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Esteri

Battaglia all’ultimo uomo nell’acciaieria di Mariupol, è un bagno di sangue senza precedenti

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Una battaglia corpo a corpo per Mariupol. Dopo settimane di bombardamenti e assedio che hanno stremato la popolazione, con centomila persone in disperata attesa di un’evacuazione, e dopo gli attacchi dei droni con sospette armi chimiche per “stanare le talpe” nemiche, il conflitto nel luogo simbolo del martirio dell’Ucraina cala sempre piu’ sul terreno, tra scontri a fuoco strada per strada nei meandri arroventati dell’acciaieria Azovstal, il gioiello dell’industria metallurgica della citta’ trasformato nel quartiere generale dei suoi ultimi difensori, i tremila combattenti del battaglione Azov. Mentre si lotta senza sosta, la sfida parallela della propaganda di guerra si consuma sul morale delle truppe. Dopo che i separatisti filo-russi avevano rivendicato il “totale controllo” del porto – negato da Kiev ma riaffermato stasera da Mosca – la Russia ha dipinto un nemico ormai alle corde, piegato e sempre piu’ demoralizzato. Al punto che 1.026 militari ucraini si sarebbero arresi, tra cui 162 ufficiali e 47 soldatesse. Secondo il portavoce della Difesa russa, il maggiore Igor Konashenkov, a cedere le armi sono state le truppe “della 36/ma brigata di marines, nei pressi dell’acciaieria Ilyich”, da giorni al centro di un rimpallo via social di appelli disperati e smentite di una resa. E ancora una volta, Kiev ha smentito che abbiano ceduto. L’ufficio del presidente Volodymyr Zelensky ha anzi rivendicato che alcune unita’ della stessa brigata sarebbero riuscite “con un’azione molto rischiosa” a serrare le fila con il reggimento Azov, raggiungendo i piu’ accreditati difensori della citta’ nel loro fortino. A Mariupol la situazione umanitaria e’ intanto allo stremo. “I russi hanno distrutto gli ospedali e tutta la citta’. Questo e’ un genocidio lanciato da un criminale di guerra, Putin, contro la nostra nazione. Finche’ resisteremo, resistera’ anche l’Ucraina”, e’ il grido di dolore e orgoglio del sindaco Vadym Boychenko, che conferma il bilancio di “almeno ventimila” vittime civili e lo sforzo dei russi “di nascondere le prove delle atrocita’ commesse, utilizzando anche i forni crematori mobili”. Dalla citta’ assediata, oltre meta’ della popolazione rimasta cerca ancora di fuggire. Almeno centomila persone intrappolate, secondo le autorita’ locali, con scarse prospettive di evacuazione, visto che i corridoi umanitari continuano a restare di fatto bloccati, se non per poche iniziative con mezzi privati. Mentre il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha spiegato come “al momento non ci sia nessuna possibilita’ di un cessate il fuoco globale”, ne’ di una tregua localizzata per far allontanare i civili e portare aiuti in sicurezza. Una speranza potrebbe arrivare dalla Turchia, principale mediatore tra Russia e Ucraina, che ha fatto sapere di essere pronta a mettere “a disposizione navi per l’evacuazione di persone da Mariupol e resta in attesa di una risposta positiva”. L’offensiva russa continua nel frattempo a puntare sul Donbass, dove continua a bombardare e sta raggruppando le forze per tentare la spallata definitiva e prendere il controllo dell’intero territorio delle regioni di Donetsk e Lugansk. E’ soprattutto da queste zone che parte della popolazione e’ gia’ stata “deportata” in Russia, secondo Kiev: oltre mezzo milione di persone, ha denunciato Zelensky, condotte con la forza in regioni remote del Paese, confiscandone documenti e oggetti personali, come i telefoni cellulari, e separando i bambini dai loro genitori per consentire alle famiglie russe di adottarli illegalmente. Se l’obiettivo strategico si concentra a est, Mosca torna a minacciare anche Kiev, da cui le sue truppe si sono ritirate lasciandosi alle spalle i massacri di Bucha e delle altre citta’ satellite. La Difesa di Putin si e’ detta pronta a colpire i centri di comando nemici, anche nella regione della capitale, se l’esercito ucraino continuera’ nei suoi tentativi di attaccare strutture in Russia.

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Abusi su bambini in case d’accoglienza, 355 arresti in Malesia

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La polizia malese ha annunciato l’arresto di 355 persone nell’ambito di un’inchiesta su centinaia di casi di bambini vittime di aggressioni fisiche e sessuali in case d’accoglienza in Malesia. L’ispettore generale della polizia, Razarudin Husain, ha spiegato che i sospetti sono stati fermati nel corso di un’operazione contro membri il gruppo Global Ikhwan Services and Business (Gisb) che gestisce le case e accusato di avere legami con la setta islamica Al-Arqam bandita dalle autorità nel 1994.

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Esercito Israele in sede Al Jazeera Ramallah, stop 45 giorni

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Militari dell’esercito israeliano hanno fatto irruzione nella sede di Ramallah di Al Jazeera per notificare la chiusura per 45 giorni. L’ingresso dei militari negli uffici della Cisgiordania è stato testimoniato in diretta dalla stessa emittente qatariota.

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Quad, preoccupati per situazione in Mar cinese meridionale

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I leader del Quad – Usa, Australia, Giappone e India – si dicono “seriamente preoccupati” per la situazione nel Mar cinese meridionale. Lo si legge nella dichiarazione conclusiva del summit ospitato da Joe Biden a Wilmington, in Delaware.

Joe Biden, il premier australiano Anthony Albanese, quello indiano Narendra Modi e il primo ministro giapponese Fumio Kishida si impegnano a sostenere “in maniera inequivocabile” il mantenimento “della pace e della stabilità nella regione dell’Indopacifico quale elemento indispensabile della sicurezza e della prosperità globali”, si legge ancora nella dichiarazione finale. I leader del Quad si oppongono “fermamente a qualsiasi azione destabilizzante o unilaterale che cerchi di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione. Condannano i recenti lanci missilistici nella regione che violano le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed esprimono seria preoccupazione per le recenti azioni pericolose e aggressive nel settore marittimo”.

“Cerchiamo una regione – affermano il presidente americano e i tre premier – in cui nessun Paese domina e nessun Paese è dominato, una regione in cui tutti i paesi siano liberi dalla coercizione e possano esercitare la propria influenza per determinare il proprio futuro. Siamo uniti nel nostro impegno a sostenere un sistema internazionale stabile e aperto, con un forte sostegno ai diritti umani, al principio di libertà, allo stato di diritto, ai valori democratici, alla sovranità e all’integrità territoriale, alla risoluzione pacifica delle controversie e al divieto della minaccia o l’uso della forza in conformità con il diritto internazionale, inclusa la Carta delle Nazioni Unite”.

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