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Salute

Vaiolo scimmie: Oms, -21% nuovi casi nell’ultima settimana

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Il numero di nuovi casi di vaiolo delle scimmie nel mondo e’ diminuito del 21% nella settimana compresa tra il 15 agosto e il 21 agosto rispetto alla settimana precedente, passando da 7.477 a 5.907 casi settimanali. E’ il dato che emerge dall’analisi dei trend dell’epidemia di vaiolo delle scimmie realizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanita’. I 10 Paesi piu’ colpiti sono Stati Uniti (14.049 casi), Spagna (6.119), Brasile (3.450), Germania (3.295), Regno Unito (3.225), Francia (2.889), Canada (1.168), Paesi Bassi (1.090), Peru’ (937) e Portogallo (810). Complessivamente, in questi Paesi si e’ verificato l’88,9% dei casi mondiali. Secondo il rapporto il numero di casi confermati in laboratorio a livello globale e’ giunto a 41.664. A questi si aggiungono 192 casi ‘probabili’. Sono 12, invece, i decessi. Il report conferma che nella gran parte dei casi l’infezione si e’ presentata con sintomi lievi, anche se, precisa, “il virus del vaiolo delle scimmie puo’ causare malattie gravi in alcuni gruppi di popolazione come bambini piccoli, donne in gravidanza, persone immunosoppresse”. Il sintomo piu’ comune e’ stato la febbre presente nel 75,4% dei pazienti; seguono le lesioni che, nel 24% dei casi, sono localizzate nell’area genitale; il 18% dei pazienti ha ingrossamento dei linfonodi, il 13% fatigue e una percentuale analoga mal di testa. Presenti, ma con minore frequenza i casi di dolori muscolari, mal di gola o alla bocca, brividi, tosse. Confermato anche il profilo delle persone a maggior rischio per l’infezione: “l’epidemia in corso si sta sviluppando in gran parte in reti di uomini che hanno rapporti sessuali con uomini”, si legge nel rapporto. In particolare, il 98,2% dei casi sono maschi con un’eta’ mediana di 36 anni. Sono pero’ riportati anche 140 casi tra 0 e 17 anni, di cui 35 di eta’ compresa tra 0 e 4 anni.

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Sciopero medici e infermieri: ora dimissioni di massa

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Chiedono “rispetto” e urlano “vergogna” al governo, che ha messo in campo una manovra “senza risorse sufficienti per salvare il Servizio sanitario nazionale ed i suoi professionisti”. Medici ed infermieri oggi sono scesi in piazza per lo sciopero nazionale di 24 ore indetto da Anaao Assomed (medici ospedalieri), Cimo Fesmed e Nursing up: se non basterà, è il messaggio dei sindacati dal palco della manifestazione a Piazza Santi Apostoli a Roma, “andremo avanti, fino alle dimissioni di massa”. La protesta ha toccato un’adesione dell’85% secondo i sindacati, ma il ministro della Salute Orazio Schillaci, al Tg1, sottolinea: “Verificheremo domani quelli che saranno i dati ufficiali sull’adesione allo sciopero, credo inferiori a questi numeri”.

E’ stata comunque bassa l’adesione media in Veneto (sotto il 5%) ed in Umbria è stata invece alta “l’adesione morale”: molti medici sono andati al lavoro per garantire lo smaltimento delle liste d’attesa rinunciando al pagamento della giornata. Da parte sua, Schillaci ha sottolineato che “questo è il governo che ha messo più soldi sulla sanità pubblica: sono stati stanziati oltre 35 miliardi nei prossimi 5 anni. Abbiamo aumentato le indennità di specificità dei medici e l’abbiamo introdotta anche per gli infermieri, e spero che nella manovra si possa aggiungere qualcosa su questo capitolo”. Quanto alle affermazioni della leader del Pd Elly Schlein secondo cui il governo “sta smantellando la sanità pubblica”, Schillaci commenta: “Credo che questa sia solo propaganda”.

Negli ospedali non sono comunque mancati i disagi, anche se la Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) ha precisato che lo sciopero di medici, dirigenti sanitari, infermieri e altre professioni sanitarie ha fatto registrare limitate criticità nell’erogazione dei servizi ai cittadini, con “minimi disagi rilevati a macchia di leopardo nel territorio nazionale”. Secondo i sindacati, però, a saltare sono stati 1,2 milioni di prestazioni: i servizi di assistenza, esami radiografici (50mila), 15mila interventi chirurgici programmati e 100mila visite specialistiche. Garantite, invece, le prestazioni d’urgenza. La protesta, precisano le organizzazioni – che parlano anche di un eccesso di precettazioni da parte delle Asl – non è ovviamente ‘contro’ i cittadini: “Se siamo qui in piazza – afferma il segretario Anaao, Pierino Di Silverio, dal palco – è proprio per i pazienti.

Negli ospedali le condizioni sono ormai inaccettabili”. Sfidando la pioggia ed il cielo grigio, circa 1000 tra medici e infermieri affollano muniti di bandiere la piazza romana. Le parole più urlate sono ‘Rispetto’ e ‘Vergogna’. Di Silverio, con i presidenti di Cimo Guido Quici e di Nursing up Antonio De Palma, espone le ragioni della protesta: “Viviamo in una condizione che definire drammatica è poco: stipendi bassi, strutture fatiscenti, violenza, assenza di medicina sul territorio. E dopo 15 anni di costanti disinvestimenti nella Sanità pubblica, il governo non si vergogna con questa manovra di elargire 14 euro in più al mese ai medici e 7 agli infermieri, a fronte di zero assunzioni e di una legge di Bilancio 2025 che conferma la riduzione del finanziamento per la sanità”.

E la protesta non finisce con lo sciopero di oggi: “Arriveremo ad azioni estreme e alle dimissioni di massa”. Medici e infermieri si sono rivolti anche alla premier Giorgia Meloni, con una lettera in cui denunciano investimenti insufficienti e chiedono un rilancio vero del Ssn ed un incontro urgente. Solidarietà arriva dai medici di famiglia della Fimmg: “Se necessario, anche la Medicina Generale è pronta ad azioni di protesta”. Vicinanza è espressa da esponenti del Pd, mentre Angelo Bonelli (Avs) ricorda che 4,5 milioni di italiani rinunciano alle cure a causa delle lunghe liste d’attesa e 2,5 milioni non possono permettersele per ragioni economiche. Netta, invece, la posizione di FdI: “Rispetto lo sciopero, ma stiamo facendo il possibile per migliorare la situazione”, afferma il vicecapogruppo alla Camera, Alfredo Antoniozzi.

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Tumori, in Italia 2 milioni di giovani non protetti da virus hpv

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In Italia oltre 2,2 milioni di giovani non sono protetti contro il papillomavirus Hpv e corrono il rischio di contrarre il virus e di diffonderlo. L’11% delle donne, d’età compresa fra i 25 e i 64 anni di età, non ha mai fatto l’Hpv o il Pap test per lo screening del tumore alla cervice uterina. Il 13% di loro invece non lo ha svolto negli ultimi 3 anni.

Dati non confortanti e che allontanano il raggiungimento dell’obiettivo di Sanità pubblica proposto dall’Oms di eliminare il carcinoma cervicale nei prossimi anni. Perciò la Fondazione Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica), con il supporto di Siti (Società italiana di igiene medicina preventiva e sanità pubblica) rivolge un appello alle Istituzioni affinché si metta in campo un piano di recupero per la prevenzione.

“Chiediamo al Governo l’impegno per l’approvazione di un Piano straordinario per l’eliminazione dei tumori Hpv correlati attraverso il recupero delle vaccinazioni anti-Hpv e dello screening cervicale. Bisogna abbassare il tasso di incidenza di questa neoplasia a meno di 4 casi su 100mila”, è la richiesta degli oncologi in occasione del convegno ‘Le azioni per un’Italia Hpv-free entro il 2030’ che si è tenuto alla Camera nella Giornata mondiale contro il tumore della cervice uterina, per iniziativa di Annamaria Patriarca (membro Commissione Affari Sociali di Montecitorio).

“In totale ammontano a oltre 7.500 le neoplasie che ogni anno vengono provocate dal pericoloso virus – sostiene Alessandra Fabi, membro del Direttivo nazionale Aiom -. Non vi è solo il carcinoma della cervice uterina ma anche quote rilevanti di quello all’ano, vulva, vagina, pene, orofaringe, cavo orale e laringe. Bisogna poi aggiungere altri casi di malattie come le displasie cervicali. Ridurre l’incidenza di tutte queste patologie è possibile fino ad eradicarle completamente. Vi sono già esempi virtuosi di alcuni Paesi, tra cui l’Australia, che stanno raggiungendo un obiettivo importante e soprattutto non impossibile. Vanno però presi subito alcuni provvedimenti per incentivare e potenziare la prevenzione oncologica primaria e secondaria”. A Montecitorio è stato presentato un documento di Fondazione Aiom e Siti con alcune proposte concrete da attuare a livello nazionale e regionale.

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Antibioticoresistenza, attese 10 milioni vittime entro il 2050

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Si stima che entro il 2050, le infezioni causate da batteri resistenti potrebbero provocare fino a 10 milioni di morti l’anno a livello globale, con costi economici che supererebbero i 100 trilioni di dollari. In Europa, l’Antimicrobicoresistenza (Amr) è responsabile ogni anno di quasi 700 mila infezioni e oltre 30 mila decessi, con un impatto economico stimato intorno a 1,5 miliardi di euro. Lo ricordano gli esperti dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (Amcli) in occasione della Giornata europea per l’uso consapevole degli antibiotici, nell’ambito della più ampia settimana mondiale della consapevolezza antimicrobica.

“Il problema è urgente e globale: gli antibiotici sono essenziali per la medicina moderna, permettendo di trattare infezioni potenzialmente mortali e di eseguire interventi complessi in sicurezza – afferma il Segretario del Comitato di Studio per gli Antimicrobici (Cosa) Tommaso Giani dell’Università degli Studi di Firenze -. Una perdita di efficacia di questi farmaci comporta un grave impatto sulle capacità della medicina contemporanea, con conseguenze su interventi chirurgici, trapianti e trattamenti per pazienti oncologici e immunocompromessi”.

In Italia, i dati mostrano una delle più alte incidenze di resistenza antibiotica rispetto agli altri Paesi europei. All’interno delle strutture sanitarie italiane si registrano numerosi casi di batteri multiresistenti, capaci di resistere a più classi di antibiotici e, in alcuni casi, a tutti i trattamenti disponibili. “L’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (Amcli) è da sempre in prima linea per contrastare il problema dell’Amr con molteplici iniziative di formazione, ma soprattutto con il lavoro quotidiano del Microbiologo clinico, grazie anche a tecnologie innovative che permettono sia di accorciare i tempi della diagnostica delle infezioni gravi sia di identificare più precocemente eventuali patogeni multiresistenti, con un importante impatto sull’ottimizzazione della terapia antibiotica e sull’implementazione delle opportune misure di infection control per limitare la diffusione dei batteri multiresistenti”, spiega Pierangelo Clerici, presidente Amcli.

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