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Estate nera per i voli, l’Italia regge la ripartenza

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La Spagna si lecca le ferite di uno sciopero che ha portato a 25 cancellazioni e 175 voli in ritardo. Ma si prepara ora ad una serrata in tre tranche lunga 12 giorni in un solo mese da parte dei dipendenti di Ryanair. In Germania la Lufthansa ha annunciato la cancellazione di 2.200 voli durante il periodo estivo con il ministro del Lavoro che ha accusato le compagnie di licenziamenti selvaggi. Un nodo che interessa anche l’Inghilterra dove mancano gli addetti. Lo stesso negli Usa – 650 cancellazioni sabato – dove a flagellare e’ stato anche il maltempo. Il risultato: voli soppressi, tanti ritardi, pile di valigie accumulate con passeggeri che attendono giorni per ritrovarle. E’ un’estate difficile sul fronte del trasporto aereo, con difficolta’ che pero’ lambiscono solo in via indiretta l’Italia, che registra pochi disagi perche’ ha evitato licenziamenti, riuscendo a prevenire le difficolta’ della ripresa dei voli. Gli ultimi tre mesi hanno messo a segno dati migliori di quelli del 2019 per il trasporto aereo. Palermo e Catania hanno registrato una crescita dei viaggiatori superiore del 4-7% rispetto al pre-pandemia. Fiumicino ha recuperato il 90%, ma va ben oltre le piu’ rosee previsioni di inizio anno. E, va detto, ha retto bene l’assalto ai voli del weekend di inizio mese. Il segreto sta nell’attenzione che le autorita’ del settore e il governo hanno posto nel salvaguardare il lavoro. “La politica adottata e il governo hanno consentito con la cassa integrazione e con 800 milioni di aiuti di mantenere il personale aeroportuale e i servizi a terra”, spiega il presidente dell’Enac Pierpaolo Di Palma. E’ andata diversamente in Inghilterra: ha licenziato durante il periodo del Covid “ed ora e’ difficile trovare nuovi dipendenti. Ad Heathrow un operaio di handling prendeva 19mila sterline. Ora non lo si trova anche a 30mila. E poi non e’ facile formare personale nuovo”, dice Di Palma. L’effetto viene raccontato da un reportage di Business Insider nell’aeroporto londinese, che descrive una ‘montagna di valige’ lasciate senza vigilanza e passeggeri infuriati, tra cui uno studente bolognese, che attendono da giorni costretti a spendere soldi per nuovi vestiti. In Italia le cancellazioni sono per ora limitate. Hanno riguardato Orio al Serio, aeroporto di Bergamo che ha fatto un giugno da record ma registrato anche ritardi e cancellazioni per i voli di Ryanair, Wizzair, Easyjet e Volotea. Qualche difficolta’ anche a Venezia. L’Enac fa un attento monitoraggio del servizio e interviene quando qualcosa non va. E’ accaduto a Palermo con un aereo atterrato dopo la chiusura dello scalo, con i viaggiatori senza possibilita’ di raggiungere la citta’. “Una cosa certa – spiga Di Palma – e’ che siamo al fianco dei viaggiatori per garantire i servizi e i diritti”. In caso di cancellazione di un volo c’e’ la ricopertura con altro vettore oppure il rimborso del biglietto ma talvolta l’alloggio se c’e’ un pernotto, i servizi di prima assistenza e, in alcuni casi, anche la richiesta di altri danni. Al momento il consiglio per chi si mette in viaggio e’ monitorare con attenzione la situazione. Ci sono voli cancellati in alcuni Paesi (anche fuori dall’Europa, in India ad esempio), per mancanza di personale, che vengono comunicati con anticipo. Negli Usa ad esempio, in questo fine settimana tra le difficolta’ della pandemia e quelle della carenza di personale – in base a quanto emerge dal sito di tracking FlightAware – sono stati cancellati 650 voli e piu’ di 5.200 sono arrivati in ritardo. Poi ci sono gli scioperi. In Spagna il personale viaggiante di Ryanair incrocera’ le braccia in tre blocchi da quattro giorni: dal 12 al 15, dal 18 al 21 e dal 25 al 28 luglio. E i contraccolpi, segnalano le agenzie internazionali, ci saranno anche altrove. A Londra preannuncia proteste anche il personale di terra di British Airways, contro il mancato reintegro del taglio del 10% dello stipendio fatto durante la pandemia. Insomma una vera debacle, che l’Italia sembra essere riuscita ad evitare.

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Cronache

‘Disarmiamo il patriarcato’, le donne tornano in piazza

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La quiete prima della tempesta in un silenzio irreale che prelude a un grido di liberazione. Hanno deciso di cominciare così il loro corteo le migliaia di manifestanti di ‘Non una di meno’ che si sono ritrovate a Roma: sedute e mute. Poi all’improvviso tutte in piedi, in un’unica voce, altissima, di rabbia contro i femminicidi e al grido di ‘Disarmiamo il patriarcato’ hanno scandito lo slogan: ‘Insieme siam partite insieme torneremo. Non una di meno’. “Non una di meno” hanno ripetuto ancora, alla vigilia del 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, tante, troppe uccise e finite in una lista di sangue che allega foto di loro ancora sorridenti.

E senza dimenticare Ahoo Daryaei, la studentessa iraniana che si è spogliata davanti all’università a Teheran per protestare contro l’imposizione del regime, in molte si sono tolte la maglia rimanendo a seno scoperto. “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”, hanno urlato tenendo lo striscione con la scritta “il corpo è mio, decido io”, un famoso slogan femminista degli anni Settanta. Poco prima del corteo, davanti al ministero dell’Istruzione, una foto del ministro Giuseppe Valditara era stata bruciata dalle attiviste del movimento femminista Aracne e dai collettivi. Su un manifesto la scritta: “Oltre 100 morti di Stato.

Non è l’immigrazione ma la vostra educazione” hanno replicato alle parole del ministro che qualche giorno fa aveva sostenuto che “L’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza discendenti da un’immigrazione illegale”. Durante il corteo anche cori contro Pro Vita, con i manifestanti che hanno provato a raggiungere la sede dell’associazione antiabortista ma sono state bloccati. Scene che non sono piaciute alla ministra per la Famiglia Eugenia Roccella.

“Manifestare contro la violenza sulle donne, parlare di educazione al rispetto, libertà, per poi esibirsi negli atti e negli slogan che abbiamo visto andare andare in scena prima e durante le manifestazioni di oggi, è una contraddizione stridente”. La ministra ha voluto anche ricordare che “il governo Meloni ha fatto molto per contrastare la violenza contro le donne, anche dal punto di vista economico ha contribuito ad aumentare l’occupazione stabile femminile, ha supportato l’aumento dei centri antiviolenza che sono cresciuti del 5% negli ultimi due anni” e ha lanciato un appello alle ragazze affinché abbiano più a cuore la loro libertà, e ai ragazzi affinché non abbiamo paura della libertà delle ragazze.

Perché “la violenza contro le donne è qualcosa che tocca veramente in modo lacerante le famiglie, troppo spesso purtroppo”. Anche la marea fucsia, 150mila secondo le organizzatrici, a un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin e con il pesate elenco di “altri 106 nomi che si sono aggiunti”, ha risposto a Valditara: “Il patriarcato esiste, non è ideologia e il razzismo istituzionale non è la risposta. L’assassino, il violento, sono figli della nostra società e hanno quasi sempre le chiavi di casa. Questo è un governo patriarcale, non basta una premier donna. Le misure contenute nel ddl sicurezza sono preoccupanti, dalla restrizione del diritto al dissenso alla possibilità di ingresso in carcere per le donne in gravidanza o comunque con figli molti piccoli”. Cortei si sono svolti anche a Palermo, dove in testa hanno sfilato alcune vittime di violenza, insieme a donne disabili, e a Udine dove le Donne in Nero, una rete di attiviste per la pace hanno chiesto il cessate il fuoco in Palestina.

A Milano è apparsa un’opera della street artist Laika dal titolo ‘Smash the patriarchy’. L’immagine raffigura Giulia Cecchettin e Gisele Pelicot, sopravvissuta a uno stupro perpetrato in Francia da suo marito insieme a decine di altri uomini. Il sindaco Beppe Sala ha sottolineato che “le quote rosa sono state fondamentali ma adesso non bastano più. Ci sono interi settori, come quello finanziario, in cui le donne non toccano niente. L”occupazione sale ma in Italia solo il 14% delle donne sono ai vertici delle società”. E anche nelle principali città francesi ci sono state numerose manifestazioni contro la violenza sulle donne. A Parigi hanno sfilato migliaia di persone, soprattutto donne ma anche bambini e uomini.

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Polizia scopre nel Milanese l’arsenale della Curva Nord

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Un deposito di armi, che si reputa possa essere l’arsenale della Curva nord interista, è stato scoperto dalla Polizia a Cambiago, nel Milanese. In un capannone, indagando su un ultras che sarebbe legato ad Andrea Beretta, l’ultrà nerazzurro in carcere per l’omicidio di Antonio Bellocco, altro capo della Curva, sono stati sequestrati pistole, kalashnikov, bombe a mano e molti proiettili.

Secondo quanto si apprende, all’arsenale gli investigatori milanesi sono giunti la scorsa notte, seguendo la traccia di una proprietà immobiliare di Beretta che però era nella disponibilità di una altra persona, un ultras a lui vicino.

La questura di Milano non commenta, non conferma e non smentisce le notizie relative all’operazione di Polizia che ha portato alla scoperta di un arsenale in un deposito nel Milanese che sarebbe riconducibile alla Curva Nord nerazzurra.

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“Bomba Sinner”: un’invenzione giornalistica che alimenta il mito dei botti illegali

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La “bomba Sinner”, il nuovo ordigno di Capodanno sequestrato dai carabinieri in un appartamento di Pozzuoli, è solo l’ultima trovata di un fenomeno mediatico e sociale che va ben oltre la cronaca. Il nome, che richiama il tennista altoatesino Jannik Sinner, si unisce alla lunga lista di fuochi d’artificio illegali battezzati con appellativi accattivanti come “Maradona”, “Scudetto” o “Kvara”. Ma mentre questo genere di denominazioni richiama una sorta di “marketing” dei botti, è impossibile non notare come perpetui luoghi comuni pericolosi e pregiudizi su Napoli e il suo rapporto con l’illegalità.

La realtà dietro la “bomba Sinner”

Il nome non ha nulla a che vedere con il campione di tennis, ma sfrutta l’immaginario di esplosività associata al suo talento sportivo. La realtà, però, è ben diversa: si tratta di un ordigno pericoloso e illegale, capace di causare mutilazioni o peggio. L’ordigno, insieme ad altri 486 petardi illegali, è stato sequestrato dai carabinieri nell’abitazione di un 24enne incensurato a Pozzuoli, trasformata in una vera santabarbara. Materiale esplosivo per un totale di 50 chili era conservato in condizioni precarie, mettendo a rischio non solo l’incolumità del giovane, ma anche quella dei suoi vicini.

Un marketing pericoloso e la complicità dei media

La “bomba Sinner” e altri ordigni illegali sono promossi su piattaforme come Telegram, TikTok e Instagram, dove la vendita e distribuzione si sviluppano con logiche da e-commerce. I nomi accattivanti, però, non sono solo una trovata degli stessi produttori, ma trovano amplificazione nei media, che trasformano questi episodi in sensazionalismo, anziché sottolinearne i rischi. È qui che si insinua una responsabilità più ampia: invece di denunciare con forza il pericolo dei botti illegali, si finisce per rafforzarne la “fama”, perpetuando un’attrazione malsana verso questi prodotti.

Il perpetuarsi dei pregiudizi su Napoli

La narrazione che emerge da episodi come quello della “bomba Sinner” alimenta stereotipi radicati su Napoli e la Campania come luoghi di illegalità e anarchia diffusa. I nomi dei botti – da Maradona a Kvara – sono spesso legati a simboli locali, trasformando un problema grave in un racconto folkloristico che fa leva su luoghi comuni. In realtà, Napoli è una città con un tessuto sociale e culturale straordinario, che spesso lotta contro queste narrazioni riduttive. Collegare automaticamente l’illegalità a simboli della cultura partenopea non fa che danneggiare l’immagine di un territorio già troppo spesso vittima di pregiudizi.

Un problema nazionale, non locale

È importante sottolineare che il fenomeno dei botti illegali non è un problema esclusivamente napoletano. Gli ordigni sequestrati a Pozzuoli erano destinati anche al mercato tedesco, dimostrando che si tratta di un commercio organizzato su scala ben più ampia. Ridurre la questione a un “problema di Napoli” non solo ignora la complessità del fenomeno, ma ostacola una reale presa di coscienza e interventi efficaci.

L’urgenza di un cambiamento culturale

Il fenomeno dei botti illegali rappresenta un rischio concreto per la sicurezza pubblica e un problema culturale. Ogni anno, questi ordigni causano gravi ferite, amputazioni e persino vittime. Serve un cambio di paradigma: da una narrazione che esalta nomi e appellativi dei botti, si deve passare a una comunicazione che ne evidenzi i pericoli, senza alimentare inutili sensazionalismi.

La “bomba Sinner” non è solo un ordigno pericoloso: è un simbolo di come il sensazionalismo e la superficialità possano alimentare pregiudizi e ignorare il vero problema. Napoli merita una narrazione diversa, che metta in evidenza la lotta quotidiana di tanti cittadini contro l’illegalità, piuttosto che ridurla a un cliché. Allo stesso tempo, occorre un impegno collettivo per contrastare la produzione e la diffusione di fuochi illegali, puntando su una cultura della sicurezza e della responsabilità.

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