Sono tornati a manifestare per le strade e le piazze, distanziati, con la mascherina, rispettosi dei tempi della città che comincia a rivivere, ma fermi sui loro principi e rivendicazioni. I genitori, della Rete Scuola e Bambini nell’emergenza CoVid19 uniti dal logo Tana Liberi/e Tutti/e, con alla testa le madri, dopo il presidio in Piazza Dante, sono tornati, con le sagome dei loro bambini, di cui ancora non si parla e non si pone troppa attenzione nei decreti governativi e regionali, ad attirare l’attenzione di tutti per strada, questa volta a ridosso del Museo Archeologico Nazionale, inscenando un intervento che si è soliti vedere in altri paesi nel mondo. Ad ogni scoccare del verde dei semafori situati in via Costantinopoli e all’angolo piazza Museo con via Pessina, le strisce pedonali venivano occupate da una catena di sagome legate da una corda e sostenute dai genitori del comitato che allo scoccare del rosso, sgombravano la strada per far defluire regolarmente il pochissimo traffico che si registrava a questi semafori. Durante il rosso semaforico per la circolazione delle auto, sono stati distribuiti volantini agli automobilisti per spiegare la ragione della manifestazione che è sempre più rivolta alle problematiche che sono insorte ala partenza della Fase2 nella vita dei bambini, e delle famiglie che si trovano sempre più abbandonate, anzi, addirittura non considerate, dai vari decreti in vigore e che sono state stigmatizzate nel documento che trascriviamo di seguito, dove si possono leggere le loro rivendicazioni e principalmente le loro richieste per tutti i bambini che da 2 mesi sono in quarantena.
Ph. Mario Laporta/KONTROLAB
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FACCIAMO SPAZIO, DIAMOCI TEMPO
La ges one poli ca del coronavirus ha mostrato mol coni d’ombra, lasciando ai margini alcuni pezzi della società e finendo con l’escludere anche i bambini. I bambini fino a pochi giorni fa non sono scomparsi solo dalle strade. Chiuse le scuole, sono sta rinchiusi nelle case con divieto assoluto di uscire. Ma non solo. Sono spari dalla poli ca del governo, dai discorsi alla nazione e dalla proge azione poli ca in generale. Ma un paese senza bambini è un paese senza futuro e senza neanche presente. Così, una poli ca che non considera bambine e bambini, è una poli ca non inclusiva, incapace di tener conto dei più deboli, che non si me e in gioco, che dimostra di non avere visione, proge ualità, capacità di pensarsi e reinventarsi, neanche di fronte alla necessità.
Ora, come nelle favole, il re è nudo!
La pandemia, il coronavirus che ha stravolto di colpo le nostre vite, è un’opportunità preziosa per sollecitare una riflessione ampia che coinvolga a vamente la ci adinanza per pensare insieme ad una poli ca che ponga al centro il diri o a usare e godere di spazi adegua , secondo modelli di sostenibilità ambientale e di prossimità sociale, nel rispe o delle norme necessarie a garan re la salute e la limitazione del contagio. Solleci amo una visione poli ca inclusiva che, partendo dai bisogni dei bambini, dei disabili, degli anziani e di quan verranno assorbi dai compi di cura, cerchi di soddisfarli o mizzando le risorse esisten . Chiediamo che venga riconosciuto e tutelato il diri o a vivere lo spazio pubblico in tu e le sue declinazioni senza la violenza dell’inquinamento acus co e atmosferico, dal momento che stare all’aria aperta garan sce una maggiore tutela della salute. Per questo chiediamo:
l’interruzione della circolazione delle auto dalle 14 alle 16 tu i giorni della se mana e tu e le domeniche, per giocare all’aperto, andare in bici, correre o anche solo passeggiare, pur sempre nel rispe o del distanziamento fisico;
la riapertura immediata dei musei con ingresso gratuito per gli accompagnatori di minori per perme ere una più agevole fruizione dell’arte quale espressione dei valori della nostra storia e come cura dello spirito;
la messa a disposizione di spazi ancora chiusi come giardini, luoghi culturali, cortili. Ed è per questo che siamo qui oggi. Perché il semaforo con la sua luce rossa accenda una lampadina di riflessione. Fermi gli automobilis per pensare ai bisogni dei bambini, alla calma da riscoprire e rivalutare, e non farsi risucchiare subito dalla frenesia….
TANA LIBERI/E TUTTI/E Rete Scuola e Bambini nell’emergenza Covid-19 liberiamoibambini@gmail.com conta : 328 0595397 – 320 8566412
Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse,
Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES.
Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli.
Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli.
Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it
E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International.
Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
La Corte d’Assise di Napoli è stata teatro di una requisitoria accesa e drammatica. Il pubblico ministero Antonella Fratello ha chiesto la pena dell’ergastolo per Francesco Pio Valda, ventenne di Barra, accusato di aver ucciso, la notte tra il 19 e il 20 marzo 2023, il diciottenne Francesco Pio Maimone con un colpo di pistola davanti agli chalet di Mergellina. Alla richiesta di condanna si aggiunge la proposta di due anni di isolamento carcerario per l’imputato.
Una ricostruzione drammatica
Secondo il pm, l’omicidio non sarebbe stato un atto isolato, ma un’azione deliberata per affermare il potere del clan Aprea-Valda nella zona degli chalet, area contesa da gruppi criminali. Durante la requisitoria, Fratello ha descritto Valda come un emergente boss camorrista che agiva con arroganza tanto sul territorio quanto sui social, utilizzati come mezzo per diffondere minacce e rivendicazioni.
L’imputato, collegato in videoconferenza da un carcere fuori regione, ha seguito la requisitoria in silenzio. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni, Valda avrebbe agito con premeditazione, uscendo regolarmente armato con l’intento di creare situazioni di conflitto, come testimoniato da frasi registrate durante le indagini.
Le prove e il contesto sociale
Tra le prove presentate dal pm, sono stati ricordati:
Minacce diffuse sui social, comprese frasi di sfida come “brindiamo all’ergastolo” e “se va male è esperienza”.
Intercettazioni in cui emerge l’intenzione di uccidere, dimostrando un’assenza totale di rimorso per la morte di un innocente.
La continuità malavitosa del clan Aprea-Valda, con Valda che avrebbe assunto il comando dopo l’arresto del fratello Luigi.
Il magistrato ha evidenziato anche il ruolo svolto da amici e parenti dell’imputato, tutti inseriti nello stesso contesto camorristico.
Le condanne richieste per il clan
Oltre all’ergastolo per Francesco Pio Valda, il pm ha richiesto pene per altri membri del clan:
Giuseppina Valda (sorella di Valda) e Giuseppe Perna (zio): otto anni di carcere.
Giuseppina Niglio (nonna): sei anni.
Salvatore Mancini: tre anni.
Pasquale Saiz e Alessandra Clemente (cugina di Valda): otto anni e sei mesi.
Il dolore della famiglia Maimone
In aula, accanto al loro legale Sergio Pisani, erano presenti i genitori di Francesco Pio Maimone, distrutti dalla perdita del figlio. Suo padre, Antonio Maimone, ha dichiarato: “Concordiamo con la ricostruzione del pm. Crediamo nella giustizia e ci auguriamo che questa giornata rappresenti un segnale forte per tanti giovani. Speriamo sia un esempio in grado di mettere fine a tutti questi omicidi che stanno avvenendo a Napoli”.
Un segnale contro la violenza giovanile
L’omicidio di Francesco Pio Maimone non è solo una tragedia personale ma un simbolo della drammatica escalation di violenza giovanile a Napoli. La vicenda richiama l’urgenza di interventi che possano contrastare il fenomeno della criminalità organizzata e prevenire nuove tragedie.
Un mistero avvolge la morte di una donna di 52 anni, precipitata dal trentesimo piano dell’hotel Ambassador in via Medina, nel cuore di Napoli. L’episodio, avvenuto ieri sera poco dopo le 20, ha lasciato sgomenti i numerosi passanti presenti nella zona, particolarmente affollata di auto e pedoni in quell’ora.
La dinamica della tragedia
La caduta si è interrotta al nono piano dell’edificio, dove la donna si è schiantata. La scena è stata notata da alcuni presenti, che hanno immediatamente allertato i soccorsi. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, ma non hanno potuto far altro che constatare il decesso della donna.
Non è ancora chiaro se si trattasse di un’ospite della struttura alberghiera o di una persona esterna all’hotel.
Indagini in corso per chiarire le cause
Il caso è ora al vaglio dei carabinieri di Napoli e degli agenti della Questura, che stanno cercando di risalire all’identità della vittima e ricostruire le circostanze della tragedia.
Secondo i primi rilievi, la donna avrebbe 52 anni, ma rimane ancora incerto se si tratti di un suicidio o di un’azione violenta, con la possibilità che sia stata spinta da qualcuno.
Una zona centrale sotto i riflettori
Via Medina, cuore pulsante del centro cittadino, si è trasformata in uno scenario di sgomento e tensione. Gli investigatori stanno esaminando le immagini delle telecamere di sorveglianza dell’hotel e ascoltando eventuali testimoni per ottenere maggiori dettagli sull’accaduto.
Il processo legato alla presunta tangente Eni in Nigeria continua a far discutere. Lo scorso 8 ottobre, il Tribunale di Brescia ha condannato a otto mesi, con pena sospesa, l’ex procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro per il reato di rifiuto di atti d’ufficio. I due magistrati, che rappresentavano l’accusa nel procedimento sulla corruzione internazionale legata al blocco OPL 245, sono stati accusati di aver omesso deliberatamente prove favorevoli alla difesa, influenzando così il corso del processo.
Le accuse ai magistrati
Secondo le motivazioni della sentenza, De Pasquale e Spadaro avrebbero utilizzato solo le prove che supportavano la loro tesi accusatoria, escludendo intenzionalmente elementi contrari portati alla loro attenzione dal pm Paolo Storari. I giudici sottolineano come i due magistrati abbiano compiuto una “selezione ragionata” delle prove, oscurando deliberatamente quelle che avrebbero indebolito le loro accuse.
Tra gli elementi sottaciuti figurano:
Messaggi estratti dal telefono di Vincenzo Armanna, il grande accusatore dei vertici di Eni, in cui si faceva riferimento a presunte dazioni di denaro a favore di testimoni chiave.
Una chat di Telegram che suggeriva la contraffazione di documenti utilizzati nel processo.
Conversazioni con un manager nigeriano, Mattew Tonlagha, affinché confermasse la versione di Armanna durante una rogatoria.
I giudici hanno evidenziato che queste omissioni hanno condizionato indebitamente l’intero iter processuale, influenzando le strategie difensive degli imputati e ostacolando una valutazione imparziale dei fatti.
Il contesto e la marginalizzazione del pm Storari
Nella sua deposizione, il pm Paolo Storari ha denunciato un clima di isolamento e marginalizzazione all’interno della Procura, descrivendo un “gioco di squadra” volto a proteggere l’indagine sull’Eni Nigeria. Storari ha dichiarato:
«Io non venivo ascoltato in nulla. Non bisognava rompere le scatole a quel processo. Questa è la verità».
Secondo i giudici, l’obiettivo era quello di trasformare il Terzo Dipartimento della Procura, responsabile della corruzione internazionale, in un “fiore all’occhiello” dell’ufficio, giustificando così scelte organizzative e carichi di lavoro più leggeri rispetto ad altre sezioni.
Assoluzione nel merito e rinuncia all’appello
Il processo Eni Nigeria si è concluso con un’assoluzione collettiva con formula piena per tutti gli imputati, “perché il fatto non sussiste”. La Procura generale ha rinunciato all’appello, definendo i motivi “incongrui, insufficienti e fuori dal binario di legalità”.
Implicazioni della sentenza
La sentenza del Tribunale di Brescia evidenzia come la discrezionalità nella gestione delle prove non possa sconfinare in scelte arbitrarie che compromettono il diritto a una difesa equa. I giudici hanno chiarito che:
«La piena autonomia dei magistrati nella scelta degli elementi probatori non può tradursi in una sconfinata libertà di autodeterminazione».
Questa vicenda solleva interrogativi sulla gestione delle indagini complesse e sui rischi di politicizzazione all’interno delle Procure.
(nella foto Imagoeconomica in evidenza Palazzo di Giustizia di Milano)