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Economia

Ultimi ritocchi alla manovra, retromarcia sul Pos

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La norma sul Pos è bilico. Eliminare dalla manovra la soglia dei 60 euro, rendendo possibile pagare con il bancomat anche il caffè, oppure dimezzarla: è la doppia soluzione valutata dal governo alla luce dell’interlocuzione con Bruxelles. La prima è considerata la più probabile mentre gli ultimi ritocchi sono in fieri. E la possibile retromarcia potrebbe essere accompagnata (in legge di bilancio o più avanti) da una compensazione per gli esercenti, come ha confermato Giorgia Meloni. “Il Pos? E’ un obiettivo del Pnrr e quindi lo stiamo trattando con la Commissione Ue. Se non ci sono i margini ci inventeremo un altro modo per non fare pagare agli esercenti le commissioni bancarie sui piccoli pagamenti”, le parole della premier in mattinata, mentre al Mef si lavorava per trovare coperture e incastri su tutte le misure incluse negli emendamenti dell’esecutivo attesi in serata, da Opzione donna al Reddito di cittadinanza, passando per le pensioni minime e il cuneo fiscale, su cui è possibile un’allargamento della platea (redditi fino a 25mila euro) a cui sarà tagliato di tre punti, ma anche il congedo parentale di un mese per i papà.

L’incertezza sul Pos ha dato alle opposizioni la sponda per attaccare il governo in commissione Bilancio, dove si conta di completare l’esame tra lunedì e martedì in una seduta notturna, per andare (salvo diversa decisione della capigruppo domani) mercoledì in Aula, dove il voto di fiducia potrebbe arrivare fra giovedì e venerdì, all’antivigilia di Natale. Il Senato completerà l’approvazione prima di capodanno. I tempi sono stretti, e anche per questo le misure divisive sono accantonate. In tale logica, secondo fonti di maggioranza, si sta valutando con grande attenzione se inserire o meno in manovra della misura proposta nei giorni scorsi dal viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto (FI) per estinguere i reati formali (come l’omessa dichiarazione o la dichiarazione infedele) aderendo alla pace fiscale. A rendere il cammino meno rischioso aiuta qualche compromesso con l’opposizione, anche se la dialettica è comunque complessa. Pd, M5s, Terzo polo e Avs si sono irritati per le lungaggini del governo nella presentazione degli emendamenti e per la scelta del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di illustrarli in commissione ( solo nella tarda serata di domenica).

In compenso, hanno ottenuto una retromarcia dell’esecutivo (accusandolo di aver copiato le loro proposte), che ha ritirato i propri emendamenti sugli investimenti al Sud accogliendo quelli riformulati e sottoscritti dai relatori e tutti i gruppi parlamentari. In parallelo il Pd ha spinto su modifiche a Opzione donna che dovrebbero essere accolte, con l’eliminazione della variabile figli, la previsione della soglia anagrafica a 59 anni (e 35 di versamenti) e l’uscita a 58 per chi ha i requisiti dell’Ape sociale. In tema di pensioni, si va verso la conferma dell’aumento delle minime a 600 euro per gli over 75 (possibile l’introduzione del paletto dell’Isee), e fino all’ultimo si lavora per la piena indicizzazione delle pensioni da ceto medio fino a 5 volte il minimo, come chiesto dalla Cisl. Un incastro legato alla necessità di trovare coperture e, non a caso, da giorni si parla di un’ulteriore stretta al Reddito di cittadinanza, da 8 a 7 mensilità nel 2023.

Negli emendamenti è annunciata anche la proroga al 31 dicembre della Cilas per il superbonus (mentre per una soluzione allo sblocco dei crediti si lavora nel dl Aiuti quater e in altri provvedimenti). E Forza Italia conta anche su un ampliamento fino a 8mila euro delle decontribuzioni per le assunzioni di under 35. Intanto i primi emendamenti del governo hanno ridotto la platea dei produttori e venditori di energia a cui si applica la tassa sugli extraprofitti. Viene fatto slittare di due mesi lo stralcio delle cartelle fino a mille euro, in cui non rientrano più multe e tributi locali. Ci sono poi un sostegno agli enti locali strutturalmente in deficit, e l’Iva ridotta del 50% per chi acquista direttamente dal costruttore abitazioni in classe energetica A e B.

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Economia

Sì alle nozze Ita-Lufthansa, il Mef firma l’accordo

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L’ennesima giornata frenetica per definire gli ultimi dettagli. E poi l’accordo che sancisce il tanto sospirato ‘sì’ alle nozze tra Ita e Lufthansa. Dopo un weekend di trattative serrate, il Mef e il colosso dei cieli tedesco hanno siglato all’ultimo minuto utile l’intesa sul piano finale inviato poi a stretto giro a Bruxelles rispettando la scadenza fissata per le 23:59.

Dopo la lite esplosa all’inizio della settimana scorsa per la richiesta di Francoforte di uno sconto sul prezzo che aveva fatto infuriare il Tesoro – non intenzionato a cedere a “ricatti” e a “svendere” la newco – i tedeschi hanno rinunciato alla corsa al ribasso. “Le condizioni economiche previste” nel contratto dell’alleanza italo-tedesca siglato nel luglio 2023 “non hanno subito variazioni”, ha precisato il Mef in una nota diffondendo l’atteso annuncio. Adesso si aspetta “con fiducia” l’approvazione definitiva della Commissione europea per procedere al closing. Un giudizio finale positivo che l’antitrust europeo è pronto a emettere senza ulteriori colpi di scena.

L’ultimo round di negoziati è ruotato intorno alla seconda tranche dell’investimento complessivo da 829 milioni di euro che il colosso tedesco guidato dall’inflessibile ceo Carsten Spohr è chiamato a versare per assumere il controllo della compagnia tricolore sorta dalle ceneri di Alitalia. Il Mef e Lufthansa nelle ultime ore hanno cercato di ripristinare la fiducia persa nei giorni scorsi: incassato il secco no italiano alla richiesta di uno sconto, i tedeschi hanno invertito la rotta per salvare un accordo strategico.

Dapprima, riducendo le sue pretese sul prezzo e chiedendo, secondo fonti qualificate, un ribasso di meno di dieci milioni. E poi, stando alle ultime indicazioni trapelate, rinunciando a dilazionare l’acquisto del 49% di Ita (la seconda rata dell’investimento) come ipotizzato in questi giorni e alla clausola di aggiustamento del prezzo. A ricucire lo strappo è stata la squadra del direttore generale del Dipartimento dell’Economia al ministero e capo delle partecipate, Marcello Sala. Poco dopo le 23 il plico degli impegni (i cosiddetti remedies) per la tutela dell’equilibrio dei cieli è arrivato sul tavolo dell’antitrust Ue.

Tra i documenti sono presenti come preannunciato anche i contratti firmati dai vettori rivali per garantire la concorrenza nei segmenti di mercato ritenuti critici. L’identikit delle concorrenti corrisponde ai nomi di easyJet per l’hub di Milano-Linate e le dieci rotte di corto raggio tra l’Italia e l’Europa centrale (con destinazione Germania, Belgio, Svizzera e Austria) e Air France e Iag (casa madre di British Airways e Iberia) per i lunghi collegamenti transoceanici tra Fiumicino e Washington, San Francisco e Toronto. Tutte soluzioni viste di buon occhio dall’Ue che, con tutta probabilità, darà il suo via libera finale entro la fine del mese.

Anche in questi giorni turbolenti a Bruxelles si è sempre continuato a predicare fiducia: il prezzo di cessione della newco non aveva infatti alcuna rilevanza agli occhi dei tecnici dell’antitrust, concentrati soltanto sul rispetto degli impegni messi a punto nell’assai ardua intesa politica raggiunta con Roma e Francoforte il 3 luglio. Ora i tecnici della squadra antitrust di Margrethe Vestager si prenderanno qualche giorno per valutare il pacchetto e concedere, entro la fine di novembre, un via libera finale destinato a rappresentare uno degli ultimi atti dell’era Vestager. Subito dopo, sarà il tempo del closing con l’ingresso di Lufthansa nel board di Ita: tutto, aveva già preannunciato nelle settimane scorse Spohr, lascia presagire che l’alleanza spiccherà il volo “all’inizio del 2025”.

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Missione per salvare la metro C, c’è impegno bipartisan

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La missione per salvare la metro C (foto Imagoeconomica in evidenza) è quasi compiuta. Dopo il rischio di un aumento di tempi e costi per il tagli ai finanziamenti il sindaco Gualtieri oggi si dice fiducioso: “vedo le condizioni per salvare l’opera”, sottolinea dopo avere avuto contatti col governo.

“Penso di avere una nota di ottimismo – ha aggiunto – ho interloquito col governo, con le forze di opposizione e di maggioranza, ho visto che ci sono emendamenti bipartisan per recuperare risorse per la metro C, emendamenti del Pd, di FdI e FI, e ringrazio i parlamentari e la presidente del Consiglio”, dice il sindaco di Roma pur ammettendo la cautela del caso: “sono ottimista, ma prudente finché non vedo la Gazzetta Ufficiale”. Gualtieri ha ribadito quali conseguenze avrebbe il taglio dei fondi, ovvero un interruzione del progetto, un aumento conseguente dei costi e anche un accavallamento dei cantieri che paralizzerebbe un settore della città.

“Sarebbe inattuabile – aveva detto Gualtieri- perché non solo costringerebbe a fare una nuova gara per la T1 aumentando i tempi, ma determinerebbe anche l’aumento di 50 milioni dei costi della tratta T2” con le previste stazioni di Chiesa Nuova, San Pietro, Ottaviano e infine piazzale Clodio. “Ci si fermerebbe a piazzale Clodio e sarebbe dannosissimo – spiega Gualtieri – quando invece si deve arrivare all’Auditorium e alla Farnesina”, ovvero la tratta T1 che rischia di saltare col definanziamento di 425 milioni.

“Paradossalmente finendo a Clodio costerebbe di più. Poi noi vogliamo partire con due talpe, una da Venezia e una da Farnesina, dove c’è un terreno Ama che non da fastidio a nessuno. Fare tutto questo a piazza Mazzini, a Prati, avrebbe terremotato un quartiere e sarebbe stata una assurdità”, conclude il sindaco. Gualtieri ha sottolineato il lavoro portato avanti dall’opposizione parlamentare per salvare la Metro C, con “gli emendamenti del Pd”, e ha ricordato quelli di Fdi e di Fi ma non quelli della Lega rivendicati dalla deputata Simonetta Matone.

“Omette di dare il giusto riconoscimento al ministro delle Infrastrutture Salvini, si vanta di avere una interlocuzione diretta con il presidente del Consiglio e ringrazia per gli emendamenti FdI e FI -dice Matone- Peccato che ometta di ricordare che l’ emendamento per il rifinanziamento della metro C sia a prima firma della sottoscritta, fino a prova contraria deputato della Lega”.

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Economia

Blitz per Commissione sul Ponte, quasi tutti di Fdi

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Sulla Commissione per la Valutazione d’impatto ambientale che dovrà dare il parere sul progetto per il Ponte dello Stretto di Messina “c’è stato un vergognoso blitz da parte del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin”. A denunciarlo è il leader di Avs Angelo Bonelli che contesta all’ esponente del Governo di aver nominato 12 nuovi componenti della Commissione “che sono quasi tutti politici” e “quasi tutti in quota FdI”.

Tra loro, spiega Bonelli, ci sono “l’ex candidata sindaca di Perugia, Margherita Scoccia, il vicesindaco di Pisa, Raffaele Latrofa, il consigliere comunale di Albano, Roberto Cuccioletta, ed Elena Lovati, ‘già capo segreteria di Garavaglia e dell’assessore della Lega Caparini”.

Ma nel decreto di nomina, firmato dal ministro il 19 settembre e pubblicato ora ufficialmente sul sito del ministero, compare anche il nome di “Luisiana Malfatti, avvocato e consigliere comunale a Grantorto, nel Padovano, relatrice nel Convegno: ‘Separazione e divorzio: aspetti civilistici, penalistici e ricadute psicologiche sui figli'”.

“La Commissione VIA – osserva Bonelli – ha un ruolo importante per la valutazione di opere strategiche e infrastrutture ad alto impatto ambientale come il Ponte sullo Stretto di Messina. Perché mettere esponenti di partito?”. Il governo “non è nuovo a blitz del genere. Nella Commissione che dovrebbe riformare il Codice per l’ambiente sono stati inseriti ex candidati di destra non eletti”, dice il leader Verde che, dopo aver annunciato un’interrogazione parlamentare sul ‘blitz’, chiede, tra l’altro, come “faranno questi 12 a pronunciarsi su un progetto di migliaia di pagine entro 24 ore”.

“Questo non è amichettismo – incalzano in una nota congiunta i parlamentari M5S delle Commissioni Ambiente e Lavori Pubblici di Camera e Senato – ma tragico cabaret”. Il Ponte sullo Stretto, aggiungono, è un’opera che “si mangia 15 miliardi” e “non è accettabile” che “la Commissione che dovrà giudicare gli aggiornamenti di una documentazione tanto fallace sia composta da un’accolita di ex sindaci o consiglieri comunali vicini a Giorgia Meloni”. Ed è proprio a lei che il M5S chiede di “metterci la faccia” venendo a rispondere “in Parlamento su “questo blitz”.

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