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I 70 anni di Sara Simeoni, un salto nel mito

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Odiava le sue gambe ma sono state proprio quelle la sua fortuna, perché l’hanno resa una campionessa balzata in cima al mondo. Sara Simeoni, oro olimpico dell’alto a Mosca 1980 e padrona di tanti primati, spegne domani 70 candeline. “Ha migliorato se stessa centimetro dopo centimetro, e non si è data mai per vinta: questo è stato il suo vero segreto”, racconta Erminio Azzaro, marito e allenatore, che ne celebra il compleanno provando a raccontare chi è Sara, chi era Simeoni prima di diventare la campionessa di un’epoca d’oro dell’atletica italiana. Come ha raggiunto il top, quel mitico 2,01 che scavalcò due volte, e il podio dei Giochi, in cui è stata anche argento nel 1976 e nel 1984? Nessuno la conosce meglio di Azzaro, a sua volta ex specialista dell’alto, che della regina del salto in alto Sara è marito e allenatore; un binomio nato quando lui ancora gareggiava. “Fra noi due era già nato qualcosa di importante al di fuori del lato tecnico e sportivo – racconta -, e io non pensavo di fare l’allenatore. Ma lei, era il 1974, mi disse un giorno: ‘se non mi alleni tu, io smetto’.

Allora non ebbi scelta di fronte a questa richiesta ‘indecente’. Per me fare il tecnico fu quasi una scommessa, ma avevo già capito che lei aveva doti fuori dal comune, grandi qualità fisiche e temperamentali. Perciò – prosegue Azzaro – anche se mi sentivo ancora un agonista, il fatto di allenare Sara è diventata una cosa seria e ci ho creduto dal primo momento. E’ stato un allineamento degli astri, l’essere al momento e al posto giusto”. “E siamo andati avanti – continua Azzaro – anche se certi censori dicevano che non avremmo fatto niente oppure, visto che all’epoca il Fosbury era uno stile nuovo. “Figurati se ci riescono, sono pure fidanzati”, dicevano. Ma anche se tanti dicevano la loro, noi ce ne fregavamo e i risultati sono stati dalla nostra parte”. Ma gli ori olimpici ed europei, quelli dei Giochi del Mediterraneo e il record mondiale sono stati il frutto di che cosa?

“La chiave giusta – risponde – è stata trasmettere delle sensazioni da atleta ad atleta, quale io ancora ero. Poi Sara ci ha messo le sue grandi qualità, le sue doti fisiche e quelle temperamentali. Qui sta il punto: in gara gestiva bene i momenti difficili, non si faceva prendere dall’ansia e non si dava mai per vinta, perfino quando aveva capito che non avrebbe vinto. Poi fra i suoi segreti c’era la facilità nella corsa, anzi la rincorsa che se ti riesce bene hai fatto l’80%”. Ma non è tutto, perché la grandezza di Sara Simeoni è stata anche, spiega l’allenatore e marito, “di non volere subito il tetto del mondo, ma di migliorare sempre, anno dopo anno e centimetro dopo centimetro. E di non vivere l’atletica con esasperazione, di non fare drammi per una sconfitta. Casomai, cercava di capire in cosa avesse sbagliato. Insomma – prosegue Azzaro – fra le sue doti c’era anche una tranquillità di fondo, doveva accontentare se stessa ma dicendosi ‘faccio ciò che mi piace, senza esagerazione e un po’ alla volta’. E così facendo sono arrivati un oro e due argenti in tre Olimpiadi. Quando è successo non abbiamo realizzato bene, ma con il passare del tempo ce ne siamo resi conto. E lo apprezzi ancora di più”.

E cosa farebbe Sara Simeoni nel salto in alto di oggi? “A quei tempi, quando abbiamo cominciato a lavorare insieme – spiega Azzaro – il Fosbury era venuto fuori da poco, ai Giochi del 1972: diciamo che il salto di mia moglie avrebbe potuto essere migliorato nella parte acrobatica, e quindi nello scavalcamento dorsale in aria. Ma faccio notare che oggi con 2 metri si va ancora sul podio, è tuttora una misura molto rispettabile, e questo aumenta il valore delle sue prestazioni”. Come dire che quel record di 2,01 rimarrà nella storia, dell’atletica e non solo, di una moglie e una fuoriclasse. Di nome Sara Simeoni.

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L’Italia ritrova Tonali e rinasce, ora testa a Israele

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Voglia di rivalsa tanta, e poi gioco e gambe per mettersi alle spalle il flop degli Europei. La vittoria sulla Francia dell’Italia di Spalletti segna un nuovo spartiacque della non sempre facile avventura della Nazionale: l’uscita di scena in Germania, da campioni in carica, resta sempre una pagina amarissima, certo è che se si doveva ripartire non poteva esserci contesto migliore di quello del Parco dei Principi. Una vittoria in rimonta nel match d’esordio della Nations League che mette in un angolo i fantasmi del disastroso Europeo di due mesi fa: Luciano Spalletti ritrova il sorriso, ha lasciato Parigi con con tre punti e soprattutto con la consapevolezza che qualcosa è davvero cambiato.

Archiviati i primi 20 minuti da incubo, con il gol subito dopo una manciata di secondo, gli azzurri si sono ricompattati. Spalletti ha definito i suoi “dei giganti” ma soprattutto ha ritrovato quei giocatori che, ad esempio in Germania contro la Svizzera non c’erano (Calafiori, Dimarco e Tonali, giusto per fare i nomi) e che nella Ville Lumiere sono stati note armoniosi nello spartito del successo sulla nazionale francese. I gol dell’Italia sono stati un piccolo grande manifesto di realtà. Uno l’ha segnato Davide Frattesi, che sarebbe titolare in 19 squadre della Serie A, ma fa la riserva nell’unica in cui deve giocare. Il terzo gol è stato di Giacomo Raspadori che presto avrà un destino simile: la panchina nel Napoli.

Il pareggio di Dimarco con un tiro al volo sotto la traversa è nato da un colpo di tacco di Sandro Tonali, tornato in Nazionale dopo aver scontato dieci mesi di squalifica per la vicenda delle scommesse. Il ct ne ha esaltato la prestazione (“Abbiamo ritrovato un giocatore fortissimo, avevamo paura che non avesse i novanta minuti nelle gambe e invece alla fine ha dato due ‘sgasate’ da far paura”) e lui ha messo in campo tutte le sue qualità, facendo vedere quanto ha perso con la sua squalifica la Nazionale agli Europei e cosa ha perso il Milan nel cederlo al Newcastle. E le parole del ct appaiono come una riconferma anche per il match con Israele. L’Italia ha messo in campo “grinta e voglia di rivalsa” come ha sottolineato Andrea Cambiaso. Entusiasmo e libertà di giocare, altri concetti vincenti: “Abbiamo fatto una grande partita dal punto di vista dell’orgoglio e dell’approccio in campo – ha aggiunto l’esterno azzurro – Ci sentiamo tutti più liberi di giocare, non che prima non lo fossimo, con il ct che è sempre stato molto disponibile e ci ha lasciato liberi di esprimerci. Poi – aggiunge – il cambio di gioco deciso dal ct è stata l’arma vincente”.

Il compito degli Azzurri e di Spalletti, ora, è non solo di far bene in Nations League – passaggio importante anche per le qualificazioni ai prossimi Mondiali – ma anche quello di riconquistare l’affetto dei tifosi. Ieri sera la partita è stata seguita su Rai1 da 5 milioni 567mila spettatori e il 31.1% di share, quasi la metà dei 12 milioni di media di Italia-Svizzera dello scorso mese di luglio, ultima apparizione dell’Italia agli Europei; più o meno alla sessa ora, su Sky e Supertennis andava in scena la semifinale degli US Open con Jannik Sinner che ha fatto registrare una media di oltre 2,3 milioni di spettatori unici. Intanto gli azzurri hanno raggiunto Budapest, in Ungheria, per la prossima sfida con Israele. Arrivo in mattinata ed allenamento nel pomeriggio. Il prossimo impegno di Nations è lunedì sera nella capitale magiara contro gli israeliani (ore 20.45, diretta su Rai 1 – arbitra lo slovacco Kruzliak) andranno a caccia di altri tre punti utili anche per un posto tra le teste di serie al sorteggio per le qualificazioni al Mondiale del 2026.

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Us Open: Sinner sogno americano ‘finale Slam è speciale’

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Il sogno americano è a un passo. A sette mesi dal trionfo a Melbourne che gli regalava il primo slam e da lì la corsa, andata a buon fine, a diventare il n.1 al mondo, Jannik Sinner si ritrova di nuovo a fare i conti con la storia: a New York sul cemento di Flushing Meadows il tennista azzurro va a caccia degli Us Open. Dopo aver battuto l’amico Draper, al termine di una maratona resa ancora più complicata dall’afa, Sinner dovrà vedersela con Taylor Fritz: tra il n.1 al mondo e la conquista dello slam americano c’è il ricchissimo padrone di casa. I due si incontrano per la terza volta e il bilancio finora è di un successo per parte: alte le motivazioni per entrambi, Sinner non vuole lasciarsi fuggire l’occasione di vincere il secondo slam nella stessa stagione, e fare un altro salto tra i più grandi dopo settimane difficili per il caso della positività al doping (tennista assolto, ma la Wada ha ancora la possibilità di fare ricorso).

Il golden boy a stelle e strisce ha l’ambizione di restituire a un americano il titolo degli Us Open che manca da oltre vent’anni, quando a esultare nel 2003 fu Andy Roddick. L’ultimo americano ad arrivare in finale, tre anni dopo, battuto da Roger Federer. Da allora più nulla è per questo che Fritz, che già a due anni teneva la racchetta in mano cresciuto in una famiglia di tennisti, si trascina il tifo di un’America che aspetta questo momento da troppi anni. E proprio il tennista di San Diego, già papà del piccolo Jordan, adesso si dice pronto a sfidare il n.1 e convinto anche di poterlo battere. “Sono fiducioso e so che quando gioco bene posso battere chiunque – le parole del 27enne californiano – Con Jannik sarà diverso, giocherò da sfavorito. Ma contro di lui mi sono sempre ben comportato. Il traguardo? Per L’America è una grande cosa, penso che faccia capire che stiamo provando a vincere uno Slam”. Sinner, alla sua 60/a partita in stagione (il bilancio è di 54 vittorie e 5 sconfitte) punta a regalarsi il secondo slam: “Ho solo un’esperienza di finale alle spalle, non è molto – ha detto il campione altoatesino – quando arrivi a giocare la domenica significa che hai fatto un ottimo risultato.

Lo slam è diverso, penso comunque che bisogna scendere in campo anche per divertirsi. Da Melbourne a oggi ci sono state tante vittorie, momenti belli, altri difficili. Una finale slam è speciale, e sarà una domenica speciale”. Il match con Draper è stato seguitissimo in tv nonostante la concomitanza con la nazionale di Spalletti: ora il grande appuntamento a New York. Sinner circondato dal suo staff e dalla fidanzata Anna Kalinskaja dopo il match è apparso con il ghiaccio sul polso mentre pedalava sulla cyclette. Nessun allarme però. “Due anni e mezzo fa quando abbiamo iniziato questo percorso, il nostro obiettivo era portare Jannik a un livello per cui potesse andare in fondo in tutti i i tornei. Ed è quello che ha fatto quest’anno con continuità. Jannik sta crescendo, non deve giocare solo su se stesso ma anche sulle debolezze dell’avversario. Una finale Slam non è un traguardo facile da raggiungere, speriamo di fare l’ultimo passo domenica” le parole del coach Simone Vagnozzi. Contro l’americano, trascinato dal tifo di casa, Sinner va a caccia di un’altra perla: sempre più vicino a chiudere la stagione 2024 da numero 1, l’azzurro confida in una nuova “domenica speciale”.

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Truffato e derubato l’ex arbitro Paolo Casarin

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Anche l’ex arbitro Paolo Casarin, oggi 84enne, è finito tra le vittime della classica truffa del finto incidente stradale con parente nei guai, come si legge oggi su ‘Il Giorno’, e gli sono stati rubati in casa denaro e preziosi per un valore di circa 40mila euro. L’ex arbitro e opinionista tv ha presentato denuncia il 27 agosto scorso, raccontando di aver ricevuto una telefonata da una persona che si è spacciata per un militare, invitandolo a ritirare un verbale urgente che riguardava il figlio coinvolto in un incidente stradale.

Casarin è andato a San Donato Milanese seguendo le indicazioni dell’interlocutore, che ha continuato a tenerlo al telefono per impedirgli di chiamare altre persone. Dopo mezz’ora, però, l’ex arbitro ha chiuso la conversazione ed è tornato a casa dove ha scoperto che, nel frattempo, qualcuno aveva detto alla moglie di consegnare tutto quello che aveva di prezioso nell’abitazione, sempre con la scusa del figlio che, ovviamente, in realtà stava benissimo.Casarin si è rivolto ai carabinieri, che hanno acquisito le immagini del suo impianto di sorveglianza.

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