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Le truppe ucraine verso la Russia: siamo al confine

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Nel mirino ora c’e’ il confine russo. In due settimane, la controffensiva ucraina che ha sbaragliato le difese di Mosca nella regione orientale di Kharkiv ha ripreso tremila chilometri quadrati di territorio, una quarantina di insediamenti e viaggia ora spedita verso la frontiera nemica. Secondo il comandante dell’esercito Valery Zaluzhny, solo una cinquantina di km separano le sue truppe dalla Russia. L’avanguardia del 130/mo battaglione si e’ spinta oltre, rivendicando di essere arrivata al valico di Hoptivka. Dopo 200 giorni di guerra, nell’oblast gli invasori sono in rotta. Ammessa la ritirata, definita una “riorganizzazione” strategica per concentrare le forze sul Donbass, la stessa Difesa di Mosca ha mostrato con una mappa di cosa resta nelle sue mani: solo una piccola porzione di territorio a est del fiume Oskil, dopo aver perso molti dei centri principali, da Kupiansk a Izyum, su cui continuano comunque a piovere bombe. La reazione russa si e’ scatenata poi in serata con un pioggia di raid sulle regioni orientali e di missili Kalibr dal Mar Nero, che hanno causato danni alle infrastrutture e massicci blackout. L’entusiasmo a Kiev pero’ resta palpabile. Nei media, nelle dichiarazioni politiche, sui social. Ma il presidente Volodymyr Zelensky resta cauto. “Mosca – ha avvertito – spera di spezzare la resistenza ucraina in inverno, contando sui problemi di riscaldamento in Ucraina e su un possibile indebolimento del sostegno occidentale a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia in Europa”. L’esercito cavalca l’onda, spinto dalle immagini del caotico ritiro del nemico. Il sindaco filorusso di Izyum sarebbe scappato gia’ prima dell’assalto, e nella fuga le truppe “hanno lasciato un’enorme quantita’ di equipaggiamento e munizioni”. Anche nel Lugansk Mosca appare in difficolta’. Secondo il governatore Serhiy Gaidai ha gia’ perso Kreminna, presa ad aprile, mentre file di veicoli verso il confine si estendono per chilometri, anche da citta’ catturate nel 2014. Un esodo confermato dai russi. “Nelle ultime 24 ore, migliaia di persone hanno attraversato la frontiera”, ha detto il governatore di Belgorod, Viaceslav Gladkov. Disfatta o ritiro calcolato che sia, tra le file di Mosca gli strascichi non mancano. Protagonista e’ ancora il leader ceceno Ramzan Kadyrov che, dopo aver promesso 1.300 rinforzi sul fronte meridionale di Kherson, parla ora di “altri 10.000 combattenti pronti a partire” per la riscossa, senza pero’ risparmiare dure critiche agli alti comandi militari.

“Io, Ramzan Kadyrov, dichiaro ufficialmente che tutte queste citta’ (Izyum, Kupiansk e Balakliya) saranno riconquistate” e “raggiungeremo Odessa nel prossimo futuro”, ha minacciato. “Sono stati commessi degli errori. E penso che se ne trarranno delle conclusioni. E se oggi o domani non ci saranno cambiamenti nella strategia nel condurre l’operazione militare speciale – ha poi avvertito -, dovro’ andare al ministero della Difesa e alla dirigenza del Paese per spiegare loro la situazione. E’ una situazione infernale”. Nel frattempo le parti sono tornate a evocare le trattative, da cui pero’ si dicono lontane. La Russia, ha spiegato il suo ministro degli Esteri Serghei Lavrov, “non rifiuta” i negoziati, ma ci sono “ritardi che complicano il processo”. Il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak ha pero’ ribadito che il suo governo non fara’ passi indietro sulle richieste, a partire dalla “liberazione di tutti i territori”. L’allarme intanto resta alto a Zaporizhizhia. L’agenzia nucleare di Kiev, Energoatom, ha annunciato che il sesto e ultimo reattore funzionante della centrale piu’ grande d’Europa e’ stato nuovamente scollegato dalla rete. L’Aiea, che nell’impianto mantiene due ispettori, ha poi riferito che “e’ stata ripristinata la linea elettrica di riserva, che fornisce all’impianto l’elettricita’ esterna necessaria per il raffreddamento del reattore e altre funzioni di sicurezza”. La situazione continua a suscitare allarme, con l’agenzia Onu che ha avviato le consultazioni per la creazione di una safe zone. In una telefonata con Vladimir Putin, intanto, Emmanuel Macron gli ha chiesto di far ritirare “le armi pesanti e leggere”, mentre il leader del Cremlino e’ tornato ad accusare Kiev dei raid, avvertendo del rischio di “conseguenze catastrofiche” anche per “gli stoccaggi di scorie radioattive”.

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Medjugorje, il Vaticano oggi fornirà una valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria

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Il Vaticano sta per fornire la sua attesa valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria nel villaggio di Medjugorje, situato nel sud della Bosnia. Dopo quasi 15 anni di studi, giovedì il cardinale Víctor Manuel Fernández, a capo dell’ufficio dottrinale del Vaticano, terrà una conferenza stampa sull’argomento, che il Vaticano ha definito “l’esperienza spirituale di Medjugorje”.

Dal 1981, sei bambini e adolescenti affermano di aver avuto visioni della Madonna, visioni che, secondo alcuni di loro, continuano regolarmente. Questo ha reso Medjugorje una meta di pellegrinaggio per milioni di credenti cristiani. Tuttavia, le apparizioni non sono mai state riconosciute ufficialmente dal Vaticano, che ha più volte espresso dubbi sulla loro autenticità.

Papa Francesco ha dichiarato che, pur avendo dubbi sulle visioni attuali, non si può negare l’impatto spirituale di Medjugorje sui pellegrini. Nonostante ciò, il Vaticano ha chiarito che non dichiarerà l’autenticità delle visioni, ma fornirà un orientamento dottrinale che permetta ai fedeli di esprimere la loro devozione senza contraddire la fede.

L’annuncio del Vaticano avrà un impatto significativo su Medjugorje, un luogo che dipende fortemente dal turismo religioso, con il 2024 previsto come un anno record di visite.

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Hezbollah sotto attacco, un colpo strategico senza precedenti del Mossad e delle Israel Defense Forces

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Le esplosioni che hanno recentemente colpito Hezbollah tra Libano e Siria hanno inflitto un durissimo colpo al “Partito di Dio”. Migliaia di feriti, una milizia disorientata e la catena di comando vulnerabile: questo è il quadro che emerge dalle operazioni orchestrate dall’intelligence israeliana, che ha ottenuto un risultato devastante senza ricorrere a un singolo attacco convenzionale. In pochi minuti, il Mossad e i servizi delle Israel Defense Forces (IDF) hanno messo in ginocchio la milizia guidata da Hassan Nasrallah, un risultato che in una guerra tradizionale sarebbe stato possibile solo dopo una lunga e costosa serie di attacchi.

Gli esperti sottolineano come questo attacco abbia reso temporaneamente inabili al combattimento migliaia di miliziani di Hezbollah, con ospedali e basi libanesi sovraffollati di feriti. Le esplosioni non hanno causato un elevato numero di morti, ma i danni fisici riportati dai membri della milizia sono stati gravi: ferite profonde, amputazioni, perdita della vista e dell’udito. Molti di questi combattenti non torneranno operativi prima di alcune settimane o mesi, mentre altri non saranno più in grado di combattere.

Un attacco non letale ma devastante

Le esplosioni, pur non essendo mortali, hanno causato danni significativi alle capacità operative di Hezbollah. Le testimonianze riportano ferite devastanti: mani esplose dopo aver afferrato i cercapersone, mutilazioni, e gravi traumi fisici che segneranno questi miliziani per tutta la vita. Questo non solo riduce il numero di combattenti pronti all’azione, ma li rende facilmente identificabili per le forze di intelligence israeliane, aumentando il rischio per Hezbollah.

La crisi della leadership e l’incubo logistico

Per Nasrallah, questo attacco rappresenta un vero incubo. La difficoltà nel rimpiazzare rapidamente i feriti, mantenendo un livello operativo efficiente, è una delle principali preoccupazioni. A differenza di altre organizzazioni, Hezbollah non può semplicemente reclutare chiunque: ha bisogno di combattenti addestrati, molti dei quali hanno già partecipato alle operazioni in Siria o hanno lanciato missili contro Israele. Inoltre, la base di reclutamento è limitata alla comunità sciita, in particolare ai fedeli di Nasrallah, escludendo il movimento Amal, complicando ulteriormente il processo di rimpiazzo.

Un colpo alla comunicazione: l’offensiva digitale

Uno degli effetti più gravi di questo attacco è la paralisi delle comunicazioni all’interno del movimento. Hezbollah, nel tentativo di evitare cyberattacchi, aveva recentemente abbandonato l’uso dei cellulari in favore dei cercapersone (pager), considerati più sicuri. Tuttavia, questo sistema si è rivelato vulnerabile, e ora l’organizzazione si trova in difficoltà. Senza cercapersone, dovrà tornare a utilizzare vecchi sistemi di comunicazione, come linee telefoniche obsolete, che sono facilmente intercettabili da Israele e da altri avversari.

La sfida per Hezbollah è dunque doppia: da un lato, gestire una crisi umanitaria e militare senza precedenti; dall’altro, trovare nuovi metodi di comunicazione sicuri e immediati. Questo scenario di paralisi inquieta i vertici del movimento, soprattutto in vista di un possibile attacco terrestre da parte di Israele.

Questo attacco non convenzionale ha dimostrato la potenza strategica dell’intelligence israeliana, capace di infliggere un duro colpo a Hezbollah senza entrare direttamente in conflitto armato. Il “Partito di Dio” si trova ora in una posizione estremamente vulnerabile, e la capacità di reagire sarà cruciale per il suo futuro.

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Venezuela, El Pais: saccheggiati 4 miliardi di petrolio

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La compagnia pubblica Petroleos del Venezuela S.A. (PDVSA) sarebbe al centro di uno dei maggiori scandali di corruzione nel Paese. Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano spagnolo El País, un gruppo di ex gerarchi chavisti e imprenditori ha saccheggiato circa 4,2 miliardi di dollari (oltre 3,7 miliardi di euro) alla compagnia. Questo colossale furto non ha solo colpito le finanze dell’azienda, ma ha anche avuto un impatto devastante sull’economia venezuelana, sostiene il quotidiano.

Lo schema di corruzione è stato operativo tra il 2007 e il 2012, durante i governi dell’ex presidente Hugo Chávez. I coinvolti, tra cui alti funzionari di PDVSA e imprenditori legati al regime, hanno utilizzato una complessa rete di tangenti e commissioni illegali per dirottare fondi. Aziende, principalmente cinesi, pagavano commissioni fino a un 10% per aggiudicarsi contratti milionari con la compagnia statale Uno dei personaggi chiave in questo intrigo è Diego Salazar, cugino dell’ex ministro di Energia ed ex presidente di PVDSA, Rafael Ramírez. La rete di corruzione non includeva solo funzionari e impresari: tra di loro c’erano regine di bellezza, ambasciatori, attrici e avvocati.

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