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Esteri

Ue al lavoro per sganciare il prezzo dell’elettricità dal gas

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Una proposta per controbilanciare il taglio ai flussi da parte della Russia e un’altra per calmierare finalmente i prezzi. L’Ue si appresta ad entrare nel vivo della sua controffensiva energetica e, soprattutto, a studiare quella riforma del mercato chiesta da molti Paesi membri, Italia inclusa. Allo studio c’e’ il cosiddetto decoupling, ovvero il disaccoppiamento del prezzo dell’elettricita’ da quello del gas che vige ormai da una ventina d’anni. Il nodo e’ il timing: la Commissione, fino a pochi giorni fa, prevedeva di portare la riforma alla luce dopo l’estate ma con i prezzi in continua ascesa anche il pressing degli Stati membri sta salendo. Tentando di aprire uno spiraglio per un’accelerazione gia’ a luglio. Parlando alla tv francese Bfm la commissaria alla Concorrenze Margrethe Vestager non ha dato alcun timing ma ha confermato che a Palazzo Berlaymont qualcosa si muove. “Stiamo analizzando se sia possibile un calcolo diverso (tra i prezzi del gas e delle altre energie) per moderare questo mercato finche’ durera’ la crisi”, ha spiegato. Si tratterebbe, quindi, di una misura temporanea, da utilizzare almeno finche’ non sara’ finita la guerra in Ucraina alla stregua della deroga concessa a Spagna e Portogallo per la messa in campo di un price cap all’elettricita’ fino alla primavera del 2023. Di certo, a Bruxelles si stanno convincendo che, cosi’, il sistema non regge. Rispetto ai tempi in cui il prezzo dell’elettricita’ e’ stato agganciato a quello del gas le rinnovabili sono piu’ usate e meno costose. Non a caso lo stesso Emmanuel Macron, gia’ diverse settimane fa, aveva indicato come “assurdo” il sistema di indicizzazione. La Commissione, tuttavia, deve muoversi con prudenza. Il consenso sulla necessita’ di una riforma del sistema dei prezzi e’ tutt’altro che unanime in Europa. E vanno valutati con attenzione i possibili effetti collaterali: nella penisola iberica, ad esempio, il price cap ha fatto schizzare i consumi di gas.

A Palazzo Berlaymont, inoltre, ritengono piu’ urgente blindare le forniture: a meta’ luglio la presidente Ursula von der Leyen presentera’ la sua proposta, che fa perno sostanzialmente su due pilastri: il contenimento della domanda di energia e una maggiora condivisione del gas, attraverso i tubi che attraversano l’Europa. Mercoledi’, al dibattitto in Plenaria dell’Eurocamera sul Consiglio europeo, il tema tornera’ al centro dell’attenzione, anche perche’ il premier ceco Petr Fiala illustrera’ il semestre europeo guidato da Praga, che da’ massima priorita’ alla sicurezza energetica. Non a caso la presidenza ceca ha dato gia’ ampia disponibilita’ alla possibilita’ di un vertice straordinario dei ministri dell’Energia, da tenersi nella seconda meta’ di luglio. Intanto, le quotazioni di metano continuano a viaggiare su vette allarmanti. Il gas naturale ha chiuso in rialzo sulla piazza di Amsterdam e i contratti futures sul mese di agosto hanno guadagnato l’1,31%, arrivando a 165,07 euro al Mwh. Il rischio e’ che la situazione si aggravi a partire dall’11 luglio, quando la Russia chiudera’ per dieci giorni – ufficialmente per manutenzione – il rubinetto che alimenta il Nord Stream. E oggi Mosca e’ tornata ad attaccare sull’energia: il price cap sul petrolio ‘caro’ agli Usa potrebbe portare il prezzo del greggio oltre i 300-400 dollari a barile, ha avvertito l’ex presidente Dmitri Medvedev.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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