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Addio a Bernard Tapie, ‘mille vite’ tra politica e calcio

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Anche nella fase finale della sua lotta contro un cancro che lo ha aggredito piu’ volte, Bernard Tapie trovava il guizzo per stupire, per provocare, per ribellarsi. Lo faceva in tv, incurante del suo aspetto smagrito e dei capelli radi e bianchi. Gli occhi erano sempre quelli dell’irresistibile istrione che fu “fonte di ispirazione per generazioni di francesi”, come hanno ricordato in un commosso omaggio alla sua memoria Emmanuel e Brigitte Macron. Tapie, l’industriale che scalo’ Adidas, il presidente dell’Olympique che porto’ Marsiglia sul tetto d’Europa – impresa rimasta ineguagliata in Francia -, il ministro di Mitterrand, il finanziere senza scrupoli finito in rovina, l’affabulatore che divento’ attore interpretando se stesso, se ne e’ andato a Parigi, a 78 anni, dopo una strenua lotta contro il cancro. “Ci sono due cose per cui combatto con questa forza, le mie idee e il cancro – aveva detto di recente al ‘suo’ quotidiano, La Provence, parlando del suo doppio tumore all’esofago e allo stomaco – e vedrete a questo qui se non gliene do’ un paio sulla faccia…e’ capitato male!”.

C’e’ stato di tutto nella vita avventurosa di Bernard Tapie, un uomo che Marsiglia ha adorato, ricambiata. Lui riposa nell’hotel particulier parigino in cui si e’ spento, una dimora elegante del quartiere latino, visitata in questa domenica da chi lo amava e lo ammirava. Marsiglia invece lo piange in un’incessante omaggio di amici, sportivi, gente qualunque, che si reca in raccoglimento davanti al “suo” stadio, il Ve’lodrome, davanti al quale campeggia una grande foto in bianco e nero del “boss”, con il pallone in mano. E’ il ricordo indelebile di colui che sconfisse il grande Milan di Silvio Berlusconi e Fabio Capello, in una finale vinta per 1-0 con un gol di testa di Basile Boli. Prima e finora unica volta di una squadra francese in cima all’Europa. Soltanto qualche giorno dopo quella finale, negli alti e bassi da “montagne russe” che hanno costellato la vita di Tapie, l’OM finiva retrocesso in seconda divisione per aver tentato di corrompere gli avversari del Valenciennes in campionato. Da industriale e finanziere, raggiunse il massimo splendore con l’acquisizione del gigante tedesco dell’abbigliamento sportivo Adidas nel 1990. Fu la base del successo e della notorieta’ di Tapie, che divento’ – sul ponte del suo faraonico yacht ‘Phoce’a’ – una sorta di condottiero che sembrava invincibile. Quello stesso yacht in cui trascorse quello che defini’ “il giorno piu’ bello della mia vita”, battendo il record della traversata dell’Atlantico del nord, e che anni dopo gli fu sequestrato dalla magistratura. Adidas, che ne sanci’ il successo, divento’ anche sinonimo di caduta, perche’ i guai giudiziari per Tapie – che si estinguono solo oggi con la sua morte – cominciarono proprio con un conflitto finanziario con il Cre’dit Lyonnais, la banca incaricata di rivendere il marchio Adidas quando le cose cominciarono a precipitare. In prima istanza l’arbitrato concesse 408 milioni di euro di risarcimento a Tapie, poi la sentenza fu annullata e la corte d’Appello si sarebbe dovuta pronunciare mercoledi’ prossimo. La vita politica di Tapie comincio’ a fine anni Ottanta e fu tutta una battaglia contro il Front National e l’estrema destra. Nel 1989 si mise luce in un dibattito contro Jean-Marie Le Pen, diventando poi deputato per la “maggioranza presidenziale” di Mitterrand, che nel 1992 lo nomino’ Ministro della Citta’. Memorabili i suoi scontri verbali, con Le Pen ma anche con Eric Zemmour, oggi in ascesa per l’estrema destra. Alla fine di un’accesa disputa in una tribuna televisiva, Zemmour gli disse, “sei superato”. E Tapie gli rispose alzandosi, “adesso ti do’ un cazzotto”. Con la stessa presenza scenica, fu da giovanissimo cantante (poco successo, con il nome d’arte di Tapy) poi presentatore tv, attore di teatro (‘Qualcuno volo’ sul nido del cuculo’ l’interpretazione piu’ memorabile), di cinema (‘Uomini e donne, istruzioni per l’uso’, regia di Claude Lelouch), e di serie tv (Il Commissario Valence). Emmanuel Macron e Brigitte – che era andato a trovarlo ancora pochi giorni fa – si sono detti “commossi” per la scomparsa dell’uomo “dalle mille vite”. Tapie aveva “ambizione, energia ed entusiasmo – ha scritto la coppia presidenziale – che furono fonte di ispirazione per generazioni di francesi”.

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Yossi Cohen, il volto pubblico del Mossad e le sue operazioni segrete

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Yossi Cohen, con il suo carisma, la parlantina sciolta e l’aspetto impeccabile, è diventato il capo del Mossad più noto e riconosciuto nella storia dell’agenzia israeliana. Un’eccezione, se si pensa che fino al 1996 il nome del direttore del Mossad non era nemmeno di pubblico dominio e veniva indicato solo con un’iniziale. Al comando dell’agenzia dal 2016 al 2021, Cohen ha trasformato la spavalderia in un tratto distintivo degli agenti, spingendoli a compiere missioni audaci che hanno riscritto il modus operandi dell’intelligence israeliana.

Uno dei successi maggiori del suo mandato è stato l’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh, fisico nucleare iraniano e mente dietro il programma atomico degli ayatollah. L’operazione, meticolosa e perfettamente eseguita, ha contribuito a rallentare lo sviluppo nucleare iraniano. A questo si aggiunge il clamoroso furto di un intero archivio segreto iraniano: in meno di 6 ore e mezza, un’unità del Mossad ha trafugato 55 mila documenti e 183 CD-ROM contenenti informazioni cruciali sul programma nucleare di Teheran. La squadra è riuscita a scappare verso il confine con quasi mezza tonnellata di materiale riservato, in un’operazione ricostruita nei minimi dettagli dal New York Times.

Le capacità di Cohen si sono dimostrate determinanti anche nel mantenere il Mossad al di fuori degli scandali che avevano macchiato la reputazione dell’agenzia. Prima del suo arrivo, il fallimento di una missione del 2010 a Dubai, che aveva compromesso undici agenti, aveva gettato un’ombra sulla competenza del Mossad. Con Cohen alla guida, queste imbarazzanti battute d’arresto sono state evitate, e l’agenzia ha continuato a colpire con successo i suoi obiettivi più delicati.

Il Mossad, noto per le sue operazioni internazionali, è stato il responsabile della cattura di Adolf Eichmann nel 1960 e della caccia agli autori del massacro degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Negli anni successivi, l’agenzia ha continuato a eliminare figure chiave come Ali Hassan Salameh di Settembre Nero e più recentemente Fuad Shukr, comandante militare di Hezbollah. Anche se il Mossad è rimasto relativamente fuori dalle polemiche legate all’eccidio del 7 ottobre nel Sud di Israele, è tra le istituzioni che godono ancora della fiducia degli israeliani, in parte grazie alle operazioni condotte sotto la guida di Cohen e del suo successore, David Barnea.

Yossi Cohen ha saputo trasformare il Mossad in un’agenzia che opera non solo con precisione, ma anche con visibilità, malgrado il paradosso di un capo superspia che ama le telecamere tanto quanto la discrezione.

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Iran, Israele subirà risposta distruttiva dalla resistenza

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Israele subirà “una risposta distruttiva da parte del fronte della resistenza” dopo le esplosioni dei dispositivi in Libano che hanno portato alla morte di almeno 30 persone e al ferimento di migliaia. Lo ha scritto il comandante delle Guardie della rivoluzione iraniana, Hossein Salami, in una lettera al leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. “Tali atti terroristici, indubbiamente dovuti alla disperazione e ai fallimenti del regime sionista, incontreranno presto una risposta schiacciante dal fronte della resistenza e assisteremo alla completa distruzione di questo regime crudele e criminale”, si legge nella lettera, riferisce Irna.

“Il nemico, incapace di un confronto faccia a faccia, commette crimini dietro la linea di frontiera e amplifica il risultato del crimine per ritardarne la sua fine e nascondere al mondo lo scandalo delle sue successive sconfitte”, scrive Salami nella lettera a Nasrallah, attribuendo ad Israele la responsabilità delle esplosioni.

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Sì del Pe all’uso di armi in Russia, italiani contrari

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L’uso delle armi inviate a Kiev in territorio russo allontana l’Italia dalla maggioranza all’Eurocamera. A Strasburgo la plenaria ha infatti dato via libera ad un passaggio cruciale, e ancora divisivo in Occidente, del supporto all’Ucraina trovando però le delegazioni italiane in larga parte contrarie. Forza Italia, Fdi, Lega, Pd, M5S, Verdi e Sinistra, pur con numerosi distinguo, hanno votato contro il paragrafo 8 della risoluzione, relativo proprio all’uso delle armi contro obiettivi in Russia. Un voto, quello degli europarlamentari, in linea con la posizione del governo, tanto che è stato lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani ad anticiparlo in mattinata. Sul testo finale di sostegno più generale all’Ucraina invece le delegazioni italiane si sono nettamente spaccate: i dem, gli azzurri e i meloniani si sono espressi a favore; mentre Lega, pentastellati e Verdi hanno nuovamente votato contro.

In attesa dei sì dei singoli Paesi, l’Eurocamera sul dossier ha fatto da avanguardia. Il paragrafo 8 della risoluzione “invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull’uso delle armi occidentali consegnate all’Ucraina contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo”. Ed è su questo paragrafo che gli eurodeputati italiani hanno votato in dissenso dalla maggioranza del Pe, e anche dai loro gruppi di appartenenza. Ma neanche al loro interno le delegazioni sono riuscite a mantenersi compatte. Nel Pd sono emersi tre correnti: Elisabetta Gualmini e Pina Picierno hanno votato a favore del paragrafo 8; dieci eurodeputati, incluso il capodelegazione Nicola Zingaretti, hanno votato contro, in linea con l’indicazione del partito; in 6 invece non hanno votato affatto, incluso Stefano Bonaccini. Giorgio Gori, assente, ha fatto sapere che avrebbe votato sì. Anche in Fi c’è stato dissenso: Giusi Princi e Massimiliano Salini, a dispetto del resto del gruppo, si sono espressi a favore dell’uso delle armi in territorio russo. Sul tema sia il Pd sia Fi hanno votato in dissenso dai loro gruppi di appartenenza, Ppe e socialisti.

Tanto che, alla fine il paragrafo 8 è passato con 377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti, ed è stato votato perfino da una truppa di The Left, inclusa Carola Rackete. Contrari i Patrioti mentre Ecr si è spaccata: i meloniani contrari, i polacchi del Pis a favore. Sul testo finale della risoluzione (che comprendeva anche l’articolo 8 ma manifestava nel complesso un sostegno più generale all’Ucraina) gli italiani sono invece tornati nei ranghi della maggioranza. Il Pd – con l’eccezione degli astenuti Cecilia Strada e Marco Tarquinio – Fi e Fdi hanno votato a favore del testo. Lega, M5s e Verdi hanno invece mantenuto una posizione fortemente anti-atlantista, votando contro. La risoluzione ha incassato 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni, provocando l’ira di Mosca. “Ciò che chiede il Parlamento europeo conduce verso una guerra mondiale con armi nucleari”, ha avvertito il presidente della Duma russa, Viaceslav Volodin. Il sì alla nuova risoluzione sull’Ucraina era particolarmente atteso a Strasburgo ed è giunto alla vigilia del primo viaggio da presidente rieletta di Ursula von der Leyen a Kiev. Un incontro importante, nel quale si parlerà anche del supporto dell’Ue alle infrastrutture energetiche ucraine.

“Metà di queste è andata distrutta”, hanno spiegato a Bruxelles von der Leyen e Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia. Il tema dell’utilizzo della armi ucraine in Russia è da settimane al centro del dibattito in Europa. Il 29 agosto scorso, al Consiglio Affari Esteri, Josep Borrell aveva tentato di arrivare ad un via libera comune dei 27, trovando tuttavia perplessità e opposizione di alcuni Paesi membri, a cominciare da Germania e Italia. Gran parte delle cancellerie, Roma inclusa, manifestarono invece l’opportunità di trattare il tema a livello bilaterale con l’Ucraina. Una decisione comune, in quella riunione, non sarebbe stata comunque possibile trattandosi di un Consiglio Affari Esteri informale. Ma il tema, presto, tornerà sui tavoli europei. E sul punto Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen sono distanti.

 

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