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Elisa Isoardi e Matteo Salvini, fine di una storia d’amore o un altro capitolo difficile?

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“Non è quello che ci siamo dati a mancarmi, ma quello che avremmo dovuto darci ancora. Gio Evan. Con immenso rispetto dell’amore vero che c’è stato. Grazie Matteo”. Che si tratti dell’epitaffio di una amore, quello tra Elisa Isoardi e Matteo Salvini lo scopriremo a breve. Pare però che sia davvero così. Nel senso che quello che oggi pubblica su Instagram la giornalista del Tg1 prestata ai programmi Rai (conduce la prova del cuoco) tutti lo leggono come la fine della relazione tra Matteo Salvini e Elisa Isoardi. Sembra quasi una fine storia d’amore hollywoodiana. Nessuna rottura traumatica, quasi un contratto che si scioglie, in maniera  consapevole,  pacifico. E come finisce, o finirebbe, il tutto? Con una foto di Elisa Isoardi a letto col leader leghista e sovranista, lei in accappatoio mentre è tra le sue braccia. Tocca capire se è vero o se è l’ennesimo capitolo di una storia d’amore non semplice.

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Economia

La Digital Service Tax italiana si espande: aboliti i limiti di ricavi per le imprese digitali

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La Digital Service Tax (DST) italiana, introdotta nel 2021, sta ampliando il suo raggio d’azione con la legge di bilancioapprovata di recente dal Consiglio dei ministri. La principale novità consiste nell’abolizione dei due limiti di ricavo che fino ad oggi avevano escluso le piccole imprese dal prelievo fiscale. Con queste modifiche, l’imposta del 3% sarà applicata a tutte le imprese che utilizzano la rete per pubblicità digitale e servizi di piattaforme, senza più alcuna soglia di ricavi.

Nuove regole per il settore digitale

Il viceministro all’Economia, Maurizio Leo, ha annunciato la rimozione dei limiti di 750 milioni di euro di ricavi globali e di 5,5 milioni di euro di ricavi realizzati in Italia. Questa decisione, che si prevede sarà confermata nel testo finale della legge di bilancio atteso alle Camere, avrà un impatto significativo, espandendo l’applicazione della Web Tax italiana.

Il viceministro Leo ha dichiarato che questo intervento è necessario, in attesa che la tassazione dell’economia digitale sia regolata a livello globale. In particolare, si è fatto riferimento al Pillar 2 della Global Minimum Tax, già adottato dal Governo, che riguarda la tassazione delle multinazionali con partecipazioni in Paesi a regime fiscale privilegiato.

Come funziona la Digital Service Tax

La DST italiana si concentra sui ricavi derivati dai servizi digitali localizzati sul territorio italiano, in particolare per quanto riguarda la pubblicità online. L’utente è considerato localizzato in Italia se il contenuto pubblicitario appare quando il dispositivo è utilizzato nel Paese, determinato dall’indirizzo IP.

Tuttavia, alcune attività rimangono escluse dall’applicazione della tassa, come la gestione digitale dei servizi interbancari, la fornitura diretta di beni e servizi, e le piattaforme che offrono contenuti digitali o servizi di comunicazione e pagamento.

Prossimi passi e impatto economico

Il primo appuntamento con la Digital Tax senza limiti di ricavi sarà fissato per il 2026, con l’invio della dichiarazione entro il 30 giugno di ogni anno, e il versamento dell’imposta previsto per il 16 maggio 2026. I dettagli definitivi e il gettito atteso saranno chiariti nei prossimi giorni, con il testo finale del disegno di legge accompagnato dalla relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato.

Questa estensione della DST è parte delle “altre entrate/coperture” del Documento programmatico di bilancio, che stima un gettito complessivo di 3,2 miliardi di euro, superando di gran lunga i tagli ai ministeri discussi negli ultimi giorni.

Un mondo digitale in fermento

La mossa ha sollevato discussioni nel mondo digitale, già al centro di un dibattito acceso sul possibile incremento delle aliquote sulle criptovalute. Questo rappresenta uno dei tanti fronti su cui si concentreranno le discussioni riguardo la manovra finanziaria del prossimo anno.

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Economia

La spesa per le pensioni cresce, +19% in 4 anni

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La spesa per le pensioni è cresciuta tra il 2019 e il 2023 del 19,4%, soprattutto grazie al recupero dell’inflazione e a un tasso quasi tre volte maggiore di quello dell’aumento dei salari. A dare un quadro sull’andamento dei redditi da lavoro e da pensione negli ultimi quattro anni è stato il presidente dell’Inps, Gabriele Fava, nel corso di un’audizione davanti alla Commissione parlamentare di controllo sugli enti previdenziali. Fava ha spiegato come le retribuzioni monetarie, cresciute solo del 6,8%, abbiano, a fronte di un’inflazione nel periodo del 15-17%, perso quasi il 10% del loro potere d’acquisto.

Ma di fatto questo ha pesato anche sui conti dell’Inps, con i contributi che insieme ai salari non hanno recuperato appieno la crescita dei prezzi. In pratica l’istituto ha fatto fronte a questa crescita della spesa, non compensata dall’aumento delle entrate contributive, con la crescita dei trasferimenti dello Stato. Nel solo 2023 l’aumento della spesa per pensioni è stato del 7,4% rispetto all’anno precedente, spesa che si è attestata al 15,3% del Pil, uno dei livelli più elevati d’Europa. Dovrebbe superare il 17% nel 2036 con l’uscita della gran parte dei baby boomers.

Per Fava, dunque, non è più possibile aumentare i requisiti di accesso alla pensione al di là della speranza di vita, ma bisogna piuttosto agire sulla base occupazionale, coinvolgendo soprattutto donne e giovani, e sulla produttività aprendo la strada a retribuzioni più alte. “Il controllo della spesa – ha detto – è difficilmente realizzabile in ragione della sua dipendenza da fattori demografici influenzati da dinamiche di lungo periodo. Inoltre, non è percorribile la scelta di incrementare ulteriormente i requisiti di accesso alla pensione che sono tra i più alti d’Europa, salvo l’adeguamento alla speranza di vita”. Le tendenze demografiche in atto “rappresentano un fattore di rischio per la sostenibilità della maggioranza dei sistemi previdenziali pubblici” basati su un sistema finanziario a ripartizione nel quale si pagano le pensioni con i contributi delle persone che lavorano.

Al momento il tasso di sostituzione della pensione (la percentuale rispetto all’ultima retribuzione), è uno dei più elevati d’Europa, al 59% medio, anche grazie all’elevato peso dell’aliquota di contribuzione. Ma presto, con l’entrata a regime per tutti del calcolo contributivo per l’intero assegno, sarà ancora più importante l’apporto della previdenza integrativa, ancora troppo poco utilizzata. “Le potenzialità di questo secondo pilastro – ha detto Fava – necessitano di interventi di promozione che il Piano strutturale di bilancio introduce tra le iniziative mirate alla sostenibilità del sistema pensionistico”.

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Dal 2018 raddoppiati i farmaci a rischio carenza

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Dal 2018 sono raddoppiati farmaci a rischio carenza, ma per otto su dieci esiste l’equivalente, ovvero il medicinale senza brevetto, che ha lo stesso principio attivo. E proprio grazie a questi farmaci, meno costosi degli originator ma intercambiabili, sono derivati oltre sei miliardi di risparmi alla sanità pubblica dal 2012 ad oggi. Ma questo settore produttivo è in sofferenza, stretto tra il rialzo dei costi di produzione, le gare a ribasso e gli oneri regolatori. Arriva da Egualia, l’associazione che riunisce i produttori dei cosiddetti ‘generici’, l’appello al Governo nel momento in cui la manovra, appena approvata si appresta a iniziare l’iter parlamentare: “Senza equivalenti il servizio sanitario non reggerebbe, ma servono misure urgenti per salvare il settore”.

Tra queste una revisione del payback farmaceutico. Occasione di confronto tra istituzioni e industria è stata la presentazione dell’Osservatorio Nomisma 2024. Negli ultimi cinque anni, ricorda il rapporto, la carenza di farmaci è diventata un problema sempre più pressante e l’Italia è tra i Paesi più colpiti. Secondo i dati dell’Agenzia italiana del farmaco nel periodo 2018-2024 il numero di farmaci a rischio carenza è passato da poco più di 1.600 a oltre 3.700. Quasi la metà (44%) delle carenze registrate nel 2024 è dovuta alla cessazione definitiva della commercializzazione dei farmaci con brevetto, mentre poco più di un quarto a problemi di produzione.

“I produttori degli originator spesso non trovano vantaggioso produrre farmaci per trattare malattie meno redditizie, anche per questo equivalenti sono sempre più essenziali per la cura delle patologie croniche complesse”, si legge. Inoltre sono sempre più essenziali per la sostenibilità della sanità pubblica, perché, “facendo spendere meno in farmaceutica, consentono di spendere meglio in altro”, ha sottolineato anche il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato. Basti pensare che, se tutte le confezioni di equivalenti interamente rimborsati dispensate nel 2023 fossero state vendute ai prezzi dei brand, la spesa farmaceutica sarebbe aumentata di 460 milioni di euro. E dal 2012 ad oggi la cifra avrebbe raggiunto i 6,2 miliardi. Il rapporto mette però in guardia dal rischio di ‘take for granted’, ovvero di dare per scontato questo comparto. “Il quadro è più allarmante rispetto al passato – ha spiegato Lucio Poma, chief economist di Nomisma – . Una settantina di aziende sono state interessate da chiusure o fusioni, con una diminuzione della concorrenza. E un indebolimento del sistema – ha proseguito Poma – si tradurrebbe nell’aumento delle carenze e nell’impossibilità di sostenere le cure di alcune malattie croniche”.

Il presidente di Egualia, Stefano Collatina, chiede di “invertire la rotta, già in questa legge di Bilancio”, a partire dal “rivedere le procedure di gara orientate al massimo ribasso” e “togliere oneri impropri sulle imprese. In quest’ottica va ripreso il confronto sulla governance ed eliminato il payback farmaceutico”, ovvero il meccanismo di ripiano in base al quale, in caso di superamento del tetto della spesa farmaceutica, le aziende devono contribuire a ripianare l’eccedenza insieme alle Regioni: “una distorsione tutta italiana e che abbiamo ereditato dai altri governi”, per usare le parole di Gemmato. E su questo una novità arriva dalla conferenza delle Regioni, dove è stato trovato un primo accordo per una nuova ripartizione, in base alla quale tutte le Regioni che sforano il tetto di spesa saranno tenute a farsi carico del 50% della spesa, a fronte del fatto che alcune, negli anni passati, avevano dovuto contribuire fino al 75%. Ma niente di nuovo per quanto riguarda le aziende. Resta invece acceso il dibattito sulle risorse per la sanità in manovra. Dopo le polemiche dei sindacati dei medici, il sottosegretario alla Salute Gemmato torna sul tema. “La legge di bilancio, non solo conferma il livello di spesa che i governi avevano dato al Servizio sanitario nazionale a partire dalla pandemia Covid, ma mette sopra altre risorse”.

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