Sforbiciata in arrivo per gli stipendi dei manager di enti pubblici e privati che ricevono contributi dallo Stato. La manovra introduce un tetto che fissa l’asticella dei compensi al livello dell’indennità del presidente del consiglio e dei ministri, che ammonta a circa 160mila euro (80mila netti). Una norma “di buonsenso”, dice la premier Giorgia Meloni. Che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti colloca tra le misure di “buon uso del denaro pubblico” della legge di bilancio. La novità, trapelata già ieri sera dopo il consiglio dei ministri, viene confermata dal ministro in conferenza stampa. “Anche tutto l’universo di quelli che sono enti, soggetti, fondazioni che non sono esattamente figlie dei ministeri ma ricevono contributi a carico dello Stato saranno chiamate a rispettare alcune regole elementari di buona finanza”, spiega Giorgetti. La premier cita anche gli “enti privati che prendono contributi pubblici”.
La stretta si tradurrà in un abbassamento del tetto per i compensi degli organi di vertice dagli attuali 240 mila euro previsto per i manager pubblici al livello “ragionevole ed equo” dell’indennità percepita dalla presidente del consiglio e dei ministri. Gli stipendi da considerare, precisa il ministro, saranno “omnicomprensivi”, inclusi quindi anche tutti i vari compensi che si possono percepire all’interno dell’ente a vario titolo, come gettoni o diarie. Il perimetro dell’intervento sarebbe ancora in via di definizione ed è probabile che vengano posti alcuni paletti, vista la mole di soggetti che rischiano di essere coinvolti. L’elenco degli enti che rientrano nel perimetro Istat delle pubbliche amministrazioni è lunghissimo. Secondo alcuni tecnici, la norma riguarderebbe in prima battuta tutte le entità partecipate che oggi anche in parte minoritaria si sentono escluse dai vincoli applicati a tutta la Pa.
Si fanno esempi come Aci, Camere di commercio, Cri, fondazioni e associazioni private che ricevono finanziamenti pubblici. Per chi non si adegua si prospetta la perdita dei contributi pubblici. “Può darsi che qualcuno possa rinunciare anche al contributo pubblico e decidere autonomamente cosa fare, qualcun altro altro continuerà a richiederlo ma si dovrà adeguare”, osserva Giorgetti. Che richiama anche gli organi di controllo a vigilare: “collegi dei revisori dei conti e gli ispettori della Ragioneria sono chiamati a far rispettare questa norma”. Quello del tetto agli stipendi dei manager pubblici è da sempre un tema che scalda gli animi della politica.
Il ministro della Pa Paolo Zangrillo chiede da tempo di aprire un ragionamento sulla possibile eliminazione del tetto, in modo da permettere anche alla Pa, come già avviene nel pubblico, di reclutare “i migliori” e diventare così più competitiva. La norma che ha introdotto il tetto risale al 2011, al ‘Salva-Italia’ del governo Monti allora alle prese con i conti pubblici da rimettere in sesto. Il governo Renzi ne ampliò la portata nel 2014, estendendone la platea. Nel settembre 2022, il Parlamento tentò un blitz tentando di escludere dai limiti alcune figure, dai capi di stato maggiore al segretario generale della presidenza del Consiglio: ma l’ira dell’esecutivo Draghi ristabilì rapidamente lo status quo.