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Gli “sminatori” del M5s a lavoro, ma la via della pace tra Conte e Grillo è stretta e difficile

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Un insieme intricato e molto dettagliato di regole, principi e codicilli. E’ la matassa che i sette “sminatori” del Movimento 5 stelle cercano di districare, per tenere insieme il garante Beppe Grillo e il nuovo leader Giuseppe Conte. Si riuniscono via Zoom anche in questa domenica d’estate, mentre tra i pentastellati si fa silenzio. Non dire nulla, e’ una delle condizioni per non rischiare di far saltare subito tutto: “Grande determinazione” e “massima attenzione”, e’ tutto quel che filtra. Perche’, come dice a meta’ pomeriggio uno dei sette componenti del comitato di mediazione, “il materiale e’ complesso”, fare sintesi “non e’ cosa da poco”. La via per scongiurare la scissione e’ scivolosa: va elaborata una soluzione che possa andare bene a entrambi, poi bisogna ottenere il loro via libera e infine indire la votazione tra gli iscritti. In poco tempo, anche perche’ bisogna arrivare preparati a settembre per la presentazione delle liste e la campagna per le amministrative. Luigi Di Maio, Roberto Fico, Vito Crimi, Stefano Patuanelli, Davide Crippa, Ettore Licheri, Tiziana Beghin: ai sette rappresentanti delle diverse anime del Movimento sono affidati i suoi destini. Il mandato e’ elaborare la nuova struttura di regole, tra statuto, carta dei valori, codice etico. Nella sostanza tutto ruota intorno a come mantenere le prerogative del garante Grillo, senza che Conte si senta imbrigliato in una diarchia che ne dimezza il ruolo. Ad alcune prerogative l’ex premier aveva gia’ aperto, a partire dalla possibilita’ di proporre una votazione per sfiduciare il capo politico (o presidente) di turno. Ma il fondatore vuole mantenere competenze anche sulla comunicazione o la rappresentanza all’estero del Movimento. Una ipotesi potrebbe definire le materie e i casi specifici in cui il garante puo’ indire votazioni tra gli iscritti, che diverrebbero vincolanti. In piu’, c’e’ la decisone su quali organi affiancare al futuro capo politico (Conte aveva ipotizzato due vice e una segreteria) e a chi farli scegliere. Anche per non scontentare e far sentire emarginati parlamentari e iscritti al Movimento, che in ultima istanza dovranno approvare le nuove regole. Anche sui temi in discussione i sette fanno calare un “silenzio tombale” (cosi’ lo definisce uno di loro). Nelle fila parlamentari ci si chiede ad esempio se gli “sminatori” faranno una proposta anche sul tema piu’ esplosivo per deputati e senatori, ovvero la regola del tetto dei due mandati: la scelta di Grillo di allargare la mediazione anche al codice etico, che include quella regola finora inscalfibile, sembra indicare un mandato ad affrontarla. La priorita’ comunque in queste ore e’ rendere possibile far fare al garante e all’ex premier quel “passo indietro” sui rispettivi poteri, che scongiuri la rottura tra contiani e grillini che fino a venerdi’ sembrava inevitabile. Le difficolta’ sono evidenti a tutti, tanto che la consegna del silenzio viene rispettata come non mai. Tra le poche eccezioni, c’e’ una lettera firmata da oltre 100 tra attivisti e consiglieri comunali e regionali M5s consegnata a Grillo, per chiedergli di non mediare, di non snaturare il Movimento delle origini, di difenderne i “valori fondanti” dagli “usurpatori” e da chi vorrebbe “fregare” gli iscritti con decisioni imposte dall’alto, che farebbero “deragliare il sogno”. Contatti informali tra i sette, Grillo e Conte dovrebbero esserci anche in corso d’opera, per avvicinare le posizioni, di dettaglio in dettaglio. Entro al massimo una settimana – ma forse anche prima – e’ attesa la fumata bianca (o nera). L’ex premier l’ha detto chiaro: accettera’ di prendere la guida di un rinnovato Movimento solo se ci sara’ separazione netta di ruoli rispetto al fondatore, per evitare continue ingerenze, anche su temi a lui cari come la politica estera (il “caso” Cina e’ ben presente a tutti). Se quell’intesa su cui Di Maio e Fico hanno con forza scommesso (e su cui si mostrano ottimisti) non sara’ trovata, ripartira’ da un lato la scelta dei nuovi vertici pentastellati, con la votazione indetta da Grillo, dall’altro la scissione dei gruppi e la nascita del nuovo partito contiano. Anche Piero Benassi, oggi ambasciatore a Bruxelles dopo aver affiancato Conte a Palazzo Chigi, starebbe lavorando alla nuova creatura, denuncia da Iv Michele Anzaldi chiedendo chiarimenti su ipotesi di stampa. Ma la Farnesina smentisce: “Ricostruzioni fantasiose”.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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