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Oggi è la giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in Italia la celebriamo “esibendo” in tv e sui giornali bambini

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Oggi è la giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Detta così sembra una cosa seria. Parlare di diritti dell’infanzia in Italia sembra quasi una banalità. Molti di noi pensiamo che in fondo, tutto considerato, i nostri bambini vivono bene, sono circondati da amore, affetto, cibo, istruzione. E magari pensiamo a quelle immagini terribili che arrivano dalla Repubblica Centrafricana, dal Botswana, da tutti quei Paesi dell’Africa subasahariana dove ci sono milioni di persone che muoiono di fame, carestia, inedia, malattie anche stupide che da noi si curano con l’aspirina. Muoiono in guerra, perché sono i primi ad essere uccisi nei conflitti bellici. Sono quelli che muoiono prima nella fuga dalle guerre. E spesso sono passati per le armi e mandati al fronte anche a 10 anni o di meno. E vengono uccisi per primi

Ogni giorno, nel mondo, 7.000 bambini sotto i cinque anni muoiono per cause legate alla malnutrizione. Voglio essere cinico, farvi “vedere” con le parole quello che dico: muoiono cinque bambini al minuto. Il dato allarmante è contenuto in un rapporto di Save the Children che ha anche lanciato una campagna globale dal titolo “Fino all’ultimo bambino” con l’obiettivo di tutelare minori che, in Paesi colpiti da carestie e siccità, afflitti dalla povertà estrema o dilaniati da guerre e conflitti, continuano a essere privati di cibo adeguato, acqua pulita e cure mediche e perdono irrimediabilmente l’infanzia alla quale hanno diritto.

E come dicevo in Italia non va benissimo come qualcuno di noi è portato a credere. L’Istituto di statistica (l’Istat, dunque non chiacchiere giornalistiche per sentito dire) definisce i contorni del fenomeno povertà assoluta delle famiglie italiane e quest’anno, nel 2018 (non nel dopoguerra, ora), ci dice che nel Belpaese di Bengodi (l’Italia) ci sono 1 milione e 778mila famiglie in povertà assoluta. Che vuol dire? Che non ce la fanno manco a comprarsi cibo a sufficienza per vivere. Dentro queste famiglie vivono 5 milioni e 58 mila individui  “poveri assoluti”. Per essere ancora più chiari, l’Istat intende per poveri assoluti coloro che non possono affrontare la spesa mensile sufficiente ad acquistare beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile. Di questo oltre 5 milioni di poveri assoluti, 1 milione 208mila sono minori. Sono bambini. Poi c’è il capitolo dello sfruttamento dei bambini sul lavoro, quello abominevole dello sfruttamento sessuale e altre forme di sfruttamento. I bambini hanno (non ho scritto avrebbero ma “hanno”) diritto all’infanzia, ad essere protetti da tutto e da tutti. Se necessario anche da genitori e tutori che li “esibiscono”. Capita spesso, purtroppo, che qualcuno poco accorto, poco attento, poco sensibile, non sto dicendo in malafede, usi un bambino per porre al centro dell’attenzione un argomento, un fatto. Non si può. Non si deve fare. È sbagliato.   

pc

 

Quello che leggete di seguito è l’appello di una delle tante associazione che per fortuna si occupano dei diritti dell’infanzia.

L’Associazione 21 luglio lancia un appello per la Giornata per i diritti dell’infanzia

Il 20 novembre, in tutto il mondo, viene celebrata la Giornata Internazionale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che ricorda la data in cui la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia venne approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 20 novembre 1989.

In Italia, malgrado i diritti di bambini e adolescenti risultano gravemente compromessi, l’attenzione delle istituzioni resta ogni anno molto bassa e sempre più sporadiche sono le iniziative organizzate per dare risalto ad una commemorazione che ricorda la centralità dei diritti che riguardano l’infanzia. Tutto ciò malgrado nel nostro Paese si contino 1,2 di minori che vivono in condizione di povertà assoluta e quasi il doppio in povertà relativa. La maggiore condizione di disagio socio-economico si registra soprattutto nelle aree periferiche delle metropoli, dove la punta dell’iceberg si riscontra negli insediamenti formali e informali abitati in prevalenza da famiglie di origine rom composte da numerosi minori.

Oggi, in Italia, vivere in una baraccopoli significa per circa 14mila minori rom trovarsi dalla nascita davanti a un percorso, i cui ostacoli sono rappresentati da condizioni economiche spesso critiche, ambiente degradato, segregazione abitativa caratterizzata da una lontananza non solo fisica, ma anche relazionale dal centro urbano, diseguaglianza educativa. La marginalizzazione di un bambino rom, che in Italia vive all’interno di un insediamento, non riguarda dunque solo il versante economico, ma anche territoriale, urbanistico, scolastico, sociale, culturale, abitativo ed etnico. Circa 8.000 minori vivono in insediamenti formali, progettati, realizzati e gestiti dalle istituzioni. Altri 6.000, invece, conducono la loro esistenza in insediamenti informali, costituiti da baracche, tende, giacigli di fortuna.

“Sembra incredibile, eppure nell’Italia del 2018, ancora è possibile registrare forme di esplicito ‘apartheid’ che colpiscono l’infanzia rom – afferma Carlo Stasolla – Nei centri dove insistono i più grandi insediamenti, soprattutto nelle città di Torino, Roma e Napoli, ma anche in aree del Sud Italia, non si investe per ridare dignità e speranza ai ‘figli delle baraccopoli’, per combattere le diseguaglianze, per dare sostegno alle pochissime realtà che ancora si impegnano nell’offrire opportunità educative. Neanche nella Giornata per i diritti dell’infanzia ci si ricorda di loro!”.

Il bambino rom in emergenza abitativa è infatti il più delle volte oggetto di una amnesia istituzionale. Spesso ci si ricorda di lui solo quando si apre una procedura giudiziaria. Si scopre allora dell’esistenza di bambini che ‘scompaiono’ dai campi rom per riapparire nei fascicoli dei Tribunali per i minorenni. In Italia esiste una ‘statistica nascosta’ che solo due ricerche curate nel passato hanno parzialmente portato alla luce. Dai dati emersi da un rapporto elaborato dalla ricercatrice Carlotta Saletti Salza nel 2010, in Italia un minore rom avrebbe 17 probabilità in più di essere dichiarato adottabile rispetto a un minore non rom. Uno studio successivo, realizzato da Associazione 21 luglio nel 2013, nella Regione Lazio un minore rom in emergenza abitativa, rispetto ad un suo coetaneo non rom, ha circa 60 possibilità in più di essere segnalato alla Procura della Repubblica presso il tribunale per i Minorenni; circa 50 possibilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità e quasi 40 possibilità in più di essere dichiarato effettivamente adottabile.

Associazione 21 luglio rileva come numerosi amministratori locali – facendo propria un’idea diffusa – davanti alle problematiche registrate dalla presenza di un insediamento rom, gettano la spugna, facendo prevalere l’approccio di un mondo adulto ritenuto al di fuori della possibilità di un’inclusione sociale e di un’infanzia da ‘salvare’ attraverso processi rieducativi che passino per la via privilegiata dell’affido e dell’adozione. Non è un caso che tale approccio lo si ritrovi nel “Contratto per il governo del cambiamento” sottoscritto nei mesi scorsi da due vice premier. Nel capitolo che riguarda i rom è infatti sottolineato, per i soli rom, “l’obbligo di frequenza scolastica dei minori pena l’allontanamento dalla famiglia o perdita della responsabilità potestà genitoriale”.

Nella Giornata Internazionale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Associazione 21 luglio vuole pertanto porre al centro il fenomeno diffuso e poco conosciuto dell’allontanamento dei minori rom dalle loro famiglie, attraverso l’organizzazione del Convegno Fuori famiglia, che si svolgerà il 20 novembre alle 15.00 presso la Sala Nilde Iotti della Camera. Obiettivo del Convegno sarà quello di operare un approfondimento sul percorso che allontana i bambini rom dalle loro famiglie attraverso il contributo di esperti e professionisti del settore.

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Enti formazione come bancomat, arrestato ex senatore Pd

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Enti di formazione usati come stipendifici per remunerare avversari politici da portare dalla propria parte o divenuti bancomat a cui attingere per spese proprie; un uso spregiudicato del soldi europei incassati in violazione di ogni regola; progetti sociali finanziati e mai realizzati: c’è il mondo della formazione professionale siciliana, non nuovo a scandali e inchieste, nell’ultima indagine della Procura di Marsala e di quella europea che oggi ha portato all’emissione di 14 misure cautelari. Una operazione nata da accertamenti su tre enti marsalesi che facevano capo all’ex senatore del Pd Antonio Papania, già finito sotto inchiesta per voto di scambio a settembre scorso e da allora detenuto. Al politico, che nel 2020 ha fondato un suo movimento dal nome pretenzioso di Valore, Impegno e Azione, questa mattina la Guardia di Finanza ha notificato in carcere una misura cautelare di arresti domiciliari.

Per gli inquirenti, con la complicità di esponenti del suo movimento e politici locali, aveva costituito una sorte di lobby di potere costantemente impegnata a esaudire desideri privati e cortesie, sfruttate poi per chiedere voti e controprestazioni varie in occasione di tornate elettorali. Per far cambiare casacca agli avversari e cooptarli al Movimento l’ex senatore prometteva o assicurava loro e a loro familiari incarichi negli enti di formazione o posti di lavoro.

“La pratica del trasformismo politico – scrivono i magistrati – sarebbe lecita, atteso che l’eletto non deve rendere conto al partito che lo ha candidato o all’elettore che lo ha votato, ma non, come emerge dalle indagini, quando detto cambio di casacca sottenda illecite promesse o percezioni di utilità”. Figli, nipoti e parenti di alcuni consiglieri comunali avrebbero beneficiato dei favori dell’ex senatore e dei suoi, alcuni riuscendo ad avere incarichi senza possederne i requisiti. Ma a sanare la situazione, dicono gli investigatori, ci avrebbe pensato l’organizzazione criminale pronta a preparare falsi curricula.

L’inchiesta ha svelato anche un uso improprio dei fondi europei incassati dai tre enti di formazione – Cesifop (Centro Siciliano per la formazione professionale), Ires (Istituto di studi e ricerche economiche e sociali) e Associazione Ta i- che, per problemi debitori gravissimi non avrebbero neppure potuto essere accreditati per i finanziamenti Ue e tantomeno avrebbero potuto ottenere dal Programma Operativo Fondo Sociale Europeo 2014/2020 oltre 8,7 milioni di euro da destinare allo svolgimento di corsi di formazione e di progetti in ambito sociale molti dei quali mai tenuti. Del fiume di denaro pubblico su cui la lobby aveva messo le mani 800mila euro erano stati già incassati e impiegati per spese voluttuarie personali o connesse a iniziative di sostegno del movimento di Papania.

Ulteriori 2,5 milioni sarebbero stati a breve erogati. Le Fiamme Gialle hanno proceduto al sequestro di circa un milione, pari alle somme malversate o riciclate e al sequestro preventivo dei circa 8 milioni di euro residui già finanziati. Gli indagati al momento sono 24 e rispondono, a vario titolo, di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione, malversazione e riciclaggio. Nell’inchiesta sono coinvolti anche sei esponenti politici che rivestono o hanno rivestito cariche presso i Comuni di Marsala, Buseto Palizzolo, Calatafimi-Segesta, Castellammare del Golfo ed Erice.

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Ladro ucciso a forbiciate per un pugno di Gratta e vinci

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Nelle sue intenzioni doveva un ‘colpo facile’: l’arrivo in sella a uno scooter rubato, il buio delle 5 del mattino, la serranda divelta con un cric o un piede di porco, il blitz nel bar per arraffare quanto c’era in cassa e delle risme di Gratta e vinci, ben visibili sul bancone. E invece per Eros Di Ronza, 37enne sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria con vari precedenti penali per resistenza e rapina, è andata nel peggiore dei modi: ucciso a forbiciate Tre figli e una vita ai margini da piccolo pregiudicato, Di Ronza è morto davanti a un bar di viale Giovanni da Cermenate, alla periferia sud di Milano, per mano di due cittadini di origine cinese, un trentenne e un 48enne, nipote e marito della titolare del bar, che abitano nello stesso stabile del locale.

Sono stati svegliati dall’allarme e sono scesi per strada, con delle forbici in mano, per affrontare il ladro. Anzi i ladri. Di Ronza era infatti con un complice che faceva da ‘palo’, un 48enne pregiudicato anche lui, che è stato trovato nel pomeriggio dagli investigatori nella sua casa di via Tibaldi e denunciato per tentato furto. L’uomo era riuscito a divincolarsi dai due cinesi che erano scesi di casa ed era fuggito. Non è andata così invece per il 37enne, che è stato colpito da una forbiciata al torace, la prima volta mentre ancora era sotto la serranda divelta. Poi è’ stato inseguito per alcuni metri e colpito almeno 20 volte con le forbici fino a stramazzare a terra, agonizzante.

Quando sono arrivati i soccorsi del 118, chiamati dal più giovane dei due cinesi, per l’uomo non c’era più nulla da fare. Accanto al corpo una striscia di sangue lunga alcuni metri e una risma di gratta e vinci insanguinati. Di Ronza è stato colpito anche quando era a terra, finito con le ultime forbiciate. E per questo non è stato possibile ipotizzare alcuna ipotesi di legittima difesa: quello del 37enne, stando alle prime indagini, è un omicidio volontario. Gli agenti dell’Ufficio prevenzione generale della Polizia non hanno impiegato molto per capire ciò che era successo e la stessa telefonata del 30enne al 118 era una confessione. Confermata dalle immagini delle telecamere che hanno ripreso le fasi del dramma, con gli abitanti della zona svegliati dalle urla della vittima e dei suoi aggressori e dalle sirene di ambulanze e Polizia. Davanti al pm di turno Maura Ripamonti che voleva avere la loro versione dei fatti, i due uomini sono rimasti in silenzio davanti al pm. Il magistrato chiederà domani la convalida del loro arresto e la custodia cautelare in carcere. La giustizia però è già stata fatta sui social, in pochi minuti di processo sommario e senza appello: ma al morto.

“La prossima volta eviti di rubare e vai a lavorare delinquente…Non ci mancherai”, “A vedere il profilo e il tipo di persona, era inevitabile che facevi sta fine prima o poi, ben ti sta…, “Io sto con il cinese”, “un delinquente in meno”. C’è anche chi prova a mostrare un po’ di umanità: “Gioire per la morte di un ragazzo è qualcosa di raccapricciante. Si, ha rubato, si avrà avuto problemi con la giustizia ma è stato ucciso e fino a prova contraria non era armato, stava cercando di scappare. Qui siamo tutti bravi a giudicare, dietro la tastiera! Che tristezza, profonda!”.

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L’inchiesta sugli ultrà, fermato il ‘vice’ di Luca Lucci

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È arrivata ad individuare anche i presunti responsabili di un tentato omicidio del 2019, avvenuto in pieno centro a Milano, l’inchiesta della Procura che più di due settimane fa, con un maxi blitz di polizia e guardia di finanza, ha portato a 19 arresti tra vertici e sodali ultrà milanisti e interisti. Indagine che con un nuovo fermo, eseguito dalla squadra mobile, ha portato alla luce una sfilza di aggressioni degli ultimi anni nell’ambito di “uno scontro per il controllo della Curva Sud” del Milan. Ed è proprio in questo contesto, e nella volontà di “supremazia” conquistata dal 2016 da Luca Lucci, leader degli ultras rossoneri, che sarebbe maturato l’agguato di via Cadore, zona Porta Romana, del 12 aprile di cinque anni fa. Enzo Anghinelli, 51 anni, pure lui ultrà della Sud e coinvolto in procedimenti di droga, venne avvicinato da uno scooter quando era fermo in auto al semaforo. A bordo due persone che gli spararono contro più colpi, almeno due lo presero in faccia. Si salvò per miracolo, dopo essere finito in coma e dopo più interventi chirurgici.

Come risulta dal decreto di fermo firmato dai pm Paolo Storari, Sara Ombra e Leonardo Lesti, che hanno indagato anche su questo “cold case”, uno dei due che avrebbero avuto l’incarico di ammazzare Anghinelli sarebbe stato Daniele Cataldo, 52 anni, da stamani in carcere (sarà interrogato dal gip Domenico Santoro domani), ossia il “vice” di Lucci “con cui decide – scrivono gli inquirenti – le strategia delittuose”. Indagato per concorso, sospettato di essere il mandante, è proprio Lucci, già in carcere per l’inchiesta “doppia curva”, da cui sono emersi anche i suoi rapporti stretti di amicizia con Fedez (non indagato).

Quel tentato omicidio, per i pm, rientrerebbe in una serie di “atti violenti” riconducibili alla Sud guidata da Lucci. Quest’ultimo, Cataldo e altre 8 persone, tra cui Christian Rosiello (noto pure come bodyguard del rapper di Rozzano) sono accusati di associazione per delinquere per un lungo elenco di “azioni punitive”. E il movente del tentativo di far fuori Anghinelli starebbe in quei contrasti – una “guerra” – con un altro gruppo di ultrà milanisti, i Black Devil, capeggiati da Domenico Vottari, a cui era legato Anghinelli. Il “progetto finale”, scrivono i pm, e a cui reagì il capo della Sud chiedendo anche l’aiuto della ‘ndrangheta dei Barbaro-Papalia, “poteva essere quello di spodestare Lucci” e “proporre in Curva nuovi gruppi egemoni”, i Black Devil e i Commandos Tigre.

Tra le prove a carico di Cataldo, oltre a immagini di videosorveglianza e altri approfondimenti tecnici, ci sono le confidenze “confessorie” fatte alla moglie, in cui le spiegava che Anghinelli, sentito dagli investigatori, “mi ha accusato”, così diceva intercettato, per “quello che abbiamo fatto”. Parole alle quali lei reagiva dicendo che prima o poi “vi farà arrestare tutti quanti”. Anghinelli, tra il 2018 e il 2019, così come il suo avvocato (c’era “astio” tra lui, che apparteneva ai Commandos, e Lucci), fu vittima più volte di pestaggi e violenze e pure lo scorso luglio, dopo aver provato ad entrare “in pace” nel negozio di tatuaggi di Lucci, venne preso a “pugni alla testa”. Come ha messo a verbale, gli dissero “sei un morto che cammina”. Agli atti, poi, la fuga di Giancarlo Lombardi, detto “Sandokan” ed ex capo storico della Sud, facendosi “scudo” coi buttafuori in una discoteca, lo scorso gennaio.

A Cataldo che lo inseguiva, secondo i pm, sarebbe caduta una pistola (“in mezzo le gambe, mi è partito è andato finire sotto il sedile”, diceva intercettato). Intanto, è stato sentito come teste nell’inchiesta principale anche il centrocampista dell’Inter Hakan Calhanoglu. Ha confermato che, nonostante le raccomandazioni della dirigenza di evitare contatti con gli ultrà, avrebbe avuto incontri, ma mai a cena, con Marco Ferdico e Antonio Bellocco (‘ndranghetista ucciso un mese e mezzo fa) anche per ricambiare attestati di solidarietà ricevuti all’epoca del terremoto nel suo Paese del 2023.

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