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Kiev cattura Viktor Medvedchuk, l’oligarca “marionetta” di Putin

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Per Kiev era il traditore numero uno. Viktor Medvedchuk, deputato e leader dell’opposizione filorussa ‘Piattaforma di opposizione per la vita’, e’ stato arrestato con un’operazione speciale dell’intelligence ucraina. Sui profili ufficiali delle autorita’, la sua foto in tuta mimetica seduto e ammanettato, lo sguardo perso nel vuoto e i capelli arruffati, rimbalza come un trofeo. Perche’ l’oligarca ucraino di origini russe, considerato vicino a Vladimir Putin, e’ uno dei simboli dei ‘nemici interni’ del presidente di Volodymyr Zelensky. Di piu’: e’ l’uomo che avrebbe voluto rubargli la poltrona. Latitante dai primi giorni dell’invasione dopo essere fuggito dagli arresti domiciliari, che stava scontando con l’accusa di alto tradimento per avere sostenuto le forze separatiste nel Donbass, era ritenuto tra i possibili candidati alla guida di un governo fantoccio, se Mosca fosse riuscita a conquistare Kiev. Imprenditore attivo in molti campi, tra cui energia e media, sarebbe giunto fino a curare ufficiosamente gli interessi di Putin nel Paese.

Zelensky propone lo scambio Medvedchuk-prigionieri ucraini

 

La notizia della sua cattura e’ subito rimbalzata a Mosca, dove il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, si e’ trincerato dietro un no comment, spiegando di non poter al momento confermare un arresto che per il Cremlino rischia di diventare molto imbarazzante, anche per i possibili segreti strategici e militari custoditi da Medvedchuk. Il suo arresto giunge mentre Kiev conferma di aver stilato un elenco di 100 “traditori” della patria. “L’Agenzia Nazionale per la Prevenzione della Corruzione e l’Ong Honest Movement hanno inserito nel registro 73 politici, 13 funzionari delle forze dell’ordine, 13 media e un giudice”. L’elenco contiene dati sui presunti collaborazionisti di 14 regioni dell’Ucraina, mentre sono gia’ stati aperti 637 procedimenti. Iniziative favorite dalla legge approvata dal Parlamento di Kiev il 3 marzo scorso, dieci giorni dopo l’inizio della guerra, “che criminalizza la collaborazione con l’invasore russo”. La procedura per schedare i “traditori”, si spiega, prevede varie tappe. “Prima di aggiungere una persona alla lista, Honest Movement controlla il nome e collabora attivamente con le forze dell’ordine e le organizzazioni pubbliche per la verifica le informazioni, poi si aggiunge e la lista si puo’ consultare su internet”. Un registro diviso in 4 categorie: politici, giudici e avvocati, media e forze dell’ordine. La stessa ong, poi, “continua a cercare collaboratori e incoraggia tutti coloro che hanno informazioni su questo a condividerle”.

 

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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