La burocrazia delle cartuscelle che uccide la politica. Di questo ci occupiamo. Di un Prefetto, quello di Napoli ad esempio, ma potrebbe essere quello di Canicattì o di Forlimpopoli che ha da mettere a posto le cartuscelle per il Viminale. Eh sì, perchè il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese (già capo di gabinetto di Roberto Maroni quand’era al Viminale), bontà sua, è preoccupata di possibili tensioni sociali post quarantena. E siccome è preoccupata per prevenire o curare qualche protesta, per anticiparla, ha allertato i suoi burocrati e ha chiesto loro di “pressare” i sindaci sulla necessità di “programmare ogni possibile misura di sostegno alla popolazione, anche attraverso l’attivazione di punti di ascolto e la promozione di ulteriori iniziative di solidarietà a vantaggio delle fasce di cittadini con maggiori difficoltà eventualmente in aggiunta a quelle già intraprese, anche per contenere possibili tensioni che potrebbero avere risvolti sotto il profilo dell’ordine della sicurezza pubblica”. Burocratese viminalizio incomprensibile per le persone normali. Questo, però, è uno dei passaggi della lettera che il prefetto di Napoli, Marco Valentini, ha spedito in giro per i 91 comuni della provincia metropolitana di Napoli.
Vincenzo Ferrandino. Il sindaco di Ischia
Con linguaggio burocratico, toni formalmente cortesi ma con scarso riguardo per il lavoro che hanno fatto e fanno i primi cittadini su territori devastati dall’emergenza sanitaria che ha avuto un impatto dirompente sul piano economico e sociale, il prefetto burocrate di Napoli chiede ai sindaci “un approccio dinamico della gestione quotidiana delle tematiche emergenti”. Il Prefetto, lui che non sa manco dove si trovano molti dei comuni, che ancora non riesce a distinguere Ischia da Liveri, Lacco Ameno da Lettere, ha spedito la letterina a tutti per mettersi a posto con il Viminale e con la sua coscienza. Così ha segnalato il “disagio abitativo” e “il rischio di tensioni sociali”. Non contento ha fatto sapere ai sindaci anche la sua “convinzione che ogni iniziativa assunta in questo particolare momento, volta a mantenere alto il livello di coesione sociale, potrà contribuire al rapido superamento delle criticità criticità. Auspico – continua in questa lettera scritta in burocratese – , pertanto, la massima leale collaborazione istituzionale, e resto in attesa di cortesi notizie in merito alle misure posta in essere o programmate del suo comune”. Ora, con tutto il rispetto che si deve ad un funzionario dello Stato e con tutta la pazienza (poca oramai) di cui può disporre un sindaco alle prese con centomila problemi quotidiani, la lettera è davvero troppo. Molti sindaci, infatti, l’hanno letta e l’hanno messa nel cassetto con un pizzico di amarezza. Molti altri l’hanno guardata, accartocciata e messa nel cestino. Qualcuno ha pensato fosse invece giusto rispondere al Prefetto e riportarlo con i piedi per terra. È il caso del sindaco di Ischia, Enzo Ferrandino, che in maniera garbata ha provato a far capire al prefetto Marco Valentini che scrivere letterine è bello, fare il sindaco in condizioni di finanza pubblica già drammatiche, con tagli ai trasferimenti e una emergenza sanitaria in atto è molto complicato. Anche perché è bello che un Prefetto chieda di programmare, attivare, ricordare disagi, segnalare tensioni sociali, ma i sindaci senza risorse e strumenti non possono più continuare a governare.
Ed è probabile che Marco Valentini passi alla storia come il primo prefetto di Napoli che si è visto consegnare molte fasce Tricolori da sindaci allo stremo. Ischia, ad esempio, come tanti altri comuni turistici già in bolletta, con sensibili abbattimenti delle entrate dei tributi locali (in pochi possono pagare oramai) e senza più il paracadute della tassa di soggiorno, a breve dovrà portare i libri in Tribunale e dichiarare fallimento. Anche perché, località come Ischia, a vocazione turistica, con i lavoratori del comparto che corrono il rischio di rimanere disoccupati per tutta la stagione 2020, sarà difficile evitare tensioni sociali se non ci saranno consistenti trasferimento dello Stato agli enti locali. Perchè mai come in questa occasione ogni trasferimento di risorse dello Stato agli enti locali sono investimenti anche sulla sicurezza sociale.
“Ferma restando il rispetto per il Prefetto, la cui nota non intendo commentare, le dico – spiega il sindaco di Ischia, Enzo Ferrandino, richiesto di un parere – che in segno di protesta e di impotenza, in assenza di aiuti e sostegni del Governo molti di noi potrebbero scegliere di consegnare nelle mani dei prefetti la fascia tricolore”. “I sindaci – prosegue Ferrandino – non possono rimanere soli ed impotenti al cospetto di una crisi economica enorme senza la consapevolezza degli organi di Governo dell’importanza di aiutarli e senza gli strumenti e le risorse da poter impiegare per le proprie comunità”. E allora che cosa si fa? “Il Prefetto – risponde Ferrandino – ha tutto il diritto e il dovere di scrivere le sue lettere ai sindaci, noi però non possiamo non ricordargli che deve rappresentare al Governo le situazioni di bilancio drammatiche in cui versano i comuni, la necessità di avere liquidità per assicurare i servizi essenziali, gli stipendi al personale e gli aiuti a chi è in difficoltà oggi più di ieri. Per questo occorrono risorse, non lettere ai sindaci” conclude Ferrandino.
Un delicato equilibrio tra il rispetto del voto dei cittadini e la gravità dell’infiltrazione criminale. Questo il tema che oggi il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha portato all’attenzione dell’Anci, lanciando la proposta di rimodulare l’articolo del testo unico sugli enti locali sullo scioglimento delle amministrazioni ‘sospette’. L’idea del titolare del Viminale è quella di creare una nuova figura, una sorta di tutor, che possa intervenire nelle situazioni meno gravi e complesse evitando quindi lo scioglimento del Comune, provvedimento “lacerante e doloroso”, come ha spiegato lui stesso all’assemblea dei sindaci riunita a Torino. Ma non solo, Piantedosi ha anche confermato l’intenzione del governo di voler ripristinare le Province, con l’elezione diretta e la rimodulazione delle competenze. “La cosiddetta abolizione si è rivelata fallimentare – ha detto – pensiamo ad un un passo indietro”. Il focus dell’intervista che oggi ha visto protagonista il ministro dell’Interno è stato quello della riforma del Tuel, un testo che – ha detto lo stesso Piantedosi – “ha ormai un quarto di secolo di vita”.
“Credo – ha ribadito – che ci sia un unanime convincimento che la riforma sia indispensabile e necessaria”. Tra le “questioni da limare” ci sarebbe proprio quella delle province, un tema che già dal suo insediamento anche il ministro per l’Autonomia, Roberto Calderoli, aveva fortemente rilanciato. “Noi – le parole di Piantedosi – cercheremo di condividere questa ipotesi di riforma con tutte le parti politiche, compresa l’attuale opposizione”. La revisione del testo, inoltre, potrebbe prevedere anche novità sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, previsto dall’articolo 143. “L’esperienza pratica ci ha insegnato” che è meglio mettere “nel sistema qualcosa in mezzo tra scioglimento e non scioglimento, come misure di affiancamento, una sorta di commissariamento”.
“Nessuno – ha sottolineato il titolare del Viminale – immagina di poter arretrare rispetto ai presidi di legalità. Ma è sempre lacerante e doloroso il fatto che ci siano misure molto forti che incidono sui principi democratici. Bisogna cercare una ulteriore forma di equilibrio tra mantenimento dell’esito dei circuiti democratici e il presidio di legalità”. Prima di lasciare il palco, il ministro è tornato a ribadire la volontà del governo di spingere sulla videosorveglianza nella città. “Vorremmo creare un paniere di risorse economiche per implementare e aggiornare i sistemi – ha concluso -. Non è che ci piace il Grande Fratello, ma i dati ci dicono che più del 50% dei reati che viene scoperto si avvale di strumenti di indagine legati alla videosorveglianza. Andiamo incontro all’intelligenza artificiale, è illusorio pensare che la privacy possa frenare le enormi potenzialità che questi sistemi danno. Credo che la soluzione sia nell’avere fiducia nelle istituzioni”.
Del figlio non sa più nulla dal 10 novembre scorso, dal giorno dopo un arresto al Cairo dai contorni tutti da chiarire. E’ la vicenda che riguarda Elanain Sharif, 44enne nato in Egitto ma cittadino italiano, di cui la madre dice di avere perso le tracce dopo che è stato fermato dalle autorità egiziane al suo arrivo dall’Italia. Un caso seguito con la “massima attenzione” dalla Farnesina dopo la denuncia della donna che era col figlio al momento del fermo. L’uomo si troverebbe, comunque, in una struttura nota anche alle autorità italiane. La madre avrebbe appurato che si trova nel carcere di Alessandria d’Egitto.
Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. L’uomo vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano. “E’ una vicenda che inevitabilmente ci riporta ai casi di Regeni e Zaky – afferma l’avvocato Alessandro Russo, legale della famiglia -. Sono andati al Cairo dove hanno un appartamento, erano lì per commissioni come avevano fatto tante altre volte ma appena arrivato è stato bloccato e gli hanno sequestrato il passaporto italiano”. Su punto a quanto si apprende, essendo anche cittadino italiano, Sharif aveva scelto di rientrare in Egitto col passaporto egiziano, e anche per questo è stata più lenta la procedura per una visita consolare. Sui motivi dell’arresto gli elementi sono al momento pochi. “Ciò che ha portato all’arresto non è chiaro, si tratterebbe di qualcosa legato a contenuti su Facebook ma non abbiamo capo di imputazione”, dice l’avvocato. Sharif lavora nell’industria del porno (è noto come Sheri Taliani) e questo potrebbe essere il motivo dell’arresto e in particolare l’avere diffuso immagini vietate dalle leggi egiziane.
“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aggiunge – Le procedure di arresto sono state effettuate utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. Sharif è stato, quindi, trasferito nel carcere della Capitale. “E’ stato lì per alcuni giorni, in condizioni inumane: senza potere dormire, poteva stendersi solo per mezzora, per sedersi su una sedia, anche per pochi minuti, doveva pagare. La madre l’ha visto per pochi istanti, il 10 novembre poi più nulla”, aggiunge il legale.
Russo ha immediatamente allertato la Farnesina e l’ambasciata italiana. La sede diplomatica al Cairo, in stretto coordinamento con il Ministero degli Esteri, sta seguendo “con la massima attenzione il caso” e l’ambasciata sta avendo costanti contatti con la madre dell’uomo. La donna, non senza difficoltà, è riuscita ad appurare che Sharif è stato trasferito nel carcere di Alessandria d’Egitto. “Lei ora è lì, assieme al fratello che lavora nella polizia egiziana e spera di avere notizie di un suo rilascio ma è preoccupatissima”, aggiunge Russo.
Avrebbe occultato beni mobili e somme di denaro per oltre 450mila euro e trasferito la sua attività commerciale da Cava De’ Tirreni a Santa Teresa di Gallura per sottrarre i suoi averi al recupero forzoso: un affermato imprenditore campano di 60 anni, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta, frode fiscale e reati tributari. Firmato anche un decreto di sequestro preventivo dei beni finalizzato alla confisca. Le indagini che hanno portato all’applicazione della misura cautelare nei confronti dell’industriale, molto conosciuto nella provincia di Salerno, sono partite dalla Procura di Tempio Pausania e affidate alla tenenza della Guardia di Finanza di Palau e altri reparti. E’ stato così possibile ricostruire la vicenda fiscale dell’imprenditore attivo nel settore del commercio di abiti da cerimonia. A Santa Teresa di Gallura, attraverso il figlio, gestiva un bar ristorante, dichiarato poi fallito nel luglio del 2021.