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Economia

L’economia corre più del previsto, frena l’inflazione

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L’economia italiana continua a correre più delle attese, e meglio degli altri grandi Paesi europei. Dopo il Fondo monetario Internazionale stavolta tocca alla Banca d’Italia aggiornare le stime sulla crescita, rivedendo al rialzo al +1,3% quel Pil che a gennaio era previsto salire di +0,6%. Ma gli effetti dei rialzi dei tassi si sentono, e per Bankitalia si vedranno soprattutto l’anno prossimo, con una crescita che si fermerà al +1% invece del +1,2% delle stime precedenti. Anche se l’inflazione, come certificano Istat ed Eurostat, continua a calare a maggio, la Bce non ha nessuna intenzione di fare una pausa nei rialzi, nonostante l’economia di alcuni Paesi stia soffrendo: la Germania in recessione tecnica è l’esempio più evidente, con effetti a cascata anche per l’Italia, vista la frenata dell’export registrata ad aprile.

Nelle nuove previsioni economiche della Banca d’Italia, oltre a una crescita 2023 migliore rispetto a quella dell’1% prevista dal Def, c’è anche un’altra buona notizia per l’Italia: l’inflazione scende di ben 0,3 punti rispetto alle vecchie stime, e quest’anno si attesterà al 6,1%, per poi scendere al 2,3% il prossimo. E’ l’impatto positivo della discesa dei costi energetici, “più rapida di quanto ipotizzato”. L’inflazione di fondo rimarrebbe ancora elevata nel corso di quest’anno, per ridursi nel prossimo biennio. Anche i nuovi dati dell’Istat confermano che qualcosa sul fronte dei prezzi si sta muovendo: a maggio l’inflazione riprende a scendere, tornando, dopo la risalita di aprile, al livello di marzo 2023 (+7,6%). Un dato che comunque resta più alto della media dell’Eurozona (+6,1%). Il rallentamento, che riguarda anche l’inflazione di fondo scesa da +6,2% a +6%, è ancora fortemente influenzato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici, ma frena anche il cosiddetto ‘carrello della spesa’, pur restando ancora molto alto (+11,2%). Non è ancora detto che si sia imboccata l’inversione di marcia visto che continuano a salire i prezzi dei beni alimentari non lavorati (da +8,4% a +8,8%) e quelli dei servizi relativi all’abitazione (da +3,2% a +3,5%).

Il Condacons parla infatti di un calo dovuto ad un “effetto ottico”, che non riduce la sofferenza delle famiglie: per l’Unione nazionale dei consumatori, un’inflazione al +7,6% per una coppia con due figli significa una stangata da 2.227 euro annui. Va peggio a chi vive a Genova, città medio-grande con l’inflazione più alta d’Italia (+9,5%), va meglio per chi abita a Potenza che è al lato opposto della classifica (+5%). Se Confesercenti chiede di “salvaguardare il potere d’acquisto”, la Cna è preoccupata dalle conseguenze che l’inflazione alta possa avere sul rinnovo dei contratti collettivi di lavoro. Mentre sui prezzi le cose sembrano comunque andare lentamente nel verso giusto, sull’economia si addensa qualche nube, nonostante le stime al rialzo di Bankitalia. Il problema si sta creando in questi ultimi mesi, da quando la Germania e l’Eurozona sono entrate in recessione tecnica: l’export italiano, registra l’Istat, è in calo per il secondo mese consecutivo (-1,7%). Una discesa ancora più marcata (-2,2%) se si considera il trimestre febbraio-aprile 2023. Su base annua, è la prima flessione da febbraio 2021, che riflette il crollo delle vendite proprio verso la Germania (-8,7%), Belgio (-23,0%) e Regno Unito (-13,7%). Per contro, crescono le esportazioni verso Stati Uniti (+6,5%), Svizzera (+4,1%), Spagna (+3,6%) e Turchia (+8,6%). Inoltre, sottolinea Bankitalia, le stime sono ancora circondate da una elevata incertezza. Con dei rischi evidenti: oltre al conflitto in Ucraina e all’andamento dell’economia mondiale, per la crescita dell’Italia peserebbe “un più forte irrigidimento delle condizioni di offerta del credito”.

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Economia

Al Nord stipendi talvolta quasi il doppio rispetto al Sud

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Dalla Lombardia alla Calabria l’Italia resta divisa in due anche negli stipendi, che al Nord sono mediamente più alti del 35% rispetto a quelli del Sud. I conti in busta paga li ha fatti la Cgia di Mestre, elaborando dati Inps e Istat: se gli occupati nelle regioni settentrionali hanno una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano solo 75. Una differenza, afferma l’ufficio studi mestrino, dovuta alla maggiore produttività del lavoro al Nord, che supera del 34% il dato delle regioni meridionali. Il confronto in termini assoluti rende chiarissima questa disparità: la retribuzione media annua lorda di un lavoratore dipendente in Lombardia è pari a 28.354 euro; in Calabria ammonta a poco più della metà, 14.960 euro. Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di 29,7.

Squilibri retributivi che del resto, osserva la Cgia di Mestre, si riscontrano anche tra le diverse aree del Paese, quelle urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro. L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte, per la Cgia, gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste. Anche perchè nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie (che tendenzialmente riconoscono ai dipendenti stipendi più elevati) sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord.

A pesare inoltre è il lavoro irregolare, molto diffuso nel Mezzogiorno, che da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale (agricoltura, servizi alla persona, commercio) Quanto alle città con gli stipendi più alti, spicca su tutte Milano, con 32.472 euro annui, seguita da Parma (26.861 euro), Modena (26.764 euro), Bologna (26.610), Reggio Emilia (26.100). I lavoratori dipendenti più poveri, invece, si trovano a Trapani dove percepiscono una retribuzione media lorda annua di 14.365 euro, a Cosenza (14.313 euro), Nuoro (14.206 euro). Negli ultimi posti della classifica vi sono i lavoratori dipendenti di Vibo Valentia, con una busta paga media di 12.923 euro l’anno contro una media italiana di 22.839 euro.

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Economia

Assicurazioni,utili su nei 6 mesi,12 miliardi per 4 big

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Dopo un 2023 da record, continua il periodo di crescita per il settore assicurativo. Nel primo semestre del 2024 bilanci ancora nel segno più con 4 grandi protagonisti internazionali del settore, ovvero Generali e Unipol dalle radici italiane, insieme ad Allianz e Axa, che da soli hanno chiuso il periodo con oltre 12 miliardi di utili, in crescita del 4,4% rispetto ai primi 6 mesi dello scorso anno. A rilevarlo è un report dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil condotto sui bilanci delle quattro grandi compagnie assicurative europee. Complessivamente, i quattro grandi gruppi hanno superato i 204 miliardi di euro di premi (Danni e Vita) con un incremento di oltre il 9% rispetto all’anno precedente.

La crescita nei Rami Danni, che hanno presentato un utile operativo tecnico di 9,1 miliardi è stata del 3%, mentre i Rami Vita hanno rilevato un utile operativo tecnico di 6,5 miliardi con un incremento più marcato del 7%. Il campione italiano, Generali e Unipol, ha registrato utili a 2,6 miliardi di euro di utili nel primo semestre, rispetto ai 2,8 miliardi registrati nei primi sei mesi dello scorso anno. La leggera diminuzione è principalmente imputabile a utili non ricorrenti e one-off di Generali lo scorso anno, in assenza dei quali l’utile normalizzato sarebbe risultato stabile a 2 miliardi di euro, mentre Unipol è passata da 517 milioni di euro al semestre 2023 a 555 milioni di euro al 30 giugno 2024, con un incremento del 7%.

L’utile di Allianz migliora del 13,9% passando dai 4,6 miliardi di euro del 2023 ai 5,3 miliardi del 2024, mentre Axa conferma sostanzialmente l’utile del primo semestre dell’anno passato, pari a 4,1 miliardi di euro, a 4,2 miliardi nel 2024. Il settore assicurativo, conclude lo studio, si è quindi confermato nel complesso ancora una volta molto solido e, come riporta la Fisac Cgil con indici di solvibilità in deciso incremento. Gli ottimi risultati del comparto vengono evidenziato dalla ricerca della Fisc Cgil anche nell’ottica dei prossimi rinnovi di contratto: “Ancora una volta registriamo risultati estremamente positivi sul fronte della redditività e della solidità del settore assicurativo. Risultati raggiunti grazie all’impegno delle lavoratrici e dei lavoratori del settore che meritano un significativo riconoscimento, a partire dai prossimi rinnovi contrattuali, di primo e secondo livello”, dice la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito. (

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Ambiente

L’Italia pensa al nucleare, 50 miliardi l’impatto sul Pil

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Il tema del nucleare di ultima generazione irrompe al forum Teha di Cernobbio con con gli imprenditori e operatori del settore che chiedono di “fare presto” per evitare di perdere l’opportunità per gli investimenti. Una tecnologia che porterebbe benefici alla crescita economica del Paese un impatto sul Pil di 50,3 miliardi al 2050. La posizione del governo non si fa attendere con il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin che annuncia l’arrivo “entro fine anno” di un “disegno di legge, che conterrà la normativa primaria e dove saranno previsti i soggetti regolatori”.

L’Italia, di fatto, rientrerebbe nel nucleare. Da Villa d’Este, sul lago di Como, sono Edison e Ansaldo Nucleare ad illustrare l’impatto dell’atomo sulla decarbonizzazione energetica e sull’economia italiana. Il nucleare di ultima generazione, secondo una analisi illustrata a Cernobbio, può abilitare al 2050 un mercato potenziale fino a 46 miliardi di euro, con un valore aggiunto attivabile pari a 14,8 miliardi di euro. Ma c’è di più perché considerando anche i benefici indiretti e dell’indotto, sarà possibile creare oltre 117.000 nuovi posti di lavoro. Il nuovo nucleare non è soltanto una “risorsa preziosa per raggiungere gli obbiettivi di transizione energetica ma costituisce una vera e propria occasione di rilancio industriale per il Paese”, spiega Nicola Monti, amministratore delegato di Edison.

“L’Italia ha l’occasione – aggiunge – di essere protagonista, se da subito viene definito un piano industriale di medio-lungo periodo”. Sui tempi è il ministro Pichetto a fissare dei punti fermi. Per fine anno arriverà “l’analisi complessiva sul nucleare e su ciò che bisognerà introdurre come norma primaria che deve trasformarsi in disegno di legge”. I tempi li detterà il “parlamento, ma auspico che nel corso del 2025 che si possa chiudere quello che è il processo di valutazione normativa”. E sull’ipotesi di un nuovo referendum, “non faccio il mago di conseguenza la libertà di raccogliere firme e fare i referendum c’è”. In passato gli italiani si sono espressi su una “tecnologia di 60 anni fa, quella di prima e seconda generazione”, prosegue il ministro, ribandendo che “guardiamo al nuovo nucleare, che non prevede la costruzione di grandi centrali.

Pensiamo invece ai agli Small modular reactor e agli Advanced modular reactor”. In Italia c’è grande fermento tra i principali protagonisti del settore dell’energia per essere pronti ad affrontare la sfida del nuovo nucleare. Da mesi, infatti, sono stati siglati numerosi accordi di programma finalizzati allo ricerca ed allo sviluppo della tecnologia nucleare. Tra le ultime intese, ma solo in ordine di tempo, c’è quella tra Edison, Federacciai e Ansaldo Energia per decarbonizzare le acciaierie italiane. Per l’Italia si riapre una nuova “riflessione sul ruolo benefico che le nuove tecnologie nucleari disponibili o in via di sviluppo possono giocare nel mix energetico italiano”, spiega Daniela Gentile, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Il nucleare di nuova generazione conta attualmente, a livello globale, oltre 80 progetti in via di sviluppo.

Nello sviluppo del nuovo nucleare, secondo l’analisi di Edison, Ansaldo Nucleare e Teha, l’Italia può contare su competenze lungo quasi tutta la catena di fornitura e su un sistema della ricerca all’avanguardia. Lo studio, inoltre, ha identificato 70 aziende italiane specializzate nel settore dell’energia nucleare che confermano una “forte resilienza di questo comparto a tre decenni dall’abbandono della produzione in Italia”. Il valore strettamente legato all’ambito nucleare generato dalle aziende di questa filiera si attesta nel 2022 a 457 milioni di euro, con circa 2.800 occupati sostenuti, e l’Italia che si posiziona quindicesima a livello globale e settimana in Ue-27 per export di reattori nucleari e componenti tra il 2018 e il 2022.

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