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Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti, Trump non riconosce la vittoria e promette battaglia legale

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Joe Biden e Kamala Harris sono il ticket alla presidenza che ha incassato più voti nella storia americana. Mentre lo scrutinio e’ ancora in corso, Biden e Harris hanno ottenuto già quasi 75 milioni di voti.

‘You’re fired’ (‘sei licenziato’) è lo slogan del popolo di Joe Biden per festeggiare per la vittoria. La frase che sta tanto a cuore all’attuale inquilino della Casa Bianca, e che lo ha reso famoso durante lo show Apprentice, viene questa volta usata contro di lui.   “Sono onorato che gli americani mi abbiano scelto come loro presidente”. Sono queste le prime parole di Joe Biden dopo la sua elezione a presidente degli Stati Uniti.

“Il lavoro davanti a noi sara’ difficile ma vi prometto questo: saro’ il presidente di tutti gli americani”. Lo twitta Joe Biden.Da New York a Washington esplode l’entusiasmo in strada per la vittoria di Joe Biden. I clacson a tutto spiano festeggiano il 46mo presidente americano fra le grida di gioia dei passanti sui marciapiedi.  L’offensiva legale di Donald Trump contro il risultato delle elezioni iniziera’ “lunedi’ per assicurare che le leggi elettorali siano rispettate e che venga eletto il legittimo vincitore”. Lo afferma Donald Trump, assicurando che “questa elezione e’ lungi dall’essere finita. La vittoria di Joe Biden non e’ stata certificata in tutti gli Stati”.

Sessant’anni dopo JFK, un cattolico si prepara a occupare la Casa Bianca: Joe Biden e’ il secondo ‘fedele alla chiesa di Roma’ a conquistare l’Ufficio Ovale nella storia degli Stati Uniti ma sulla sua elezione l’elettorato cattolico si e’ spaccato: una buona meta’ gli ha preferito Donald Trump. Biden e’ un cattolico non solo di facciata: va a messa tutte le domeniche, tiene in tasca il rosario del figlio Beau morto cinque anni fa di tumore al cervello e cita nei suoi comizi papa Francesco, con cui e’ in linea per le posizioni sull’ambiente e la visione della politica delineata nell’ultima enciclica ‘Fratelli Tutti’. E tuttavia, secondo i dati raccolti dall’Ap, solo il 50% dei cattolici americani lo ha votato. L’altra meta’ e’ tornata ad appoggiare Donald Trump, come era successo nel 2016 contro Hillary Clinton. Prima di JFK solo un cattolico, il governatore di New York Al Smith nel 1928, si era candidato alla Casa Bianca e aveva fallito. Allora, come al tempo di Kennedy, i pregiudizi anticattolici erano ancora vivi. Sospettato di “doppia lealta’” verso il Vaticano e gli Stati Uniti, JFK si era difeso con un memorabile discorso a Houston: “Non sono il candidato cattolico alla presidenza, ma il candidato del Partito democratico che e’ anche cattolico”. E aveva aggiunto: “Non parlo per la mia chiesa e la mia chiesa non parla per me”. I tempi sono cambiati e i cattolici occupano oggi importanti posizioni nella vita pubblica. Sono credenti e praticanti, ad esempio, sei giudici su nove della Corte Suprema: il presidente John Roberts, Samuel Alito, Clarence Thomas, Sonia Sotomayor, Brett Kavanaugh e l’ultima arrivata, Amy Coney Barrett. A spiegare l’ostilita’ di meta’ dei cattolici e di parte delle gerarchie nei confronti dell’ex vicepresidente sono le sue posizioni in fatto di aborto, contro cui Donald Trump ha agitato il miraggio della revoca della sentenza ‘Roe contro Wade’ ottenendo al Senato la conferma alla Corte Suprema della Barrett, una cattolica conservatrice. (

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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