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Scudetto al Napoli: gol e leadership, dirompente Osimhen

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Dalla povertà alla ricchezza, dalla polvere delle strade africane all’altare della notorietà e della fama che il calcio sa regalare ai suoi protagonisti più celebrati e più amati dai tifosi. I suoi 24 anni Victor James Osimhen li ha vissuti a tutta velocità, proprio come le sue irrefrenabili cavalcate sui campi di calcio. E’ lui l’uomo immagine del Napoli, il personaggio di spicco in una squadra che ha saputo riportare lo scudetto in città (ha segnato anche il gol del pari a Udine che ha certificato il terzo titolo per i partenopei). E’ lui il simbolo di un team vincente, ancor più di Kvaratskhelia che quest’anno lo ha affiancato nell’attacco dei partenopei e gli si è avvicinato sensibilmente anche nel cuore dei tifosi.

Da Maradona a Osimhen, dalla ‘Mano de Dios’ a ‘Dio è buono’ (questa la traduzione dal dialetto nigeriano Ishan del cognome dell’attaccante), dopo 33 anni la storia si ripete e c’è sempre un protagonista assoluto, un calciatore che scalda gli animi, trascinando la squadra, la società e i tifosi verso la conquista del trofeo più ambito e più importante. Osimhen, ultimo di sei figli, è nato a Lagos, capitale economica della Nigeria, una megalopoli di oltre 15 milioni di abitanti nella quale il padre Patrick decise di trasferire la famiglia, originaria dello Stato di Edo, nel sud ovest del Paese. La sua vita di bambino fu caratterizzata dalla povertà e dall’indigenza. Per aiutare la famiglia accompagnava la mamma (scomparsa qualche anno fa) agli incroci delle strade di Lagos dove i due vendevano bustine di acqua potabile agli automobilisti di passaggio. Osimhen è cresciuto a Olusosun un sobborgo di Lagos che ospita una delle più grandi discariche d’Africa.

Una vita difficile la sua, caratterizzata da una lotta continua per la sopravvivenza in un ambiente difficile in cui per aiutare la famiglia faceva mille lavoretti, oltre a distribuire l’acqua agli incroci. Da giovanissimo frequentava la scuola, aiutava la mamma in strada e giocava anche a pallone. Scout locali lo notarono e lo portarono in un piccolo team giovanile di Lagos, la Strikers Academy nel quale rimase dal 2010 al 2017. Nel 2015 viene convocato dall’allenatore della Nazionale Under 17, Emmanuel Amunike e partecipa in Cile al Campionato Mondiale che la Nigeria si aggiudica, battendo in finale 2-0 il Mali anche con un gol di Osimhen. L’attaccante, autore nella rassegna mondiale di 10 gol e 2 assist, viene premiato con la ‘Scarpa d’oro’. Al compimento dei 18 anni, il Wolfsburg gli fa firmare un contratto per tre stagioni e in Bundesliga il giovanissimo Osimhen colleziona 15 presenze e nessun gol. L’anno successivo si trasferisce in prestito allo Charleroi e nel campionato belga mette a segno 12 gol in 25 presenze. Nel 2019 il Lille ne acquista il cartellino per 12 milioni di euro e Osimhen va in gol 13 volte in complessive 27 presenze.

Nell’estate del 2020, infine, il trasferimento al Napoli per una cifra record – 70 milioni di euro – che lo rende l’acquisto più costoso nella storia del Calcio Napoli, anche di più di quello di Maradona il cui cartellino nel 1984 fu pagato al Barcellona 13 miliardi e mezzo di lire. Il primo anno in maglia azzurra è condizionato da un infortunio grave a una spalla rimediato durante una partita della Nazionale e dal Covid e si conclude con un bottino di 10 gol in 30 partite. La seconda stagione al Napoli va meglio, nonostante un grave infortunio (frattura di uno zigomoe e dell’orbita oculare) che lo tiene fermo due mesi e Osimhen la conclude con un bottino di 18 gol in 32 partite. Quest’anno arriva l’esplosione e la consacrazione definitiva. Potenza fisica, velocità, aggressività, senso della posizione, straordinaria elevazione, capacità nel confezionare assist: sono queste le caratteristiche che fanno di Osimhen uno degli attaccanti più completi al mondo. La società e i tifosi se lo coccolano, anche se non c’è alcuna certezza che il suo contratto, in scadenza nel 2025, possa essere onorato fino in fondo. Le piu’ importanti squadre europee sono pronte a sottoscrivere investimenti faraonici per portarlo via al Napoli. La città è cosciente del rischio che si corre, ma comunque vada a finire nessuno si dimenticherà mai di lui che è stato capace di riportare lo scudetto a Napoli dopo 33 anni e di far felice un intero popolo.

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Giustizia, stretta sulle toghe politicizzate e sui reati informatici: il decreto del governo in arrivo

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La riforma della giustizia torna al centro del dibattito con il nuovo decreto che il governo si appresta a varare lunedì prossimo in Consiglio dei Ministri. Tra le novità principali, spiccano due misure destinate a far discutere: l’introduzione di sanzioni per i magistrati che non rispettano il dovere di astensione in casi di conflitto di interesse e una stretta sui reati informatici e sul dossieraggio illegale.

Sanzioni per le toghe politicizzate

Il decreto introduce una nuova norma che obbliga i magistrati a astenersi dal giudicare su questioni rispetto alle quali si sono già espressi pubblicamente attraverso editoriali, convegni o social network. In caso di violazione, il Consiglio Superiore della Magistratura potrà adottare sanzioni che vanno dall’ammonimento alla censura, fino alla sospensione.

Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, questa norma intende tutelare il principio di imparzialità della magistratura, un obiettivo che la maggioranza considera fondamentale per garantire l’equilibrio tra i poteri dello Stato.

La misura ha già suscitato polemiche tra le toghe e riacceso il dibattito sulla presunta politicizzazione della magistratura. L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha espresso preoccupazione per quella che definisce un’“invasione di campo” da parte del governo.

La questione delle migrazioni e il caso Silvia Albano

La norma sulle toghe politicizzate sembra trarre origine da recenti tensioni tra il governo e alcune sezioni della magistratura, in particolare sui temi legati all’immigrazione. Emblematico il caso della giudice Silvia Albano, che aveva criticato l’accordo tra Italia e Albania sui migranti, trovandosi poi a giudicare direttamente su questa materia.

Albano, presidente di Magistratura Democratica, è stata bersaglio di critiche da parte della maggioranza per la sua posizione pubblica contro il “decreto Paesi sicuri”. La sua decisione di non convalidare il trattenimento di 12 migranti nel centro italiano in Albania ha sollevato ulteriori tensioni.

Stretta sui reati informatici e dossieraggi

Il decreto affronta anche il problema dei reati informatici, introducendo nuove misure per contrastare l’accesso abusivo ai database pubblici. Tra le novità principali:

  • Arresto in flagranza per chi viola sistemi informatici di interesse pubblico, militare o legati alla sicurezza nazionale.
  • Trasferimento delle indagini sui reati di estorsione tramite mezzi informatici alla procura Antimafia, guidata da Giovanni Melillo.

Queste misure arrivano in risposta a recenti scandali legati al dossieraggio illegale, come l’indagine della DDA di Milano sulla “centrale degli spioni” che trafugava dati sensibili da banche dati governative, coinvolgendo figure politiche di primo piano come la premier Giorgia Meloni.

Un antipasto per la riforma delle carriere

Questo decreto rappresenta solo l’inizio di un più ampio progetto di riforma delle carriere di giudici e pm che il governo sta portando avanti in Parlamento. La maggioranza intende ridefinire i rapporti tra i poteri dello Stato, nonostante le inevitabili polemiche con la magistratura.

Secondo il ministro Nordio, l’obiettivo è garantire un sistema giudiziario più equo e trasparente, ma l’ANM e altre voci critiche temono che queste misure possano indebolire l’autonomia delle toghe.

Un Natale caldissimo per la giustizia italiana

Le nuove norme, che toccano temi delicati come la gestione dell’immigrazione, i reati informatici e l’imparzialità dei magistrati, promettono di accendere il dibattito politico e giudiziario. Il governo va avanti, ma il confronto con le toghe e le associazioni di categoria si preannuncia acceso.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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