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Salute

Qualità della vita, ognuno dà i suoi numeri e le sue classifiche. A “Italia Oggi” Bolzano al top, Vibo Valentia in coda

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Bolzano è la provincia dove si vive meglio in Italia, seguita da Trento e Belluno. Balzo indietro della capitale: Roma retrocede di 18 ( posizioni. Male anche Venezia. Stabili Napoli (in terzultima posizione) e Palermo (al 106 posto). Fanalino di coda Vibo Valentia. Insomma la provincia altoatesina, come era stato nel 2017, si conferma luogo del miglior vivere. Si evince dall’indagine sulla Qualitàdella vita nelle province italiane realizzata da Italia Oggi (oggi in edicola) con l’Università La Sapienza di Roma, giunta alla 20esima edizione. La ricerca fotografa modelli virtuosi, criticità e cambiamenti in atto nelle province e nelle principali aree del Paese. Sono nove le “griglie” dell’analisi: affari e lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale e personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo libero e tenore di vita, con 21 sotto dimensioni e 84 indicatori di base. Dalla quarta alla decima posizione si trovano tutte città che hanno recuperato rispetto all’anno scorso, salvo una, Treviso, che è passata dalla sesta alla nona posizione. Al quarto posto Siena, che ha recuperato sette posizioni (era undicesima), seguita da Pordenone, che passa dalla nona alla quinta, e da Parma, che ha guadagnato una posizione rispetto al 2017 (era settima). In forte ascesa Aosta e Sondrio, rispettivamente al 7/o e 8/o posto, partendo dal 18/o e dal 16/o della passata edizione.

Decima Cuneo, che ha guadagnato tre posizioni. Il 2018 è l’anno delle conferme, sia di alcune performance sia di alcune tendenze emerse nelle precedenti indagini: dallo sfumare del contrasto Nord-Sud in termini di buona qualita’ di vita legata al benessere economico, all’acuirsi del divario fra piccoli centri (in cui si vive meglio) e grandi centri urbani, in cui la vita è invece sempre un po’ più difficoltosa. Fenomeno testimoniato, fra l’altro, dal brusco scivolone della capitale, scesa dal 67/o all’85/o posto della classifica. Elevato il calo anche a Bari (dal 96/o al 103/o posto) e a Firenze (dal 37/o al 54/o posto). Tendenzialmente, comunque, nei capoluoghi di regione la qualita’ della vita e’ aumentata, salvo che in sette citta’. Oltre che a Bari e a Firenze, a Catanzaro (dal 92/o al 95/o posto), all’Aquila (dal 68/o al 72/o), a Potenza, che ha perso 20 posizioni (ora è 64esima), arretramento simile a Venezia (al 62/o dal 41/o posto). Di Roma – scesa dal numero 67 all’85 – si e’ gia’ detto, Torino ha perso una posizione, ed e’ 78esima. Stabile invece la qualità della vita a Napoli (108) e a Palermo (106), che si mantengono sui medesimi livelli del 2017. Come si vive in Italia? Nell’insieme, un po’ meglio: nel 2018 sono infatti 59 su 110 le province in cui la qualità della vita è risultata buona o accettabile, rispetto alle 56 del 2016 e del 2017: si tratta del migliore dato registrato negli ultimi cinque anni.

Stabile la situazione del Nord Ovest e del Mezzogiorno, in netto miglioramento quella del Nord Est e del Centro (Roma a parte). Le migliori performance sono delle piccole città: ottime le posizioni di Siena, Pordenone, Parma, Aosta, Sondrio, Treviso e Cuneo. Treviso, in particolare, risulta la provincia piu’ sicura d’Italia. Trento, Bolzano e Bologna le realta’ piu’ positive per affari e lavoro. Parma, Siena, Trento e Piacenza quelle con la migliore offerta finanziaria e scolastica; Isernia, Pisa, Ancona, Siena e Milano quelle con il più efficiente ‘sistema salute’. Maglia nera alla calabrese Vibo Valentia, in coda alla classifica in compagnia di Catania, Napoli, Siracusa e Palermo: cinque province ricche di bellezze architettoniche e naturali che tuttavia non riescono a fare il ‘salto di qualità’.

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Economia

Con farmaci no brand 6 miliardi di risparmi alla sanità dal 2012

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Grazie ai farmaci senza brevetto il Servizio Sanitario nazionale ha risparmiato oltre 6 miliardi in 12 anni. Solo per i farmaci di classe A, ovvero quelli interamente rimborsati, ipotizzando che tutte le confezioni di equivalenti dispensate nel 2023 fossero state vendute ai prezzi dei brand, la spesa farmaceutica sarebbe aumentata di 460 milioni di euro. E dal 2012 ad oggi la cifra avrebbe raggiunto i 6,25 miliardi. Il ruolo dei farmaci equivalenti per la sanità pubblica emerge dall’Osservatorio Nomisma 2024 sul “Sistema dei farmaci equivalenti in Italia” presentato a Roma, in un evento che ha visto la partecipazione delle istituzioni, dell’industria e degli operatori del mondo sanitario. Il rapporto mette in guardia dal rischio di ‘take for granted’, ovvero di dare per scontato questo comparto, che è oggi in sofferenza per l’impennata dei costi di produzione e gli oneri che pesano sulle imprese che producono i cosiddetti ‘generici’.

“Il quadro è più allarmante rispetto al passato – ha spiegato Lucio Poma, chief economist di Nomisma (nella foto Imagoeconomica in evidenza) – . Ci siamo chiesti cosa accadrebbe se i medicinali fuori brevetto scomparissero del tutto. La questione chiave è che gli equivalenti rappresentano un pilastro insostituibile del servizio sanitario del Paese, i cui benefici sono però sottostimati o ignorati”. E un indebolimento del sistema, ha proseguito Poma, “si tradurrebbe nell’aumento esponenziale del fenomeno delle carenze di farmaci, nella mancata accessibilità ai medicinali da parte delle classi meno abbienti e nell’impossibilità di sostenere le cure di alcune malattie croniche”. Per le aziende la prima vera sfida è quella della sostenibilità industriale. “In quest’ottica – ha commentato il presidente di Egualia, Stefano Collatina – è indispensabile che venga ripreso il confronto sulla governance farmaceutica, che è prioritaria e chiediamo che in questo ragionamento sia considerata centrale la sostenibilità di tutti i farmaci a basso costo di uso consolidato”.

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Da inizio anno 17 epidemie potenzialmente pericolose

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Dal virus di Marburg al vaiolo delle scimmie, dall’influenza aviaria alla dengue, nel 2024 si sono già verificati 17 focolai di epidemie pericolose, che ci ricordano “la vulnerabilità del mondo alle pandemie”. Lo scrive l’Organizzazione mondiale della Sanità in un rapporto presentato al Summit mondiale della Salute a Berlino. Mentre il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus punta il dito contro la disinformazione: “durante la pandemia di Covid-19 le falsità su mascherine, vaccini e lockdown si sono diffuse rapidamente quanto il virus e sono state quasi altrettanto mortali”. E ora stanno “rallentando l’adesione al nuovo Piano pandemico dell’Oms”. Il rapporto, realizzato del Global Preparedness Monitoring Board, delinea 15 fattori chiave del rischio di pandemia, classificati in cinque gruppi: sociale, tecnologico, ambientale, economico e politico.

Un grande ruolo lo svolge la crescente probabilità di contagio tra esseri umani in un mondo sempre più interconnesso: basti pensare che nel 2023 sono stati registrati 36,8 milioni di voli aerei, con oltre quattro miliardi di passeggeri. Questo fattore, unito al surriscaldamento globale, ha facilitato la diffusione di malattie come la dengue o il virus Zika, trasmesse dalle zanzare Aedes aegypti, anche alle nostre latitudini, come dimostra il recente focolaio a Fano, nelle Marche, e i casi di infezione da virus del Nilo occidentale segnalati da 14 paesi europei, inclusa l’Italia. Tra le principali minacce identificate dall’Oms, la mancanza di fiducia negli operatori sanitari, che ha pesato molto nella diffusione del virus Ebola in Africa occidentale. Ma anche l’aumentare degli allevamenti intensivi, che favoriscono il diffondersi di patogeni come quello dell’aviaria H5n1, che ha fatto il salto di specie dagli uccelli alle mucche ed è stato individuato anche in alcuni casi nell’uomo. Mentre a maggio un’epidemia di tubercolosi ha portato a un’emergenza sanitaria a Long Beach, California. Una minaccia sono poi i conflitti violenti, “che registrano il livello più critico dalla fine della seconda guerra mondiale”: “colpiscono circa 2 miliardi di persone, con oltre 117 milioni di sfollati dalle loro case nel 2023” e hanno un impatto diretto sulla diffusione di malattie infettive.

Lo dimostrano i casi di poliomielite a Gaza e l’epidemia di mpox, o vaiolo delle scimmie, in Congo, di cui nel 2024, sono stati segnalati in Africa oltre 34.000 casi, ma anche 1.046 casi nell’Unione Europea. A pesare è poi la diffusione di fakenews che, ha sottolineato il direttore generale dell’Oms, “ha contribuito alla sfiducia nei vaccini” e oggi continua a minare i negoziati sull’Accordo Pandemico messo a punto dall’Oms che i governi stanno sottoscrivendo. “Media, celebrità, influencer e politici – ha detto Ghebreyesus – hanno diffuso false affermazioni secondo cui l’accordo farà cedere parte della sovranità nazionale all’Oms. Queste affermazioni sono del tutto false”. Il piano punta invece a “garantire che i servizi sanitari essenziali siano disponibili per tutti”, in particolare per le fasce le più svantaggiate, e “garantire che i piani di risposta alle pandemie siano regolarmente rivisti e flessibili”. Prerequisito a tutto questo, però, ha concluso Ghebreyesus, ricordando i conflitti in Ciad, a Gaza e in Ucraina è “la pace, che resta la migliore medicina”.

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Arrivano gli infermieri prescrittori, i medici protestano

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“Prescrizione infermieristica”. Sono bastate queste due parole per far esplodere le polemiche tra medici e infermieri. La scintilla è stata l’annuncio da parte del ministro della Salute dell’istituzione di tre nuovi percorsi di specializzazione per gli infermieri. In questo ambito si concretizzerà la possibilità per l’infermiere di prescrivere alcuni trattamenti assistenziali.

La Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi) esulta: è “una svolta epocale, attesa da anni” che “finalizza un modello di assistenza infermieristica disegnato sulle reali necessità dei cittadini”, afferma in una nota. La notizia, però, non è piaciuta ai medici. “Siamo sconcertati e rammaricati per non essere stati interpellati, così come prevederebbe la legge, a tutela della salute pubblica, su questa delicata materia, che presuppone un passaggio di competenze specialistiche”, ha commentato a caldo il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli (nella foto in evidenza).

A seguire hanno rincarato la dose i sindacati medici Anaao Assomed, Cimo-Fesmed, Fimmg e Sumai: l'”ennesimo blitz perpetuato in spregio a un preliminare confronto con i medici cui, di fatto, sono attribuite inequivocabili prerogative nella diagnosi e terapia”, hanno affermato in una nota congiunta. Il Sindacato Medici Italiani (Smi) ha parlato della misura come di un modo per “traslare competenze mediche verso professioni a più basso costo, che hanno avuto una formazione che è costata di meno”.

Prova a gettare acqua sul fuoco la Fnopi: “La possibilità di prescrizione che viene riconosciuta agli infermieri riguarda presìdi e ausili e tutto quanto legato al processo di assistenza infermieristica”, chiarisce la presidente Fnopi Barbara Mangiacavalli. Dunque, non farmaci.

Nel concreto parliamo, per esempio, di che risposta dare in caso di incontinenza urinaria o di un’ulcera da decubito o di come gestire la sacca per una stomia (l’apertura sull’addome che può essere richiesta da interventi chirurgici). In questi ambiti, gli infermieri rivendicano la possibilità di fare “diagnosi infermieristica, vale a dire la definizione di un bisogno di assistenza infermieristica in capo al paziente”, spiega Mangiacavalli. Un’attività che, in parte, già oggi avviene.

“Negli ambulatori dedicati, sono gli infermieri che si prendono cura delle stomie, individuano il dispositivo più adatto al paziente e poi indicano cosa serve al paziente (e qualcun altro lo scrive)”, illustra con un esempio Mangiacavalli. Lo stesso avviene spesso sul territorio: “In questo caso il referente è il medico di famiglia”, aggiunge.

Si tratterebbe di riconoscere all’infermiere la competenza di comprendere il bisogno e decidere in autonomia in questo ambito, prescrivendo il presidio, come già avviene in molti Paesi europei. In ogni caso, “l’istituzione delle lauree magistrali non è qualcosa che si concretizzerà domani. Ci vorrà almeno un anno e mezzo per arrivare a qualcosa di concreto: tempo utile per trovare equilibri e sinergie”, conclude Mangiacavalli.

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