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Scontro Ue-Polonia, resa dei conti al Parlamento europeo

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La tensione accumulata negli ultimi mesi sull’asse Bruxelles-Varsavia sul rispetto dello stato di diritto e’ esplosa al Parlamento europeo. Una resa dei conti dura, a denti stretti, per oltre quattro ore di graticola. Da un lato il premier, Mateusz Morawiecki deciso ad affermare la sovranita’ della Polonia contro i “doppi standard” ed i “ricatti” di Bruxelles. Dall’altro la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, determinata a salvaguardare il primato della legge Ue su quella nazionale. Di fronte a loro gli eurodeputati, perlopiu’ pronti a fare fuoco sul polacco, chiedendo lo stop all’erogazione dei fondi Ue. Fuori dal coro il copresidente del gruppo Ecr-FdI all’eurocamera, Raffaele Fitto che incontrando il premier polacco gli ha “portato il saluto e il pieno sostegno del presidente di Fratelli d’Italia e di Ecr Party, Giorgia Meloni”. Un “incontro proficuo”, ha scritto Fitto su Twitter che rischia di infiammare il dibattito sui gruppi di estrema destra, in agenda domani a Strasburgo. Il rischio dello stop ai fondi ora per Varsavia e’ piu’ vicino, mentre Bruxelles prepara la sua prossima mossa, prima di arrivare alla notifica dell’attivazione vera e propria del meccanismo che lega gli aiuti europei al rispetto del ‘rule of law’. Un passo in vista del vertice europeo di giovedi’, dove i Paesi del Benelux, che oggi si sono riuniti per affilare le armi, si preparano a dare battaglia, nonostante la posizione piu’ conciliante della Germania. Uno scontro quello tra europeisti e sovranisti deflagrato a livello politico nell’emiciclo con le prese di posizione della maggioranza Ursula (Ppe, S&D, Liberali) e dei Verdi europei, che si sono espressi ampiamente a sostegno dell’Esecutivo, contro il gruppo degli identitari (Identita’ e democrazia) dove siede la Lega di Matteo Salvini, ed i conservatori dell’Ecr (che conta tra le sue fila anche il partito di maggioranza polacco, il Pis di Jaroslaw Kaczynski). Quest’ultimi scesi in campo a difesa di Morawiecki, che pur facendo mezzo passo indietro (con l’annuncio dell’abolizione della famigerata sezione disciplinare per i giudici della Corte suprema nel mirino dell’Ue), ha ricordato come il suo Paese abbia combattuto anche “contro il Terzo Reich”, a riprova di uno spirito “fiero” e pronto alla lotta. Qualcuno ha definito quello tra von der Leyen e Morawiecki un confronto sull’esistenza stessa del progetto europeo, perche’, come ha osservato il ministro degli Esteri lussemburghese, Jean Asselborn, l’Unione “non sopravviverebbe alla fine” dello stato di diritto. “Respingiamo” le accuse “di ricatto” di Varsavia – ha chiarito la vicepresidente Ue, Vera Jurova, vogliamo “il rispetto dei principi europei”. Il polacco ha ribadito la volonta’ di restare nell’Unione, ma non in un “super-stato centralizzatore”, ed ha citato stralci di sentenze di varie consulte europee, per corroborare la sua tesi. Un’argomentazione debole, gli e’ stato rimproverato, dato che nessuna di quelle corti ha mai sentenziato l’incompatibilita’ delle norme nazionali con i trattati europei. Quanto accaduto in Polonia “tocca il nervo dello stato di diritto ed e’ senza precedenti”, ha attaccato von der Leyen, ricordando i dubbi della legittimita’ stessa della Consulta polacca, al centro di una procedura davanti alla Corte Ue. “Difenderemo lo stato di diritto in Polonia con tutti i mezzi”, ha messo in guardia la leader, ricordando le varie armi a disposizione. Alcuni strumenti piu’ o meno spuntati, come le procedure di infrazione (ce ne sono gia’ varie in corso) , o l’articolo 7 che richiede un voto all’unanimita’ (improbabile) per essere portato alle sue estreme conseguenze, ed altri decisamente piu’ contundenti, come le misure finanziarie che legano l’erogazione dei fondi comunitari al budget Ue e al Recovery fund. Decine di miliardi di cui la Polonia potrebbe smettere di beneficiare nel giro di otto-nove mesi, questa la tempistica secondo i servizi legali della Commissione. Ma per il momento al Consiglio europeo su questa iniziativa non c’e’ accordo, con la Germania e la Francia che preferiscono mantenere ancora aperto il dialogo. E la chiusura dei rubinetti delle risorse Ue e’ un destino che potrebbe toccare anche alla ribelle Ungheria, che per bocca della ministra della Giustizia, Judit Varga, si e’ fatta avanti ancora una volta in difesa dell’alleato dei Visegrad: “Chiediamo all’Ue di rispettare la sovranita’ degli Stati membri”.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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