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Il giallo del testamento, Harry escluso dall’eredità di 447 milioni di dollari della Regina?

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harry e meghan

Giorgio VI coniò per la monarchia il termine ‘firm’, ‘la ditta’. La figlia Elisabetta II nei suoi 70 anni di regno ha usato un fiuto da abile amministratrice per gestire l’istituzione reale, navigando tra decisioni ponderate e pubbliche relazioni. Oggi, secondo le stime di Forbes, la monarchia britannica nel suo insieme vale 88 miliardi di dollari. La regina ne possedeva personalmente una piccola frazione: 447 milioni di dollari, che dovrebbero andare alla sua famiglia. Da settimane tuttavia i tabloid inglesi si sono scatenati intorno all’eredita’, dando per certo che da quell’immenso valore chi non vedra’ neppure un penny sara’ il ribelle Harry, arrivato per ultimo ieri sera a Balmoral, quando Buckingham Palace aveva diffuso la notizia della morte delle regina gia’ da un’ora e mezza. E partito per primo questa mattina, poco dopo le 8: le foto lo mostrano scuro in volto, senza nessun familiare vicino, chiuso nel suo lutto in perfetta solitudine. Secondo lo Star e l’International Business Time, che hanno lanciato la notizia del giallo del testamento di Elisabetta, lo scorso agosto la sovrana avrebbe modificato le sue ultime volonta’ depennando il secondogenito di Carlo e Lady Diana da qualsiasi beneficio. Un’indiscrezione non confermata ufficialmente secondo cui fuori dal testamento sarebbero rimasti anche i due pronipoti: Lilibeth Diana, nata nel 2021 e chiamata cosi’ proprio in onore della regina, e il primogenito Archie, che ha tre anni. A pesare sarebbe stata non solo la scelta di due anni fa dei duchi di Sussex di dimettersi da ‘membri senior’ della famiglia reale. Ma anche altri comportamenti ritenuti ostili dalla Royal Family, a cominciare dalla clamorosa intervista che Harry e Meghan rilasciarono in esclusiva a Oprah Winfrey per una sorta di vendetta – si disse – contro i suoi familiari. Ora, se anche Harry venisse messo fuori dal testamento di Elisabetta II, certamente non puo’ essere considerato al verde: quando la principessa Diana mori’ nel 1997, il suo denaro venne diviso equamente tra i due figli. Cinque anni dopo, quando dopo si spense la Regina Madre, il principe eredito’ una parte molto piu’ grande della fortuna di 14 milioni di sterline (27 milioni di dollari) rispetto al fratello maggiore William, come spiegarono i periodici popolari: “Il motivo era dolcissimo, poiche’ William e’ il secondo in linea di successione al trono, la madre della regina Elisabetta voleva proteggere il futuro finanziario di Harry”. Tuttavia, se davvero la regina avesse escluso Harry dall’eredita’, oltre al dolore per una scelta cosi’ forte, il nipote resterebbe tagliato fuori da beni di notevole importanza. Secondo Forbes, il patrimonio personale di Elisabetta conta 85 milioni di dollari ricevuti dalla Regina Madre e 12 milioni dal consorte principe Filippo alla sua morte. Poi, gran parte del reddito che proveniva dalla Crown Estate. In ballo ci sono anche i famosi 300 gioielli di proprieta’ personale della regina. Preziosi che le indiscrezioni di stampa dicono andranno solo alla moglie del principe William, Kate Middleton, e all’adorata pronipotina Charlotte. Di tutti quei rubini, diamanti, perle e ori da fiaba Lilibeth e Meghan non dovrebbero avere nulla. Ma chissa’. Il portavoce non ufficiale dei Sussex Omid Scobie oggi ha confermato che Harry “rimarra’, ovviamente, nel Regno Unito durante questo periodo di lutto”. Ma non si sa se Meghan restera’ accanto al marito, e neppure se prendera’ parte ai funerali.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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