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Scontro sui vaccini, poi si media. Irritazione Draghi

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E’ uno dei passaggi piu’ difficili, per il governo Draghi, quello dell’introduzione dell’obbligo di vaccino per gli over 50. Sullo sfondo ci sono l’impennata dei contagi e rapporti sempre piu’ logori nella maggioranza, dopo un braccio di ferro durato diversi giorni e una lunga discussione, prima in cabina di regia poi in Consiglio dei ministri. Tanto che a sera descrivono il premier Mario Draghi parecchio contrariato dal tira e molla e dai distinguo che scandiscono le scelte sulla pandemia, con il rischio di far apparire la linea dello stesso governo ondivaga. Pd, Leu, Iv, Fi chiedono l’obbligo di vaccino per tutti, la Lega si oppone e minaccia di non votare il decreto, mentre con le Regioni va in scena l’ennesimo scontro sulla scuola. Draghi media su alcune delle misure ma sull’obbligo di vaccino sceglie una linea non dettata, sottolineano a Palazzo Chigi, dall’esigenza di trovare un “compromesso politico” ma dall’imperativo di raffreddare la curva e ridurre le ospedalizzazioni, che colpiscono soprattutto i piu’ anziani. La realta’, ragiona un ministro, e’ che la dinamica emersa nelle ultime settimane in maggioranza sul Covid e’ infiammata dall’avvicinarsi dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Ma come si fa, e’ il ragionamento di chi spinge per Draghi al Quirinale, a sostenere che dovrebbe restare a Palazzo Chigi per governare? Come da tempo va sostenendo Giancarlo Giorgetti (oggi assente per ragioni personali in Cdm), il 2022 e’ anno pre-elettorale e i rapporti in maggioranza rischiano di farsi sempre piu’ complicati. La spinta che ha portato Draghi a Palazzo Chigi in nome dell’unita’ nazionale, ragiona piu’ di un ministro, sembra ogni giorno di piu’ logorarsi. Sull’obbligo di vaccino emerge una maggioranza nella maggioranza. Ed e’ il Pd il primo partito a far sentire la sua voce a meta’ mattinata, quando Draghi ufficialmente non ha ancora convocato la cabina di regia per le nuove misure. Dal Nazareno indicano l’obbligo per tutti come “via maestra” per “fare chiarezza ed evitare di infilarsi in distinzioni di eta’ o di funzioni” che rischiano di creare “equivoci”. E’ una linea che demarca una frattura netta nel governo: da un lato una ‘maggioranza Ursula’ formata da Pd, Leu, Iv insieme a Fi, che da sempre Silvio Berlusconi ha collocato sulla linea piu’ dura; dall’altro lato la Lega che concede, tra le divisioni interne, un’apertura all’obbligo per gli over 60. In mezzo, ma piu’ in asse con i fautori dell’obbligo, si colloca il Movimento 5 stelle, solcato dai distinguo dei gruppi parlamentari, che sposa una linea critica sulla gestione di questa fase dell’emergenza, esprime fino all’ultimo (lo fa Fabiana Dadone in cabina di regia) forti dubbi e si oppone al Super Green pass per tutti i lavoratori, ma che alla fine Giuseppe Conte colloca in favore dell’estensione dell’obbligo di vaccino. C’e’ chi nella spaccatura emersa sul tema del Covid inizia a vedere il delinearsi di una possibile nuova maggioranza di governo senza la Lega, se Draghi venisse eletto presidente della Repubblica. In questa chiave raccontano anche che nella Lega ci sarebbe un’ala ‘governista’ che starebbe spingendo fin d’ora per restare in ogni caso al governo e che nelle ore della discussione sull’obbligo di vaccino avrebbe mostrato posizioni piu’ vicine a quelle di Fi. Di sicuro l’avvicinarsi dell’appuntamento del Quirinale agita ancor di piu’ le acque in maggioranza e viene interpretata da molti come il detonatore delle tensioni, anche se non e’ pensando al Colle che Draghi – fa notare chi gli e’ vicino – prende le sue decisioni. Una nuova discussione di sicuro si aprira’ sul decreto per i sostegni alle attivita’ in crisi che dovrebbe arrivare attorno a meta’ gennaio e per il quale i partiti – su tutti il M5s – invocano un nuovo scostamento di bilancio per stanziare intorno ai 10 miliardi. La Lega chiede di anticipare il Tfr a chi e’ a casa senza stipendio perche’ non vaccinato e sospeso dal lavoro: sul punto i leghisti si scontrano con il M5s in Cdm e si decide di accantonare il tema. Il Pd chiede invece il rinnovo dell’equiparazione della quarantena alla malattia. In Consiglio i leghisti Massimo Garavaglia ed Erika Stefani danno battaglia su tutti i fronti, minacciano di non votare e ottengano che basti il Green pass base per andare dal parrucchiere o in banca (non il Super pass, come prevedeva la proposta Draghi tradotta nella bozza del decreto). “Siamo responsabilmente in maggioranza ma non acquiescenti a misure che ledono diritti e sono senza fondamento scientifico”, scrivono i ministri leghisti in una nota durissima diramata a Cdm in corso. Ci si scontra anche sulla scuola, che Draghi vuol tenere aperta il piu’ possibile mentre i governatori, ma anche i ministri Pd, M5s e Leu chiedono regole piu’ rigide per mandare le classi in quarantena. Chi spinge per l’obbligo di vaccini come Dario Franceschini per il Pd, il ministro della Salute Roberto Speranza, i ministri di Forza Italia, insiste fino all’ultimo, ma poi accetta la proposta di Draghi. E, dietro richiesta di anonimato, piu’ d’uno dal centrosinistra fa notare: la Lega ha accettato l’obbligo, la sua linea non passa.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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