. Un taglio che raddoppia nel 2027. Per le opposizioni la proposta di una nuova stretta sul canone è un “atto ostile” contro la Rai. “L’Italia – evidenzia da Avs Peppe De Cristofaro – ha bisogno di una grande azienda radiotelevisiva sottratta alle grinfie della maggioranza di turno. E’ urgente cambiare la legge sul servizio pubblico”. Sulla riforma della governance, tra l’altro, da mercoledì si apriranno gli Stati Generali convocati dalla presidente della Vigilanza, Barbara Floridia. Mentre domani proprio Forza Italia con Maurizio Gasparri farà la propria proposta. La questione della riforma della governance si intreccia, tra l’altro, con quella della nomina della presidenza, sulla quale per il momento non si registrano però, passi in avanti. La maggioranza richiesta impone un accordo con le opposizioni che al momento non sembra alle viste. Il Pd – con Ouidad Bakkali – chiede una convocazione urgente della Vigilanza.

“Maggioranza e governo – attacca – sono in totale confusione e bloccano di fatto il servizio pubblico”. Tornando alla manovra, in vista dello scadere del termine per gli emendamenti i partiti stanno mettendo a punto le proprie proposte di modifica. Dalle cripto-valute ai controllori Mef sono diversi i fronti aperti. Certamente c’è quello del concordato con FI pronta a chiedere un bis della misura. La nostra linea – ricorda Antonio Tajani – è “favorevole alla riapertura dei termini”. Non sarà prorogato – puntualizza da FdI Marco Osnato – ma si valuterà una riapertura che “non potrà comunque essere legata alla manovra”. Intanto dal governo si ribadisce l’invito a fare emendamenti mirati puntando, per dirla con il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, “più sulla qualità che sulla quantità”. E l’auspicio è che non diventi una mission impossibile di fronte agli appetiti dei parlamentari.

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Pratica a tutela giudici. Ma la destra in Csm si spacca

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“I giudici alle prese con i provvedimenti attuali e futuri sui migranti vanno tutelati, c’è chi prova a condizionarli”. Lo scontro dei magistrati con il governo torna al punto di partenza, ma stavolta la corrente di destra del Csm è spaccata. I componenti togati del Consiglio, esclusi tre membri, hanno depositato la richiesta di apertura di una pratica urgente a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia del collegio giudicante del tribunale di Bologna che alcuni giorni fa aveva rinviato alla Corte di giustizia europea il recente decreto del governo sui Paesi sicuri. Secondo la richiesta quel provvedimento era stato poi “oggetto di dichiarazioni fortemente polemiche di titolari di altissime cariche istituzionali” e la “situazione determina una inaccettabile pressione sui giudici” e “un obiettivo condizionamento per quelli che in futuro si dovranno occupare delle medesime questioni; essa, pertanto, vulnera l’indipendenza dell’intera magistratura”.

Parole che arrivano a meno di una settimana dalle dichiarazioni della premier Meloni, la quale aveva definito le argomentazioni dei giudici bolognesi più vicine a “un volantino propagandistico che a un atto da tribunale”. Ma su sette togati di Magistratura Indipendente, in tre non hanno aderito alla richiesta dei togati del Csm, formulandone un’altra in cui chiedono “garantire una tutela piena dell’indipendenza della giurisdizione e della intangibilità della vita privata di ciascun magistrato, al di là di qualsiasi strumentalizzazione e contrapposizione di tipo politico”. Il riferimento in questo caso è esclusivamente nei confronti del solo Marco Gattuso, presidente della sezione immigrazione del tribunale di Bologna, finito nella bufera mediatica. Lo stesso Gattuso rivolgendosi in una missiva all’Anm, la quale in queste ore ha tenuto un’assemblea straordinaria in segno di solidarietà proprio con i giudici bolognesi, ha parlato del “tentativo di trasferire l’attenzione per un provvedimento giurisdizionale, che può essere sempre oggetto di critica, ai giudici che l’hanno firmato, con un oggettivo effetto intimidatorio di condizionamento nei confronti della magistratura”.

La lettera di Gattuso, che non ha partecipato di persona all’iniziativa, ha ricevuto il tributo dell’assemblea del sindacato delle toghe con un lungo applauso e una standing ovation. Resta però un caso la spaccatura all’interno di Magistratura Indipendente, che solo qualche giorno fa invece, riguardo alla richiesta di tutela dei giudici di Roma che non avevano convalidato il trattenimento dei migranti in Albania, era stata compatta nel rifiutarsi di sottoscrivere il documento firmato da tutti gli altri togati. “È il momento dell’unità di chi esercita la giurisdizione, dei magistrati, degli avvocati, degli operatori del diritto, per testimoniare che nessuna maggioranza politica, nessun interesse nazionale può sacrificare i diritti e le garanzie fondamentali delle persone, che spetta a magistrati ed avvocati difendere, al di là di ogni consenso o mandato popolare – commenta il segretario di AreaDg Giovanni Zaccaro – Mi spiace che alcuni colleghi, seppure investiti dell’onore di presidiare l’autonomia e la indipendenza della magistratura, non abbiano aderito a quella proposta quasi unitaria”.

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Emendamento Lega, tagliare il canone Rai a 70 euro

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La Lega presenta un emendamento alla legge di Bilancio per ripristinare la riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro, come previsto nella manovra dell’anno scorso. Lo di legge in una nota dell’ufficio stampa del partito. “Un intervento che ci sembra doveroso – commentano i parlamentari della Lega in commissione Vigilanza – anche alla luce del fatto che è ora per il servizio pubblico di migliorarsi senza gravare ulteriormente sui cittadini. Non ci fermeremo in questa battaglia e andremo avanti con la sua progressiva riduzione fino alla definitiva abolizione per favorire la transizione verso una azienda in grado di stare sul mercato”.

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