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Economia

Pil fine 2020 -1,9% ma crescita 2021 già a 2,3%

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Il Pil e’ diminuito a fine 2020, ma il calo e’ stato meno forte del previsto e per l’anno in corso la crescita acquisita lascia gia’ intravvedere un +2,3%. Un contributo favorevole alla dinamica del Prodotto interno lordo italiano nel primo trimestre e’ atteso soprattutto dall’industria, settore che dimostra una certa resilienza e che, pur nelle ultime settimane compromesse dalla pandemia, sta dando segnali di recuperata vitalita’. Non e’ tuttavia tempo di cantar vittoria, come suggerisce il centro studi di Confindustria: rischi e timori di una terza ondata del virus aumentano infatti la generale incertezza. Un segnale che qualcosa torna a muoversi tuttavia potrebbe esser letto nell’andamento dei prezzi che hanno registrato incrementi sia per quelli alla produzione sia per l’inflazione. Sul fronte del Pil l’Istat ha rivisto oggi leggermente al rialzo l’andamento di fine anno: nel quarto trimestre l’Italia ha registrato un calo dell’1,9% contro il -2% prospettato nelle precedenti stime. Una contrazione dell’economia principalmente “effetto delle nuove misure adottate per il contenimento dell’emergenza sanitaria” e conseguenza del calo sia della domanda interna sia di quella estera. Sul piano interno, in particolare, e’ stato fortemente negativo l’apporto dei consumi privati, -1,6 punti, praticamente nullo quello degli investimenti (+0,2%) e lievemente positivo, per 0,3 punti sia quello della spesa della PA, sia quello delle scorte. La spesa delle famiglie ha registrato una diminuzione in termini congiunturali del 4,4%. In particolare, gli acquisti di beni durevoli sono diminuiti del 4,9%, quelli di beni non durevoli del 2%, quelli di servizi del 6,1% e quelli di beni semidurevoli del 2,6%. A fronte di un Pil in rosso, tuttavia Confindustria osserva che “nei primi due mesi del 2021 l’industria italiana conferma la sua resilienza”, con la produzione aumentata dello 0,7% in febbraio su gennaio e una variazione congiunturale acquisita di +1,1%. “E’ necessario, tuttavia, evitare facili ottimismi – avverte il Csc -. Su uno scenario che, ad oggi, nell’industria appare in deciso miglioramento rispetto alla fine del 2020, si proietta infatti l’incertezza legata ai rischi di una terza ondata di diffusione del virus, della quale vi sono i primi segnali nelle statistiche sanitarie”. La convinzione degli industriali e’ quindi che “e’ cruciale” accelerare con i vaccini e fermare i contagi. Sul fronte dei prezzi, intanto, l’inflazione nella zona Ocse e’ cresciuta all’1,5% a gennaio 2021 contro l’1,2% di dicembre 2020. E l’organismo internazionale per lo Sviluppo e la Cooperazione economica precisa che il rialzo e’ stato forte soprattutto in Germania (1% contro -0,3% del periodo precedente), in Francia (0,6% contro 0%) e in Italia (0,4% contro -0,2%).

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Da web tax a taglio Irpef, fronti di modifiche a manovra

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Si scaldano i motori per la legge di bilancio, che lunedì comincerà ufficialmente la sua marcia in Parlamento con l’avvio delle audizioni, e i partiti si attrezzano per modificarla. Non solo, ovviamente, quelli di opposizione. Tra Lega e Forza Italia qualche voce si alza per rilanciare richieste e desiderata che mancano nella manovra e considerati irrinunciabili, o quasi. Un obiettivo che si prospetta arduo da centrare. Infatti, sebbene manchi il ‘diktat a zero emendamenti’ imposto l’anno scorso, né un numero massimo di modifiche ammesse, per ora vale l’appello del governo ai ‘suoi’ affinché la maggioranza sia responsabile, visti i pochi margine economici a disposizione.

Quindi, no a stravolgimenti, sì a eventuali miglioramenti ma solo se ci saranno le coperture finanziarie. Tra i correttivi che stanno più a cuore a FI domina il taglio alle tasse per i ceti medi. I forzisti insistono per abbassare dal 35 a 33% il secondo scaglione Irpef e allargare la platea ai redditi fino a 60mila euro. Pur sapendo che il traguardo è condizionato da quanti soldi incasserà lo Stato dal concordato preventivo, la novità sbandierata da Palazzo Chigi che consente a lavoratori autonomi e partite Iva di regolarizzarsi con il fisco per le tasse pregresse dovute, allentando invece tasse e controlli per i prossimi due anni.

E soprattutto legato all’eventualità di un concordato bis su cui il governo sta ragionando. Non a caso il leader azzurro Antonio Tajani comincia la giornata con un tweet inequivocabile: “Rinviare il concordato fiscale è una scelta di buon senso. Più sono gli incassi più si tagliano le tasse al ceto medio. A cominciare dall’Irpef”. Molto meno pressante il partito della premier Meloni: bene se si aprirà una nuova finestra del concordato – è il ragionamento che circola tra i meloniani – altrimenti le misure sull’Irpef si faranno successivamente, extra manovra. Altro fronte “imprescindibile” per FI è la web tax, affinché siano colpiti i big dell’e-commerce ma salvate le piccole imprese e start up del digitale che, secondo FI, rischiano di essere penalizzate. In particolare al sud, come ha rimarcato più volte Mario Occhiuto, senatore azzurro. P

arallelamente corrono le speranze della Lega di strappare anche quest’anno la rateizzazione dell’acconto Iperf di novembre. Obiettivo è non solo la conferma della misura ma anche l’estensione della platea dei beneficiari fino a un fatturato di 170 mila euro. Una battaglia che in realtà, visti i tempi (va decisa entro fine novembre 2024) dovrebbe ricadere sul decreto fiscale che è in discussione al Senato. Entro il 7 novembre vanno presentati gli emendamenti e Alberto Gusmeroli, che è anche presidente della commissione Attività produttive della Camera, annuncia che la Lega ha già pronto un emendamento ad hoc. Altro tema caro ai leghisti il turnover per le forze dell’ordine: la manovra prevede che, per la pubblica amministrazione si fermi al 75% ma loro puntano a salvare, al 100%, quello per chi indossa la divisa. Sul fronte delle modifiche tace per ora Fratelli d’Italia: fedele alle indicazioni concordate fra Palazzo Chigi e via XX Settembre. considera le sue priorità – rendere strutturale il taglio del cuneo, coprire la rimodulazione Irpef e gli aiuti alle famiglie – già presenti nella legge di bilancio.

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Risparmi, 6mila miliardi nel salvadanaio degli italiani

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Salgono i risparmi degli italiani, che complessivamente mettono insieme un salvadanaio che sfiora i seimila miliardi. Per Unimpresa, che ha elaborato i dati più recenti relativi al primo trimestre del 2024, è la dimostrazione che l’inflazione e la corsa dei prezzi non hanno intaccato la capacità di accumulo delle famiglie. Ma anche se la tendenza a mettere da parte resta identica da decenni, a cambiare, e di molto, sono i comportamenti dei risparmiatori: se fino a qualche anno fa la liquidità e i depositi rappresentavano l’opzione preferita, nel 2024 continua a prevalere un netto ritorno verso strumenti finanziari più redditizi. Gli investimenti in azioni hanno largamente staccato, in termini percentuali, tutte le altre categorie: a marzo 2024, i risparmi in Borsa valevano il 29,1% contro il 27,3% della liquidità e il 19,6% delle polizze assicurative.

Un cambiamento di rotta che riflette una rinnovata fiducia nei mercati, sebbene rimanga forte la preferenza per strumenti a basso rischio e a lungo termine, come polizze assicurative e fondi comuni. Più in generale, emerge un quadro di maggiore diversificazione, soprattutto per proteggersi in un “contesto macroeconomico incerto ma con opportunità di guadagno”. Secondo il rapporto del centro studi dell’associazione, cha ha rielaborato dati statistici della Banca d’Italia, nel primo trimestre del 2024 i risparmi e gli investimenti degli italiani ammontano a 5.732,7 miliardi di euro, ovvero 270,9 miliardi in più dello stesso periodo del 2023.

Se cala la liquidità, cioè i biglietti e i depositi (1.564,2 miliardi, -2,30% rispetto al 2023), aumentano invece gli investimenti in titoli e azioni. I titoli salgono del 52% sul 2023, a 458,9 miliardi, guadagnando ben 157 miliardi. Raddoppiano i titoli a breve termine (33,3 miliardi nel 2024 rispetto ai 15 miliardi del 2023, ovvero +121,52%), di cui 31,3 miliardi di titoli pubblici (+120,94%). E raddoppiano anche gli altri emittenti stranieri (2 miliardi nel 2024 rispetto a 0,9 miliardi del 2023). Minore la crescita dei titoli a medio-lungo termine: 425,6 miliardi contro i 286,9 miliardi del 2023 (+48,36%). I prestiti restano stabili a 9,3 miliardi. Le azioni ammontano a 1.666,2 miliardi nel 2024, in aumento del 2,40% dall’anno scorso.

Tra queste, le azioni di imprese e banche italiane salgono a 1.541 miliardi (+1,97%), e quelle di emittenti stranieri a 125,2 miliardi (+8,02%). I derivati e le stock option crescono a 9 miliardi (+15,49%), i fondi comuni a 740,5 miliardi (+6,95%). Guadagnano terreno anche le polizze assicurative che toccano i 1.122,9 miliardi (+3,69%). Per il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, i dati sul risparmio e sugli investimenti degli italiani dimostrano come “la ricchezza privata rappresenti una componente fondamentale per l’economia del Paese”. Il risparmio può essere il vero motore della stabilità e dello sviluppo, ma deve avere la giusta attenzione dalle politiche pubbliche, soprattutto sul fronte del fisco: “E’ necessario intervenire sulla struttura fiscale che grava su questi asset, differenziando tra investimenti di natura speculativa e quelli di lungo termine”, spiega.

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Nuove imprese, sempre più stranieri alla guida

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Avviare una nuova attività imprenditoriale in Italia è una sfida che intraprendono sempre di più gli stranieri, mentre le aziende locali cedono progressivamente il passo. Negli ultimi 10 anni le imprese attive guidate da titolari nati all’estero sono aumentate del 29,5% (in valore assoluto pari a +133.734), quelle in cui a capo c’è un italiano, invece, sono scese del 4,7% (-222.241). Delle 5.097.617 aziende attive presenti in Italia, ben 586.584 (pari all’11,5% del totale nazionale) sono a conduzione straniera. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia, secondo cui il trend demografico registrato in questi ultimi anni in Italia ha sicuramente condizionato questi risultati.

Tuttavia, tasse, burocrazia, caro-bollette, costo degli affitti e senso perenne di precarietà che affliggono tantissime partite Iva hanno smorzato in molti italiani la voglia di affermarsi nel mondo del lavoro attraverso l’autoimprenditorialità. Occasione, invece, che gli stranieri non si stanno lasciando scappare. Nell’ultimo decennio (2013-2023), nelle 105 province d’Italia monitorate solo 7 hanno visto aumentare in termini assoluti il numero degli imprenditori italiani rispetto a quelli stranieri. Le realtà geografiche in cui gli stranieri con partita Iva sono cresciuti meno dei colleghi italiani sono tutte ubicate nel Mezzogiorno: Catania, Messina, Cosenza, Siracusa, Nuoro, Vibo Valentia e Palermo.

Il commercio e l’edilizia sono i due settori economici dove si trova il maggior numero di imprenditori stranieri. Nel primo sono quasi 195mila, nel secondo 156mila. Se nel primo caso costituiscono il 15,2% del totale di tutte le attività presenti in questo settore, nel secondo si arriva fino al 20,6. Le quasi 351mila aziende dei due comparti incidono per il 60% sul totale delle imprese stranieri presenti in Italia. Il terzo settore più ambito dagli imprenditori stranieri è l’alloggio ristorazione con 50.210 unità (12,7% del totale nazionale). In riferimento alla nazionalità, gli imprenditori stranieri maggiormente presenti in Italia sono i rumeni: ammontano a 78.258 persone.

Seguono i cinesi con 78.114, i marocchini con 66.386 e gli albanesi con 61.586. Rispetto a 10 anni fa, la percentuale di crescita più sostenuta ha interessato i moldavi con il +127%. A ruota i pakistani con +107 e gli ucraini con il +91. Negli ultimi 10 anni la provincia d’Italia che ha registrato l’incremento percentuale più significativo è stata Napoli. Tra il 2013 e il 2023 la crescita è più che raddoppiata, per la precisione del +109,3%. Seguono Brindisi con il +63,2, Taranto con il +61,8 e Trapani con il +54,9. Sempre in questo decennio, la variazione assoluta più importante ha interessato la città metropolitana di Milano con un aumento delle aziende a guida straniera di 30.482 unità. Tallonata da Napoli con +15.399 e Roma con +11.690. In termini assoluti, infine, il territorio che ne ospita di più è la città metropolitana di Milano con 92.168 unità. Seguono Roma con 69.343 e Torino con 37.777.

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