Mentre il segretario Pd Enrico Letta trovava la mediazione sul Manifesto dei valori, il vicesegretario Peppe Provenzano recuperava un tema finito sotto la cenere: “Sul nome del partito avrei voluto un referendum per i nostri iscritti – ha detto – Ma lo chiederemo al prossimo gruppo dirigente”.
La questione era sorta nelle fasi di rodaggio del congresso, ma poi il dibattito si era arenato. Una discussione sul nome e la proposta di un referendum piacciono a Elly Schlein: “E’ sicuramente un tema che può essere sottoposto agli iscritti – ha detto – anche se in questo momento questo congresso ci deve servire innanzitutto a mettere al centro contenuti e una visione chiara, coraggiosa”.
L’idea di cambiare non trova consensi, invece, fra gli altri candidati: “Parliamo di sostanza – ha detto Bonaccini – E poi a me il nome Pd piace”. Anche Gianni Cuperlo è della stessa idea: “Terrei caro il nome del Partito Democratico”. Così come è “contraria al cambio” Paola De Micheli. La discussione si affianca a quella sul Manifesto dei valori, che domani sarà votato in assemblea. La quadra dovrebbe essere stata raggiunta col cosiddetto “lodo Letta”, frutto di 48 ore di lavoro con i quattro candidati e il leader di Articolo Uno, Roberto Speranza. Quale fosse l’intento delle varie anime del partito e a quale soluzione si sia lavorato si era evinto dalle parole di Bonaccini: “Mi auguro che si trovi un’intesa – aveva detto il presidente dell’Emilia Romagna – perché ci mancherebbe solo che dessimo un ennesimo spettacolo di spaccatura o di divisione. Bisognerà tenere fede ai valori del manifesto con cui il Pd è nato e poi aprirci alla discussione congressuale che resterà il nostro punto di partenza”.
La proposta raggiunta col Lodo è un dispositivo che specifica alcuni concetti: che il Manifesto è la base politica della nascita del Nuovo Pd, che non abroga la Carta dei Valori elaborata al momento della fondazione del Pd, nel 2007, e che resta aperta la fase costituente, cioè quella di evoluzione del partito. In questo modo, si lascia al nuovo segretario e agli iscritti la possibilità di valutare se ci sia bisogno di ulteriori interventi. D’altronde, un po’ tutti i candidati sono d’accordo nel far proseguire la fase costituente anche dopo l’elezione del nuovo segretario con le primarie del 26 febbraio. Si tratta anche di un modo per spingere la reunion con gli ex. “Il manifesto rappresenta un passo in avanti oggettivo”, ha detto il coordinatore di Articolo Uno Arturo Scotto, che auspica il cambio del nome: “Abbiamo aderito alla proposta del sindaco di Bologna, Partito del lavoro, perché la radice è fondamentale. Lavoreremo perché questo accada nel percorso costituente che andrà avanti anche dopo il congresso”.
Anche Schlein aveva trovato interessante il suggerimento sul nome fatto dal primo cittadino di Bologna, Matteo Lepore. Della bozza del Manifesto, una delle parti più discussa è stata quella in cui si parla di “un nuovo modello si sviluppo” che “passa necessariamente dal riconoscimento di un ruolo strategico dell’intervento pubblico”. Fra i temi toccati, sempre con toni abbastanza generici, l’orizzonte di una Europa federale, il salario minimo, la condanna della guerra e dell’invasione della Russia in Ucraina, la valorizzazione del ruolo delle donne, la culturaantifascista come bussola, “i pieni diritti alle nuove italiane e ai nuovi italiani”.