A Juorno Live Interview torniamo a parlare di pandemia da Covid-19. Collegato dal Canada c’è il professor Saverio Stranges, medico napoletano specializzato in sanità pubblica. Oggi Stranges è professore ordinario e capo del dipartimento di epidemiologia e biostatistica della facoltà di medicina della Western University of London, in Ontario. Un interessante approfondimento scientifico sulle principali questioni che infiammano il dibattito sul Covid-19. Di seguito vi riproponiamo i passaggi salienti dell’intervista di ieri.
Professore, qual è la situazione lì in Canada con il Covid-19?
Spesso i colleghi canadesi mi accusano di essermi focalizzato molto di più sullo studio dell’epidemia italiana; diciamo che è come se avessi vissuto due epidemie. In Canada il virus è arrivato con qualche settimana di ritardo; abbiamo potuto implementare per tempo quelle misure di distanziamento fisico che hanno mitigato l’impatto del Covid sul territorio canadese. Abbiamo comunque registrato 90mila casi e circa 7mila decessi. Rispetto ad alcuni Paesi europei, l’impatto è stato inferiore. Bisogna però anche considerare la scarsa densità abitativa del Canada, al netto delle grandi città. Una differenza che vorrei sottolineare è relativa alla comunicazione. Qui c’è stata grande coerenza di messaggi, grazie ad una maggiore selezione degli esperti chiamati in causa dai media.
Come giudica la risposta dell’Italia all’emergenza?
Dobbiamo premettere che la maggior parte dei Paesi occidentali non era pronta per affrontare questa emergenza sanitaria. In una società globalizzata ed interconnessa, era verosimile che quello che accadeva in Cina potesse avere delle implicazioni nel resto del mondo. L’Italia è stato il primo Paese occidentale ufficialmente colpito e ha fatto ricorso a misure di distanziamento fisico, unica opzione a disposizione con un numero montante di casi, impossibili da isolare. Il problema è che l’epidemia è stata combattuta a livello ospedaliero. Se avesse funzionato la medicina territoriale, avremmo gestito meglio la pandemia e il numero di decessi sarebbe stato inferiore. In un articolo pubblicato con alcuni colleghi, abbiamo passato in rassegna ciò che è successo in alcuni Paesi asiatici, Corea del Sud, Hong Kong, Vietnam e Taiwan. L’infrastruttura di sanità pubblica, spesso centralizzata, è riuscita a contenere le infezioni nel territorio ed evitare che ci fosse una diffusione dell’epidemia così massiva da ingolfare gli ospedali.
Domani riapriranno tutte le Regioni. Imperversa il dibattito sull’opportunità di riaprire anche la Lombardia, che continua ad avere un numero di casi ben più elevato rispetto a quello delle altre Regioni. Lei ritiene che la Lombardia sia pronta ad aprire le sue frontiere?
Mi affido ai dati. Dall’inizio di maggio il trend è stato in calando. Secondo me uno degli indicatori più attendibili è il numero di nuovi ricoveri in terapia intensiva. Dopo tre mesi, ci troviamo ora nella parte finale dell’ondata epidemica. Oggi mi sento molto più rassicurato rispetto al discorso dell’apertura complessiva dell’Italia, sempre però in una cornice di buonsenso. Non dobbiamo passare da un estremo all’altro, ma guardiamo con positività a questi dati.
I casi sono minori e hanno una carica virale inferiore, si arriva cioè in ospedale con condizioni meno drammatiche. E’ un fatto che ha anche un’evidenza scientifica o si tratta solo di un’osservazione clinica?
Spesso in medicina le cause sono multifattoriali, nel senso che ci sono una serie di fattori che stanno contribuendo alla riduzione dell’aggressività clinica del virus. Innanzitutto, dopo aver colpito il pool di soggetti più suscettibili, anziani, immunodepressi e persone con patologie croniche preesistenti, le infezioni si sono man mano spostate su soggetti meno deboli; questo ha ridotto l’aggressività clinica. Inoltre, anche le misure restrittive e i dispositivi di protezione hanno contribuito a ridurre la carica virale. Infine c’è l’elemento della cosiddetta stagionalità. Sicuramente le temperature più caldo hanno avuto un impatto su altri virus della stessa famiglia, e questo potrebbe essersi verificato anche per il Covid. In ogni caso, dobbiamo considerare che ci troviamo comunque nella coda dell’epidemia.
Leggiamo di virologi che parlano di una possibile seconda ondata, quanto è concreta questa possibilità?
La possibilità c’è. Così avvenne con la Spagnola: si verificò una seconda ondata che fu pure particolarmente nefasta dal punto di vista dei decessi. Parliamo di una pandemia che costò quasi 50 milioni di morti. Ci troviamo di fronte ad un nuovo virus per cui non mi azzardo a dire che sicuramente ci sarà una seconda ondata. Secondo me da questa pandemia dovremmo comprendere l’importanza di rafforzare la sorveglianza epidemiologica attiva. Le epidemie non si devono combattere nei reparti di terapia intensiva, ma nelle comunità, con la medicina territoriale.
Non ritiene che siamo stati completamente impreparati rispetto al virus, come succede quasi sempre nella nostra sanità?
Non solo l’Italia, ma molti Paesi occidentali lo erano, con l’eccezione della Germania. Ci servivano dipartimenti di prevenzione e sorveglianza epidemiologica sul territorio, capacità di fare il contact tracing, tempestività nel dotare i nostri medici di base dei dispositivi di protezione, che avrebbero evitato l’alto numero di decessi fra le fila dei medici, un fatto vergognoso. Spero che questo sia servito da lezione per rafforzare la medicina territoriale, che in un qualsiasi Paese civile deve essere il primo argine contro le patologie nella comunità.
Secondo lei dopo l’estate sarò necessario il distanziamento anche nelle scuole?
Se all’inizio non conoscevamo il potenziale impatto del virus sui bambini, ora possiamo affrontare la questione della riapertura delle scuole con una conoscenza diversa. Intanto, gli effetti indiretti dell’isolamento per lo sviluppo cognitivo e sociale dei bambini, rappresentano un grosso problema di sanità pubblica. L’evidenza epidemiologia sembra poi suggerire che i bambini sono stati poco colpiti dal virus; inoltre, il potenziale canale di infezione dai bambini agli adulti non sembra essere corroborato da evidenzia scientifica. Alla luce di questi dati, propenderei per la riapertura delle scuole. Bisogna avere però capacità di fare sorveglianza epidemiologica attiva, che possa fornire segnali precoci in casi di focolai all’interno delle scuole.
“Pompei non può essere associata al turismo di massa, ma deve avere come obiettivo quello della qualità”. Gabriel Zuchtriegel stringe tra le mani il suo biglietto nominativo, quello che da oggi è obbligatorio per entrare negli scavi che dirige dal febbraio 2021. È una delle novità introdotte all’interno del parco archeologico. La più importante riguarda il numero chiuso per gli ingressi giornalieri, che non potranno mai superare quota 20mila. Nel periodo di maggiore afflusso (dal primo aprile al 31 ottobre), poi, saranno anche previste specifiche limitazioni a seconda delle fasce orarie: dalle 9 alle 12 massimo 15mila ingressi; altri 5mila da mezzogiorno alle 17.30. L’acquisto dei ticket è consentito sul posto e online. “Alla base – spiega ancora Zuchtriegel – ci sono soprattutto motivi di sicurezza, sia dei visitatori, sia di tutela del patrimonio. Partiamo in questo periodo di bassa stagione per sperimentare tale misura, i cui numeri saranno poi esaminati con calma in vista delle giornate di maggiore afflusso”.
Obiettivo è anche combattere il fenomeno del bagarinaggio, che portava i turisti ad acquistare biglietti rivenduti a prezzi maggiorati e con l’aggiunta di “servizi” già compresi nel costo abituale del ticket. Altro proposito è puntare a distribuire i visitatori anche sugli altri siti del parco (Boscoreale, Torre Annunziata, Villa dei Misteri, Civita Giuliana e Stabia). Gli scavi di Pompei introducono le novità del numero chiuso e del biglietto nominativo dopo un’estate da record, che ha fatto registrare flussi mai visti in passato, con oltre quattro milioni di visitatori e punte di oltre 36.000 presenze in occasione di una delle prime domeniche del mese (quelle a ingresso gratuito). Questa mattina Zuchtriegel ha deciso di seguire personalmente l’avvio del cambiamento insieme con Prefettura, vigili del fuoco e consulenti dei lavoratori insieme ai quali è stata ravvisata la necessità di prevedere una gestione in piena sicurezza del sito Unesco.
“Abbiamo avuto in autunno, estate e primavera – sottolinea ancora il direttore – giornate in cui il limite dei 20.000 ingressi è stato superato: ci siamo resi conto di dover garantire a tutti i visitatori una esperienza di qualità. Pompei non deve essere un sito per il turismo di massa. Abbiamo un territorio meraviglioso e ci impegneremo a canalizzare maggiormente i flussi, ma anche gli investimenti, la ricerca e la valorizzazione di questi luoghi. Questo non è una misura contro la crescita. Anzi, noi puntiamo sulla crescita”. Nessuna gara sui numeri, come avviene in particolare in occasione delle domeniche ad ingresso gratuito: “La nostra priorità è la sicurezza – conclude Zuchtriegel -. E in caso di emergenza, abbiamo pensato di assicurare uscite controllate ai visitatori. Attenzione, siamo orgogliosi dei dati che abbiamo raggiunto in questi anni: spesso eravamo al primo posto nelle giornate di ingressi gratuiti. Questa classifica è carina, ma logica ci impone di scegliere la conservazione del nostro patrimonio: non vorremmo mai che qualche classifica finisca per danneggiarlo”.
Calano i contagi da Covid-19 in Italia. Nella settimana dal 17 al 23 ottobre si registrano 8.660 nuovi casi rispetto ai 11.433 della rilevazione precedente mentre i decessi sono 116 a fronte di 117. Il maggior numero di nuovi casi è stato registrato in Lombardia (2.693), Veneto (1.206), Piemonte (998) e Lazio (928). Mentre continua la corsa della variante Xec. E’ quanto emerge dal bollettino aggiornato e dal monitoraggio settimanale a cura del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. Nell’ultima settimana sono stati effettuati 89.792 tamponi, in calo rispetto ai 94.880 della precedente rilevazione, e scende anche il tasso di positività, da 12% a 9,6%.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero ospedaliero, al 15 ottobre è pari a 0,84 rispetto a 1,06 del 9 ottobre. È in lieve diminuzione, in quasi tutte le regioni, l’incidenza settimanale: la più elevata è stata in Lombardia (27 casi per 100mila abitanti) e la più bassa in Sicilia (con 0,2 casi per 100mila abitanti). Al 23 ottobre, si legge, “l’occupazione dei posti letto in area medica è pari a 3,7%, stabile rispetto alla settimana precedente (3,8% al 16 ottobre). In lieve diminuzione l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 0,9% (76 ricoverati), rispetto alla settimana precedente (1,0% al 16 ottobre)”. In base ai dati di sequenziamento nell’ultimo mese si osserva la co-circolazione di differenti sotto-varianti di JN.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di KP.3.1.1. In crescita, inoltre, la proporzione di sequenziamenti attribuibili a Xec (17% nel mese di settembre contro il 5% del mese di agosto).
Dopo il calo delle ultime settimane, tornano a salire i contagi da Covid-19 in Italia. Dal 19 al 25 settembre sono stati 11.164 i nuovi positivi, rispetto agli 8.490 della settimana precedente, pari a un aumento di circa il 30%. La regione con più casi è la Lombardia (3.102), seguita dal Veneto (1.683) e Lazio (1.302). E a crescere sono anche i decessi settimanali, passati da 93 a 112. Stabile l’impatto sugli ospedali mentre cresce la variante Xec.
Questi i dati dell’ultimo bollettino settimanale pubblicato dal ministero della Salute e del monitoraggio a cura dell’Istituto superiore di Sanità. Ad aumentare sono stati anche i tamponi, passati dai 81.586 del 12-18 settembre a 85.030, mentre il tasso di positività è passato dal 10% al 13%. Stabile invece il numero di posti letto occupati da pazienti Covid nei reparti di area medica (pari a 3% con 1.885 ricoverati), così come quelli occupati in terapia intensiva (0,7% con 62 ricoverati). I tassi di ospedalizzazione e mortalità restano più elevati nelle fasce di età più alte.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero, è pari a 0,9, in lieve aumento rispetto alla settimana precedente. Mentre l’incidenza è di 19 casi per 100mila abitanti, anche questa in aumento rispetto alla settimana precedente (14 casi per 100mila abitanti). L’incidenza più elevata è in Veneto (35 casi per 100mila abitanti) e la più bassa nelle Marche (1 per 100mila). In base ai dati di sequenziamento genetico, nell’ultimo mese circolano insieme differenti sotto-varianti di Jn.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di Kp.3.1.1 (68%). In crescita, e pari a circa il 5%, i sequenziamenti del lignaggio ricombinante Xec, appartenente alla famiglia Omicron.