Riprendo la parola su Silvia Romano, anche se mi ero ripromesso di non intervenire più su questa vicenda. Ma un tarlo mi lavora dentro: com’è che una ragazza che tutti facevano mostra di amare o almeno di compatire fino a ieri, oggi è respinta, vilipesa, aggredita?
E mi permetterei di chiedere dunque: perché mai questa giovane donna si sarebbe“dimenticata di qualcosa?”. A meno che, non si immagini che una conversione religiosa sia un atto di oblio e non un atto di fede, ben prima che di cultura e di qualunque altra cosa. Un atto di fede, per un credente, va rispettato in quanto tale, quale ne sia la genesi -purché libera, si capisce- e quale ne sia l’oggetto, la professione. Per un non credente, un atto di fede è puramente e semplicemente una faccenda irrilevante.
Mi domando che cosa potrei dimenticare io, della democrazia di tradizione occidentale, se mi convertissi al Buddismo. Cosa potrebbe impedirmi di ammirare affascinato “La ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer. Di tenere a mente la lezione di Popper intorno alla “scienza sulle palafitte” e quindi sulla forza precaria delle “convenzioni” per dare una definizione umana della verità umana, l’unica possibile.
Il fatto è che probabilmente se questa ragazza avesse annunciato di essersi convertita al buddismo non se ne sarebbe accorto nessuno. Sicché, il problema è un altro, come si dice. E cioè che esiste da noi un pregiudizio anti-islamico tanto diffuso quanto epidermico e quindi di natura infiammatoria. Non fraintendetemi, ve ne prego. Avremmo buoni motivi -come ci ha insegnato, tra i più autorevoli, Henry Pirenne con il suo “Maometto e Carlo Magno”- per considerare come “radicato” il pregiudizio anti-islamico in Europa, dopo XV secoli di lotte, guerre militari e commerciali, scontri, contrapposizioni. Ma dubito che le persone che oggi appaionole più chiassose portatrici di questo pregiudizio abbiano un sussultoquando menziono la battaglia diPoitiers. O che sappiano citare l’aspro nome di un califfo Omayyade. O che abbiano avuto un rigetto emotivo leggendo un poema sufi. O che siano in grado dicontestare una tesi di diritto fondiario musulmanoin discussione presso l’Università di al-Azhar, al Cairo. Immagino invece che queste persone siano intrappolatein una tenaglia mediatica che li stritola con due potenti luoghi comuni. Da una parte, quello che tende a identificare l’Islam conil terrorismo, come del resto suggerisce senza mediazioni l’espressione “terrorismo islamico”. Una cappa oscurantista che, assimilando una grande fede monoteista ricca di articolazioni se non teologiche certamente spirituali, a un movimento armato di infima consistenza e di nessun fondamento propriamente religioso, ha oppresso tutto l’Occidente soprattutto a partire dall’attentato alle Torri gemelle. Mai dichiaratamente sostenuta, e men che meno neppur lontanamente argomentata, questa identificazione è stata tuttavia la base irriflessa della narrativa americana a sostegno delle politiche musulmane di Washington. Contraddittorie nel loro fondamento e disastrose nel loro svolgimento. Pensiamo soltanto, per la contraddittorietà, che gli USA sono da sempre i massimialleati al mondo dell’Arabia Saudita, il più integralista degli Stati islamici e pertanto brodo di coltura più appropriato delle ideologie jihadiste, declinate poi attraverso pratiche le più disparate e puntiformi. Quanto alla disastrosità, il Vicino Oriente è ancora una ferita umana e politica aperta e dolentissima dopo la seconda guerra irakena che è costata qualcosa come un milione di morti, violenze spaventose, sofferenze inenarrabili.
Ma c’è una seconda sorgente di questosuperficiale pregiudizio, del quale sono vittime le persone che oggi appaiono così scomposte nella reazione contro Silvia Romano. Stiamo parlando, loavete ben inteso, delle migrazioni assimilate fin troppo sconsideratamente a delle invasioni. E stiamo parlando, quindi, dei migranti invasori che, per qualche motivo arcano, sono considerati degli uomini e delle donne di religione islamica. Niente di meno consistente: né per quanto riguarda l’assalto alla “fortezza Europa” né per quanto riguarda l’appartenenza musulmana. Facilmente smontabile l’una e l’altra fantasia. Perciò è bastato che la nostra connazionale si facesse testimone della sua nuova fede, l’Islam, che è stata assimilata, in un immaginario più vasto di quanto si potesse pensare, a un “terrorista” e a un “invasore”. Insomma, se ci fosse un po’ di buon senso in giro, e la gente fosse un po’ più disposta a ragionare, non ci sarebbe nessun “caso” Silvia Romano, al di fuori di un crimine: il rapimento di una giovane donna effettuato da una rete delinquenziale in Africa orientale.
Bé, forse qualcos’altro ci sarebbe. Com’è che Silvia è stata selezionata e reclutata per essere mandata in Africa: da chi e afare cosa? Voglio dire: d’accordo, Silvia era un’entusiasta, un’altruistagenerosa votata al bene del prossimo. Ma basta questo a fare una “cooperante”? O non siano necessarie, perché si faccia una cooperazione efficace, che serva all’Africa nel medio-lungo periodo, “anche” competenza, esperienza, tecniche, insomma conoscenze per un Continente amato ma difficile, che una giovane neo-laureata di sicuro non può avere? Chi poteva aiutare Silvia con la sua intensità emotiva? E come: con il suo pur bellissimo sorriso, forse?
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Un tycoon delle criptovalute sta per mangiare la banana appiccicata alla parete di Maurizio Cattelan. Pagando 6,2 milioni di dollari da Sotheby’s, il collezionista Justin Sun, fondatore della piattaforma Tron, ha battuto altri sei concorrenti per una di tre edizioni dell’opera concettuale Comedian creata nel 2019 dall’artista padovano celebre in tutto il mondo per le sue provocazioni. Sun, che nella sua raccolta ha un Giacometti da 78 milioni comprato nel 2021, ha seguito l’asta da Hong Kong e pagato in criptovalute. Dopo aver messo le mani su Comedian ha fatto sapere che “nei prossimi giorni mangerà la banana come parte di questa unica esperienza artistica, onorandone il ruolo sia nella storia dell’arte che nella cultura pop”.
La banana in questione era stata acquistata poche ore prima dell’asta per 35 centesimi da un banchetto di frutta e verdura dell’Upper East Side: assieme al nastro adesivo grigio che l’attacca alla parete, deve essere sostituita regolarmente e questo fa parte del progetto di Cattelan che aveva inteso Comedian come una satira delle speculazioni del mercato: “Su che base un oggetto acquista valore nel sistema dell’arte?”, si era chiesto l’artista famoso per America, il water d’oro massiccio installato nel 2016 al Guggenheim. Piu’ di recente lo stesso Cattelan aveva aggiunto che “l’asta sara’ l’apice della carriera di Comedian. Sono ansioso di vedere quali saranno le risposte”.
Comedian aveva debuttato ad Art Basel Miami dove la galleria Perrotin ne aveva venduto le tre edizioni, due per 120 mila dollari e la terza per 150 mila, pagati da un anonimo acquirente che l’aveva poi donata al Guggenheim. Durante la fiera, l’artista delle performance David Datuna ne aveva mangiata una, costringendo Perrotin a chiudere lo stand prima del tempo. Un’altra banana era stata mangiata l’anno scorso da uno studente d’arte sudcoreano nel museo della fondazione Samsung a Seul: il giovane si era giustificato dicendo che “aveva fame”. Uno dei concetti alla base dell’installazione e’ che le sue parti devono essere continuamente rigenerate.
“Non è solo un’opera d’arte,” ha dichiarato Sun a Sotheby’s: “Comedian è un fenomeno culturale che collega i mondi dell’arte, dei meme e della comunità delle criptovalute e che ispirerà ulteriori discussioni in futuro”. Fatto sta che gia’ prima di essere messa all’asta, la banana è stata oggetto di attenzione quando, all’inizio di novembre, l’executive di Sotheby’s Michael Bouhanna ha lanciato anonimamente una criptovaluta ispirata a Cattelan e denominata $Ban.
Immediatamente accusato di aver usato informazioni riservate per guadagnare sull’aumento del prezzo del token, l’executive ha negato, dichiarando di aver “scelto di lanciarlo per hobby in modo anonimo”, senza associazioni quindi con il suo profilo personale. Due rivali di Sun all’asta di Sotheby’s avevano investito nella cripto di Bouhanna. Uno dei due, Theodore Bi, voleva comprare Comedian come dono per Elon Musk ma si era fermato alla soglia dei 2,5 milioni di dollari.
Dopo sei anni di chiusura, la Casa della Fontana Piccola di Pompei riapre al pubblico, rivelando nuovamente tutta la sua bellezza. Questo straordinario esempio di architettura pompeiana torna a incantare i visitatori con i suoi affreschi, i colori vividi e una fontana unica, simbolo dell’arte e della cultura dell’antica città.
Un esempio di eleganza pompeiana
La Casa della Fontana Piccola è un autentico capolavoro. I suoi affreschi murari, con il celebre rosso pompeiano, e le decorazioni ricche di dettagli, raccontano la vita e i costumi dell’epoca. Ma ciò che rende davvero speciale questa dimora è la fontana visibile già dall’ingresso. Si tratta di un’opera d’arte decorata con tessere di pasta vitrea e valve di mollusco, con un sistema che faceva sgorgare acqua dalla bocca di una maschera tragica in marmo e dal becco di un’oca tenuta da un amorino in bronzo.
Storia e particolarità della domus
Costruita unendo due abitazioni precedenti, la casa aveva due ingressi su via di Mercurio, simbolo dello stato sociale elevato dei proprietari. Danneggiata dal terremoto del 62 d.C., fu quasi completamente affrescata in IV stile pompeiano, pochi anni prima dell’eruzione del Vesuvio. Le pareti laterali del peristilio presentano paesaggi mozzafiato, tra cui una veduta di città marittima, un tema molto in voga nella decorazione di giardini.
Esplorata tra il 1826 e il 1827 dall’architetto Antonio Bonucci, direttore degli scavi, la casa sarebbe appartenuta a Helvius Vestalis, un pomarius (mercante di frutta), secondo un’iscrizione elettorale trovata sulla facciata.
I restauri e gli interventi strutturali
La casa è stata oggetto di importanti lavori di restauro per preservarne la struttura e garantirne la sicurezza. Tra gli interventi principali:
Rinforzo strutturale delle travi in calcestruzzo dell’atrio principale, utilizzando materiali innovativi come il fibrorinforzo (FRP).
Impermeabilizzazione dei solai per prevenire infiltrazioni.
Revisione delle coperture, inclusa quella del peristilio, per proteggere la casa dagli agenti atmosferici.
Le coperture, già restaurate nel 1971, sono state riportate all’altezza originaria per restituire l’antica volumetria della dimora.
L’iniziativa “Raccontare i cantieri”
Con la riapertura della Casa della Fontana Piccola, prende il via una nuova stagione di “Raccontare i cantieri”, giunta alla sua quarta edizione. Ogni giovedì, fino al 17 aprile 2025, i possessori della MyPompeii Card potranno visitare i cantieri di restauro in corso nel Parco Archeologico, iniziando proprio dalla Casa della Fontana Piccola.
Conclusione
La riapertura della Casa della Fontana Piccola rappresenta non solo un recupero storico di grande valore, ma anche un’occasione per riflettere sulla continua necessità di valorizzare e preservare il nostro patrimonio culturale. Un appuntamento imperdibile per tutti gli amanti della storia e dell’archeologia.
Il Gruppo del Gusto della Stampa Estera ha scelto L’Aquila per celebrare il 20° Premio dedicato all’eccellenza agroalimentare italiana, un traguardo prestigioso che quest’anno rende omaggio a Marino Niola, antropologo e divulgatore scientifico, nella categoria “Divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana”.
Il contributo di Marino Niola all’antropologia della gastronomia
Marino Niola (nella foto Imagoconomica in evidenza) , nato a Napoli nel 1953, è un antropologo della contemporaneità, noto per i suoi studi sulle pratiche devozionali, le trasformazioni culturali legate alla globalizzazione e, soprattutto, per il suo contributo alla comprensione dei riti e simboli della gastronomia contemporanea.
Docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Niola insegna discipline come Antropologia dei Simboli, Antropologia delle arti e della performance e Miti e riti della gastronomia contemporanea. È inoltre editorialista de La Repubblica, dove cura la rubrica “Miti d’oggi” sul Venerdì, e collabora con testate nazionali e internazionali come Il Mattino e Le Nouvel Observateur.
Tra i suoi numerosi saggi, si ricordano titoli come:
Si fa presto a dire cotto. Un antropologo in cucina (2009)
Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari (2015)
Andare per i luoghi della dieta mediterranea (2017)
Mangiare come Dio comanda (2023).
Queste opere riflettono il suo impegno nel valorizzare la cultura alimentare italiana, esplorando le radici antropologiche e culturali che legano il cibo alle identità locali e nazionali.
Il Premio del Gruppo del Gusto
Il Premio del Gruppo del Gusto, giunto alla sua 20ª edizione, si propone di valorizzare e promuovere l’agroalimentare italiano a livello internazionale, grazie alla partecipazione di giornalisti esteri provenienti da 34 Paesi e 5 continenti. Marino Niola è stato selezionato per la sua capacità di divulgare l’autenticità e la tradizione agroalimentare italiana, combinando rigore scientifico e passione narrativa.
La cerimonia a L’Aquila
La premiazione si terrà sabato 23 novembre, alle ore 18, nella Sala ipogea del Consiglio Regionale d’Abruzzo, a L’Aquila. Durante l’evento, verranno premiate altre eccellenze del settore, tra cui:
Tenuta Vannulo (categoria “Esercizio legato all’alimentare da almeno 100 anni della stessa famiglia”);
Cooperativa Altopiano di Navelli (categoria “Consorzio/cooperative a difesa dei valori agroalimentari italiani”);
Associazione PIZZAUT (Premio speciale della giuria per l’inclusione lavorativa di giovani autistici).
L’importanza del riconoscimento
Il premio a Marino Niola sottolinea l’importanza di valorizzare le eccellenze italiane, non solo nella produzione agroalimentare, ma anche nella capacità di raccontare il legame profondo tra cibo, cultura e identità. L’impegno di Niola nel promuovere la dieta mediterranea e nel raccontare le tradizioni culinarie italiane lo rende una figura chiave nella diffusione internazionale del patrimonio enogastronomico italiano.
Grazie al suo lavoro, il professor Niola contribuisce a consolidare l’immagine dell’Italia come culla di tradizioni culinarie uniche e radicate nella storia. Questo premio rappresenta un ulteriore riconoscimento del suo ruolo cruciale come ponte tra antropologia, cultura e divulgazione enogastronomica.