Russi e ucraini hanno celebrato il Natale ortodosso nel pieno delle ostilità. La tregua unilaterale di 36 ore ordinata da Vladimir Putin è rimasta lettera morta per il secondo giorno consecutivo, perché su diversi fronti sono stati segnalati raid e combattimenti, di cui le parti si sono accusate a vicenda. A Kiev l’intelligence ritiene che il nemico voglia solo guadagnare tempo in vista di una nuova offensiva, tanto che il Cremlino sarebbe pronto a una nuova mobilitazione di 500mila coscritti. Come se non bastasse, si è già aperto un nuovo fronte: Volodymyr Zelensky ha tolto la cittadinanza a 13 sacerdoti per “propaganda filorussa”, scatenando la protesta di Mosca.
Sul fallimento dell’improbabile tregua di Natale le versioni delle due parti sono contrapposte. A metà giornata il ministero della difesa russo ha fatto sapere che il suo esercito ha continuato a rispettare il cessate il fuoco, ma dopo i numerosi “attacchi” ucraini su “insediamenti e postazioni” è stato costretto a reagire. Kiev invece ha denunciato decine di bombardamenti nemici su Kherson. E nel Donbass, sul fronte principale di Bakhmut, sono stati contati almeno due morti e tredici feriti tra i civili, mentre gli inviati sul campo hanno registrato fuoco di artiglieria da entrambi i lati. Anche se di minore intensità rispetto al solito. In questo clima cupo si sono svolte le celebrazioni del primo Natale ortodosso in tempo di guerra, sia a Mosca che a Kiev.
Putin ha assistito da solo alla messa di mezzanotte nella Cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino, rompendo la tradizione di partecipare alla liturgia in pubblico. Lo zar ha ringraziato la Chiesa russa e le sue organizzazioni per “sostegno ai soldati” al fronte. Mentre il patriarca Kirill ha rilanciato la tesi che russi e ucraini siano un “unico popolo” di una “grande nazione dal Mar Bianco al Mar Nero”. A Kiev centinaia di fedeli hanno partecipato ad una storica celebrazione nel Monastero delle Grotte, da poco passato alla Chiesa ucraina indipendente dopo essere stato sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca.
“E’ stato un anno di dolore, ma la superiorità del nemico in termini di armi e truppe non è stata decisiva”, ha sottolineato il metropolita Epifano, celebrando la “vittoria morale dell’Ucraina”. A scavare un solco ancora più profondo tra le due Chiese è stato poi il presidente Zelensky. Che ha sospeso la cittadinanza a tredici sacerdoti dopo il ritrovamento nelle loro abitazioni di passaporti russi, contanti e materiale propagandistico pro-Mosca. Un atto di “satanismo”, la rabbiosa reazione della portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova. Il leader ucraino dalla sua può contare sui nuovi aiuti militari in arrivo dai partner occidentali, come Stati Uniti, Germania e Francia. Che porteranno la “cooperazione di difesa a un nuovo livello di cui abbiamo davvero bisogno in questo momento”, ha sottolineato.
A Kiev, del resto, da tempo si paventa una nuova offensiva su larga scala da parte dei russi entro la primavera. Come ulteriore indizio, il numero due dell’intelligence militare Vadym Skibitsky ha fatto sapere che Putin è pronto a ordinare la mobilitazione di ben 500.000 coscritti, in aggiunta ai 300.000 richiamati a ottobre. L’annuncio potrebbe esserci il 15 gennaio, dopo la fine delle vacanze invernali. Per rendere operativo questo ingente dispiegamento di uomini serviranno circa due mesi. A quel punto, tutto dipenderà da quanto ben equipaggiate e addestrate saranno le truppe delle forze di invasione, ma anche da quante armi continuerà a ricevere l’Ucraina dai partner Nato, ha aggiunto Skibitsky. Scommettendo sul fatto che i prossimi “6-8 mesi” saranno decisivi. E “se la Russia perderà questa volta, Putin crollerà”.