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Cultura

Ada D’Adamo vince lo Strega 2023, caso Sangiuliano

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Ha conquistato tutti Ada d’Adamo con il suo potente libro d’esordio Come D’Aria (Elliot) che l’ha portata alla vittoria del Premio Strega 2023 con 185 voti. La scrittrice e danzatrice, morta a 55 anni il primo aprile 2023, due giorni dopo essere entrata nella dozzina del più ambito riconoscimento letterario italiano, ha saputo della candidatura allo Strega l’ultimo giorno della sua vita. A ritirare il Premio il marito Alfredo Favi che commosso è riuscito a dire: “un premio inaspettato e meritato” e Loretta Santini , editrice della Elliot ha ringraziato “tutti quelli che hanno creduto in questo libro” rifiutato da molti editori. Prima della proclamazione del vincitore ha creato un certo imbarazzo il siparietto tra il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e Geppi Cucciari.

“Leggere è una cosa fondamentale, che ti arricchisce. Ho ascoltato le storie che sono espresse in questi libri finalisti. Sono tutte storie che ti prendono, che ti fanno riflettere. Ecco proverò a leggerli” ha detto il ministro. “Non li ha letti?” ha replicato Cucciari. “Si, li ho letti perché ho votato però voglio approfondire questi volumi” ha risposto il ministro tra i nuovi giurati entrati quest’anno fra gli Amici della domenica.

Non si è fatta attendere la reazione del presidente di Italia Viva Matteo Renzi che su Twitter ha scritto: “Ho capito perché il Ministro Sangiuliano ha scelto di cancellare la 18App: lui i libri non li legge. Li scrive, li giudica ma non li legge. Ministro, fatti perdonare: restituisci ai diciottenni la Card per i consumi culturali”. In serata la precisazione di Sangiuliano: “Mi spiace che le mie parole siano state travisate, ho ovviamente letto i libri del Premio Strega ma non con la calma che avrebbero meritato, avendo come potete capire, moltissimi impegni”. Il ministro della Cultura ha spiegato: “intendevo dire che tornerò ad approfondirli. Credo che a chiunque ami la cultura sia capitato di riprendere un libro in mano per rileggerne qualche passaggio che ti ha colpito”.

Nella serata a Villa Giulia, commozione e applausi in un trionfo di felicità al tavolo della casa editrice Elliot dove sedeva anche Elena Stancanelli che ha candidato il memoir di Ada d’Adamo al premio, tutti con un fiore bianco, un lisianthus, che la scrittrice amava tanto. Anche Mario Martone, alla sua prima volta al Premio Strega aveva un fiore sulla giacca per la sua grande amica che ha scritto un libro che “ha un qualità eccellente di scrittura e ha anche un valore politico” ha detto. Non ce l’ha fatta Rosella Postorino, già vincitrice del Premio Campiello 2018, che guidava la cinquina, protagonista di un duello all’ultimo voto con Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli) che ha avuto 170 preferenze. L’autrice del bestseller Le assaggiatrici ha dato voce questa volta al prezzo enorme pagato dai bambini di Sarajevo portati in Italia per salvarsi dalla guerra nel luglio 1992. Scritto durante la malattia, Come d’aria è la voce autentica di una madre che combatte contro un tumore e racconta alla figlia disabile la loro storia. Un intreccio potente, vero e spietato, tra passato e presente che ha creato uno tsunami di consensi dal basso all’alto, che ha vinto anche il Premio Strega Giovani 2023, si è aggiudicato il voto collettivo di Strega off, ha portato alla vittoria un piccolo editore come Elliot. Sono già stati acquisiti i diritti di traduzione in Francia.

Non è la prima volta che il Premio Strega viene assegnato postumo: era accaduto con Passaggio in ombra di Mariateresa Di Lascia nel 1995, con il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel 1959 e con Rinascimento privato di Maria Bellonci nel 1986. Ma questa volta la vittoria di Ada d’Adamo è stata accompagnata da qualcosa di magico che si è creato intorno al suo libro: una grande storia d’amore per la vita, per la danza e un invito a considerare ogni istante vissuto come un dono. Inedita anche l’atmosfera della serata, nell’edizione del ritorno alla normalità dopo la pandemia, con difficoltà a camminare tra i tavoli nel giardino, preceduta da una cena esclusiva al Caffè degli Artisti, prima della diretta al Museo Etrusco di Villa Giulia, trasmessa dalle 22.50 su Rai3 con per la terza volta consecutiva la conduzione di Geppi Cucciari. Alla serata anche il sottosegretario Sgarbi che è andato a salutare Sangiuliano. “Non si tratta di fare o meno pace. Sono una persona per natura molto mite, tranquilla. Una persona civile risponde al saluto, ciò non toglie che io resto sulla mia posizione” ha spiegato il ministro.

Al tavolo anche il neo commissario straordinario alla Buchmesse 2024 Mauro Mazza, il presidente dell’Aie Ricardo Franco Levi e tra i presenti anche l’ex ministro della Cultura Dario Franceschini. Terzo di una cinquina quasi tutta al femminile, con per la prima volta quattro donne, Andrea Canobbio con La traversata notturna (La nave di Teseo) ha avuto 75 voti, quarta Maria Grazia Calandrone con Dove non mi hai portata (Einaudi), 72 voti e quinta Romana Petri con il suo Rubare la notte (Mondadori), 59 voti. A presiedere il seggio Mario Desiati, vincitore della scorsa edizione. Il totale dei voti espressi è stato di 561, pari a circa l’85% degli aventi diritto.

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A Ischia torna il Festival internazionale della Filosofia

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Da giovedì 19 a domenica 22 settembre Ischia torna ad ospitare il Festival Internazionale di Filosofia, la rassegna che porta la disciplina filosofica a contatto diretto con la gente, nelle piazze e nei luoghi simbolo dell’isola. “Definire la nostra identità, potenzialmente minacciata dal mondo virtuale, tra social e intelligenza artificiale” è il tema profondamente attuale della decima edizione della manifestazione il cui format prevede mostre, laboratori, concerti e – soprattutto – oltre cento conferenze aperte al pubblico, con la filosofia che scende in piazza, attraversando i luoghi iconici di Ischia – dal Castello Aragonese alla Torre di Guevara fino al Museo di Villa Arbusto – in modo da avvicinarsi ad un pubblico vasto e composto da non addetti ai lavori.

“Da sempre l’essere umano si interroga sulla sua identità. – spiega Raffaele Mirelli, direttore scientifico della manifestazione, organizzata dall’associazione Insophia – È il problema principe che ci attanaglia da secoli: da una parte nello sviluppo personale, dall’altra nello sviluppo dell’individuo nella società, nei gruppi allargati dove si cerca costantemente riconoscimento, emancipazione. L’identità digitale è per questo una nuova sfida che porta con sé l’apertura a nuovi orizzonti di convivenza. Le società possono essere intese come virtuali, non esistenti, espressioni di algoritmi che mettono da parte l’essere umano, senza aver bisogno della sua presenza. Oggi siamo sempre più richiusi in cabine esistenziali, cerchiamo la condivisione nella solitudine, desideriamo consenso. Che cosa diventiamo nel mondo del web? Una riflessione che ci porta a chiederci che cosa possiamo costruire in termini di valori, che cosa possiamo fare per eludere il potere del ‘click’, della visualizzazione, del populismo politico digitale”.

Tra gli appuntamentidi questa edizione quello con Giuseppe Ferraro e Fausto Bertinotti che dialogheranno con gli studenti (il 20 e 21 settembre alla Torre di Guevara), quello sulla intelligenza naturale al tempo dell’intelligenza artificiale con la lectio di Maurizio Ferraris in programma il 20 settembre al Castello Aragonese e quello con Vittorino Andreoli che racconterà perché oggi l’uomo è sempre più senza identità (il 21 settembre sempre al Castello Aragonese). I giorni clou del festival sono stati anticipati da una serie di attività ed eventi tra cui quello con gli studenti delle scuole di Ischia e Procida che hanno realizzato ed affisso aforismi ideati per una campagna di sensibilizzazione sociale intitolata “Ribelli”, con 30 frasi scelte per rappresentare l’idea di ribellione in una realtà omologata e la Summer School, dedicata a Pietro Greco

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Ritrovato il 145/o manoscritto del Milione di Marco Polo

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Proprio nell’anno che celebra i 700 anni dalla morte di Marco Polo, è stato ritrovato un manoscritto del Devisement dou monde/Milione presente nei cataloghi, ma ignoto agli studi su Marco Polo (è assente da tutti i censimenti del Milione) che risulta essere l’ultimo dei codici oggi noti in ordine di tempo del testo del grande viaggiatore veneziano. Sono 145 raggruppati in diverse famiglie.

Il ritrovamento, che si inserisce nel più ampio lavoro sul Milione coordinato da Eugenio Burgio, Marina Buzzoni e Samuela Simion dell’Università Ca’ Foscari Venezia e Antonio Montefusco dell’Università di Nancy, riveste notevole interesse perché aggiunge nuove importanti informazioni riguardo alla trasmissione del testo e alle sue varie versioni. La storia della diffusione del Milione è in effetti una delle più intricate e appassionanti della letteratura medievale: il successo dell’opera determinò una fioritura di traduzioni, riscritture, adattamenti, riflesso dei numerosi ambienti in cui il testo fu letto.

Il manoscritto è un testimone quasi ignoto di una traduzione realizzata mentre Marco era ancora vivo, ed è da questa traduzione che derivano le versioni con cui il Milione venne conosciuto e letto. Il manoscritto è conservato nella Biblioteca Diocesana Ludovico Jacobilli di Foligno, con segnatura Jacobilli A.II.9, e trasmette la traduzione che gli studiosi chiamano VA, realizzata entro il primo quarto del Trecento nell’Italia nord-orientale.

L’importanza di questa traduzione risiede soprattutto nell’ampiezza della sua diffusione: il testo di VA venne infatti sottoposto a numerose traduzioni, sia in latino che in volgare, tanto che gran parte dei manoscritti superstiti è, direttamente o indirettamente, una sua emanazione. È quindi la versione in cui il libro di Marco Polo venne più letto e conosciuto in Europa.

Solo nei prossimi mesi si potrà aggiungere qualche informazione sulla posizione del manoscritto all’interno della tradizione manoscritta del Milione, in attesa di uno studio più ampio che sarà pubblicato su una delle riviste principali del settore. Tra le attività dell’anno dedicato a Marco Polo anche la pubblicazione della prima edizione digitale dell’opera di Marco Polo, resa disponibile agli studiosi di tutto il mondo e pubblicata da Edizioni Ca’ Foscari in open access e open source.

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John & Yoko, amore musica e politica nel docu da Oscar

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John Lennon fa fare l’aeroplanino al figlioletto Sean appena nato e poi lo porta a spasso mentre Yoko Ono gli dà la pappa nella cucina dell’appartamento nel Dakota Building con vista su Central Park: un quadretto familiare tenero che è una delle tante scoperte di ‘One to One: John & Yoko’, il documentario dello scozzese Kevin MacDonald con Sam Rice-Edwards che è una vera e propria immersione negli anni newyorkesi di Lennon ormai separato dai Beatles. Il film è in anteprima mondiale fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia e poi andrà al festival di Telluride.

Il regista ha potuto accedere all’archivio Lennon e alla Lennon’s Estate e ricostruire l’esperienza della coppia che tra musica, concerti benefici, manifestazioni partecipava alla vita culturale della città e soprattutto a quella politica. Erano gli anni della guerra in Vietnam, dei cortei dei giovani che chiedevano stop the war e peace now – scene e frasi drammaticamente attuali – del presidente Nixon da boicottare ma che invece veniva rieletto, del governatore razzista dell’Alabama George Wallace oggetto di un attentato che infiammò l’America.

Cosa non si è detto, visto, scritto dei FabFour, del loro addio – The Beatles: Get Back di Peter Jackson nel 2021 è solo l’ultimo degli approfondimenti – di Yoko Ono rovina Beatles eccetera eccetera? Eppure One to One: John & Yoko getta nuova luce. Innanzitutto il periodo non troppo indagato: siamo nel 1971-1972, la coppia innamoratissima era arrivata dall’Inghilterra, aveva preso casa al 496 di Broome Street a Soho e al 105 di Bank Street al Village, trascorreva giornate a letto, il famoso periodo peace and love, strimpellando, cantando, intervenendo nei programmi tv, ma cominciava di fatto una nuova vita. Fu allora che John e Yoko si impegnarono pesantemente in cause politiche e realizzarono Some Time in New York City, passato alla storia come il peggior album di Lennon e soprattutto il concerto di beneficenza per la famigerata Willowbrook State School per bambini con disabilità intellettive, che un’inchiesta tv aveva svelato come un istituto in pratica di detenzione pediatrica.

Lennon e Ono (la cui figlia Kyoko avuta dall’ex marito Anthony Cox, le era stata sottratta con grande dolore) si buttano con generosità nella realizzazione del concerto così come in altre cause, spesso insieme all’attivista sociale Jerry Rubin e al padre beatnik Allen Ginsburg, tentando di coinvolgere anche un recalcitrante Bob Dylan e quegli slanci sono forse una delle belle scoperte del documentario. One to One ebbe luogo al Madison Square Garden il 30 agosto 1972, l’unico concerto completo che Lennon tenne dopo aver lasciato i Beatles e prima che venne ucciso da un fan squilibrato sotto casa l’8 dicembre 1980. Il film è il racconto di anni irrequieti per l’America, per Lennon e Yoko (femminista della prima ora partecipa alla prima storica riunione, 1971), tra pubblico e privato.

E poi però c’è la musica Imagine, Looking over from my hotel window, Hound Dog, Come together, 39, Mother e tante altre. “L’idea del film – ha detto il regista – è stare con loro, come seduti nella loro casa, c’è intimità, c’è la storia del dolore di Yoko che cercava la figlia e c’è anche la loro vulnerabilità di famosi, ricchi, generosi e idealisti che volevano fare la rivoluzione ma poi disillusi pensarono alle piccole cose da cambiare, come far star meglio i bambini della Willowbrook School”. E poi, se pure è un tema divisivo dagli anni ’60, c’è Yoko Ono “questo film ha dato a Yoko la possibilità di essere vista, uguale a John”.

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